Stemma Borno Borno
BORNESI (Bigì - Maia poiàte - Làder - Malignù):
2.644 (anno 2012)
SUP. COM. Kmq : 30,6 H.m.: 912 s.l.m. Prefisso Tel.: 0364
Da BRESCIA e BERGAMO
Km.
76,3
Da MILANO
km.
124
FRAZIONI
Paline
CAP. : 25040


Le Immagini del Paese
Veduta aerea del paese (45 K)
Panoramica del paese innevato (100 K)
Il Paese di Borno
Piazza di Borno
Castello e Parrocchiale
Il lago di Lova
Chiesetta di Palline
Massiccio del Moren (38 K)
L'altopiano bornese in autunno (28 K)
IL NOME:
Borno - Burnus (sec. XI) - Burno (sec. XII). sono diverse le ipotesi toponomastiche sull'origine del nome Borno, infatti per l'etimologia si può fare riferimento a "born" voce cenomane che indicava una scheggia o un masso di roccia, ma più probabile è la derivazione da "burnus" o "burna" termine latino che indicava un confine o un termine confinario. Altra locuzione dell'antica lingua dei Cenomani (popolo che visse in Valle Camonica e in altre valli alpine e che lasciò molti termini di uso comune nei dialetti locali) era "bornico" che descriveva un luogo abitato, ma poteva anche indicare un luogo scosceso o in prossimità di un burrone. Già nel 1600 era stata anche formulata l'ipotesi che Borno potesse derivare da un nome personale latino "Burnius" o "Burno" o dai nomi propri "Boringa" o "Bornidolo". Infine non è da esclusdere, anzi sembra assai probabile, che Borno possa derivare da Burn, voce longobarda che indica un luogo montano abitato.
    Paline (Paline) a m. 1063 è una frazione a ovest di Borno posta sotto la Corna Mozza (Bèlem) e nei pressi del Giovetto di Paline (a m. 1294). Il nome "Paline" è il diminutivo al plurale di "pala" (rupe). Dalla zona si domina tutto il massiccio della Presolana. Proseguendo poi sulla bella e panoramica strada che conduce al confine con la Val di Scalve e la provincia di Bergamo, si arriva al piccolo paese di Dosso per scendere poi a Dezzo di Scalve.


LA STORIA:

    Numerose sono le incisioni rupestri rinvenute su tutto l'altopiano bornese a dimostrazione che questo pianoro (forse per la sua magnifica posizione) e le strade per il suo accesso erano frequentate dai primi gruppi di umani (forse cacciatori) del ceppo dei Liguri, e che la zona era abitata già in epoca preistorica. Curiosamente alcune incisioni sono state scoperte (meglio: ritrovate) anche su dei massi che sono stati usati, in epoche diverse, per costruire o ristrutturare, anche in tempi recenti, delle abitazioni o dei muri di sostegno del centro storico. In via monte Grappa si vedono chiaramente una serie di "alabarde preistoriche" incise su un masso che è inglobato in una recente ristrutturazione e che solo per caso fu osservato da uno studioso che ne datò la lavorazione ad epoca preistorica. Scoperta importante fu il ritrovamento di una incisione in cui compare la figura della dea dell'abbondanza "Alautedoba" e questo ribadisce chiaramente come la zona fosse abitata e frequentata già in epoca antichissima.
    Sempre sull'altopiano bornese ma in comune di Ossimo, recentemente sono stati effettuati scavi in siti che erano adibiti a luoghi di culto pagano risalenti ai primordi dell'umanità e testimonianza precisa della presenza dell'uomo in questa zona della Valle Camonica nella notte dei tempi.
    Le campagne di scavo proseguono anche attualmente (durante il periodo estivo) e sono seguite con passione ed entusiasmo anche dal prof. Gian Carlo Zerla (noto pittore) che fu, con la moglie, lo scopritore di altri importanti massi istoriati (vedasi anche la storia e le pagine culturali inserite nel capitolo di Ossimo).
    Nel 1958, nella parte sud del vecchio centro abitato di Borno, a fianco della provinciale che sale dal fondovalle, poco prima del ponte all'inbocco del paese, durante degli scavi per la realizzazione di una strada e di un muro di sostegno, fu rinvenuta una ben conservata necropoli di epoca romana. Questo attesta la rilevanza strategica e militare di Borno, che fin da epoca pre-romana era nodo di transito obbligato con la confinante Val di Scalve. In epoca romana fu certamente stazione militare di notevole importanza, e punto di collegamento con la vicina valle Scalvina che era particolarmente ricca di minerali ferrosi e che fin dall'antichità produceva materiale grezzo e manufatti nell'importante metallo.
    La rilevanza dell'antichissimo borgo è ulteriormente testimoniata dal ritrovamento, nello stesso scavo, anche nove epigrafi poste per ricordare i defunti sepolti, e dalla presumibile costruzione di alcune abitazioni, presumibilmente di solida fattura, residenze stanziali per alcune nobili famiglie di origine romana.
    Una prima e importate testimonianza ufficiale sulla esistenza di un ricco e libero comune è attestata da un accordo giudiziario datato 1019. Questo atto è estremamente significativo come primo documento scritto in lingua volgare ed è stato ripreso in numerosi e interessanti studi sulla Valle Camonica. Con quell'antico "trattato" si cercava di portare a soluzione e regolamentare (inutilmente) una secolare lite tra gli abitanti della Val di Scalve e quelli di Borno per l'uso di alcuni vasti pascoli sul monte Nigrino o Negrino (Mùt Nigrì) posto a confine tra l'altopiano Bornese e la stessa Val di Scalve. Innumerevoli erano le liti e le risse che degeneravano in numerosi scontri, anche cruenti e feroci con vittime e lutti da entrambe le parti, ma il possesso e l'uso di quei territori adibiti a pascoli (ora completamente abbandonati o forestati) era di estrema importanza per l'allevamento del numeroso bestiame e per quell'economia rurale su cui si appoggiava gran parte della sopravvivenza delle popolazioni montane.
   
Riporto quanto ha scritto Giacomo Goldaniga (nel suo bel "Matrimonio impedito" ed.: dic. 2009) proprio riguardo questa tribolata e secolare diatriba.

    "Pare che la contesa per il possesso esclusivo di questo alpeggio, ricco di pascoli, acque, boschi e selvaggina, sia iniziata nel periodo tardo longobardo. Dopo tre secoli di feroci ammazzamenti, latrocini ed usurpazioni d'ogni sorta e d'ambo le parti, nell'anno del Signore 1018, in cui fa fede dei tragici eventi scritto, 24 boni homines di Scalve (legali procuratori di quella comunità), si portarono sul sagrato della chiesa di S. Martino in Borno, e fecero vadìa (promessa) ai vescovi di Brescia e di Bergamo, al conte inperiale Lanfranco, (che un tempo reggevano le sorti delle due province), ed ai rappresentanti della Vicinia bornese, che sotto pena di 2000 libbre di buoni denari d'argento, non avrebbero più molestato i nostri compaesani né avanzato pretese sul Negrino, situato a superiore del fiume Dezzo a sinistra. Ma a distanza di nemmeno un secolo, nell'anno 1091, gli abitanti dell'altopiano consegnarono un reclamo al messo imperiale di Bergamo nel quale attestavano - l'uccisione di alcune persone, incluso un chierico, numerose razzie di bestiame e, in tre successive incursioni, l'incendio di ben 56 edifici, tra case, baite, cascinali, malghe e fienili. Il delegato dell'imperatore Enrico IV emise allora un bando contro gli Scalvini sanzionandoli con altre mille libbre di denari d'argento. Ma a buttare carne sul fuoco, cagionando l'ira delle genti di Scalve e rinfocolando la lite, contribuì nell'anno 1109, una banda di briganti, capeggiata da un certo Alboino degli Alboini di Lozio, nella quale militava una masnada di malviventi bornesi, che andava devastando e depredando numerosi villaggi bergamaschi della Valle di Scalve e della Val Seriana. Le vendette per questi misfatti le subirono però, in seguito, i malgari bornesi che lavoravano sul Negrino. Nel 1154 tentò di domare il grave bisticcio l'imperatore Federico Barbarossa, transitato in Valle per strategie di guerra, che emanò una nuova sentenza in favore della comunità bornese, a lui cara, perché filo-ghibellina. Ma gli animi non si placarono e tra il 1318 ed il 1394 furono emesse ben quattro terminazioni di confine cosicché i cippi in pietra calcinera furono rimossi e traslocati per altrettante volte. Nell'anno 1410 non mancò di creare scompiglio e suscitare altre ribalderie il nuovo principe Pandolfo Malatesta, divenuto signore di Bergamo e di Brescia, che confiscò metà della giogaia bornese per assegnarla alla potente famiglia dei Capitanei di Scalve. Gli uomini dell'altipiano ripresero a rubare legname, selvaggina e armenti sull'alpe, finchè non venne loro restituita la parte sottratta. Persino i nostri lettori come al fine di rabbonire gl'animi dei contendenti fosse intervenuto financo San Bernardino da Siena che, intorno al 1411, si trovava a Clusane per predicare la fratellanza alle genti bergamasche . I fatti d'arme ripresero con veemenza, tra il 1515 e il 1520, precipitando nell'abominia, allorquando due capibanda scalvini, con una quarantina di facinorosi, cacciarono tutti i coloni avversari delle località Paghera e Scandola, trucidando cinque braccianti sul Negrino e, nel contempo, ferendo sul Lago d'Iseo, per il tramite di alcuni sicari, due uomini di legge, che tornavano da Venezia. I Bornesi si vendicarono in occasione del passaggio dell'imperatore Massimiliano per la Valcamonica. Recatisi a Breno, dove alloggiava il sommo sovravo, implorarono il consenso di poter bruciare e saccheggiare Scalve "guelfa e marchesca". Il monarca li volle compiacere altrimenti inviando una piccola armata capitanata dal Conte di Lodrone, che mosse da Castione della Presolana alla volta di Vilminore. Ma giunto colà, com'era costumanza dei condottieri e dei capitani di ventura, barattò l'annichilimento della valle in cambio di 500 ducati. Inappagati e delusi per un siffatto patteggiamento, che sapeva tanto di tradimento, i Bornesi radunarono allora 600 armati, (è fuor di dubbio che il cronista ne gonfiò l'entità numerica), e devastarono le contrade di Azzone, Dosso, Pradella e Serta. Gli Scalvini, dal canto loro, restituirono tosto la pariglia ed in numero di 300, valicarono il Negrino e sgozzarono tutti gli alpigiani dell'opposta fazione. Assistendo impotenti a codesti incresciosi fatti d'arme, i rettori camuni e bresciani, mandarono ambasciatori a Venezia affinchè la Repubblica marinara intervenisse a sbrogliare la matassa. Il Consiglio dei Pregadi incaricò i Patrizi Ruggero Contarini, Matteo Malipiero e Filippo Tron di perlustrare i luoghi e mettere giudizio sulla contesa. Costoro divulgarono una prima sentenza compiacente agli Scalvini, argomentando, com'era giusto che fosse, che in appoggio alla geografia del territorio, il monte spettava loro. Teste dure anche i Bornesi che non vollero assoggettarsi al bando veneto e per tutta risposta accopparono sul Negrino due governatori di Scalve della potente famiglia dei Capitanei e scorticarono vivo un certo Berlinghieri, nei pressi di Salven, bruciandolo ancora vivo in una carbonaia. Ma come spesso accade agli assassini, il fautore di questo obbrobrio domiciliato nel Piano di Borno, fu assassinato anch'esso con tutti i suoi familiari. Nel 1518 gli Avogadori credettero di aver trovato l'illuminazione per venire in capo alla faccenda. Ordinarono che si facesse un modello in miniatura del monte reclamato, e lo si portasse a Venezia per essere attentamente esaminato da 25 Savi. Stupisce come la Serenissima trovasse il tempo, la voglia, la costanza e le finanze per risolvere un malaffare a dei sudditi così lontani di terra ferma che, a dire il vero, non erano per niente intenzionati a pacificarsi. Fu gran cosa, davvero curiosa da vedere, quella ingegnosa macchina che mostrava il luogo conteso con tutte le sue strade, cascine, prati, pascoli, seni del monte e distanze debitamente rimpicciolite, opera resa possibile grazie al lavoro di un architetto e ingegnere napoletano di nome maestro Bernardo. Ma quando il modello fu terminato tutti s'accorsero che per le sue misure non poteva passare dalla strada della Corna Mozza e così si dovettero allargare alcuni tratti della strada del Giogo e farlo "trasire da colà ". Per tranquillizzare quelle grandiose menti dell'una e dell'altra parte, per garantire loro che durante il viaggio nessuno avrebbe osato e potuto ritoccare il modello, lo si racchiuse in un enorme cassone, serrato con due chiavi, "che stavano appresso i Deputati delle due terre". Ma pure questa trovata non piacque agli uomini di Scalve che, nel frattempo, mentre aspettavano la sentenza dei 25 Savi, sconfinado dai loro territori, in gran numero, si diressero contro i nemici al grido - A Borno a Borno, vogliamo mangiare le vostre corrade arrosto. E sicuramente l'avrebbero fatto se non fosse intervenuto in tempo il Capitano di Valle con i suoi soldati a domare la scorribanda. Toccò alla facondia dei 25 Savi veneziani d'emettere una sentenza di buon porto, come si diceva in simili frangenti: il giusto confine doveva essere la cresta del monte, la metà al vago spettava a Scalve e la metà rivolta a mezzodì a Borno. Ma ad una siffatta risoluzione i più destri tra gli Scalvini rimbeccarono che anche l'asino del podestà di Scalve avrebbe potuto tracciare la terminazione, sarebbe bastato che fosse salito, a suon di bastonate, lungo il sentiero della costa. Ciascuna delle due parti voleva il monte per intero; dunque, tempo, fatica e quattrini sprecati, per giunta in un periodo storico in cui la fame la faceva da padrona! Nell'anno 1521 gli Scalvini ripigliarono le solite angherie, rapinando del bestiame in località Ranico e mandando all'altro mondo un giovane sopraggiunto in soccorso dei malgari. Gli aggressori furono però processati a Breno, dal Capitano di Valle, Antonio Lana. Quattro anni più tardi il Doge Andrea Gritti obbligava la reggenza della Valle di Scalve a versare 5000 denari, in tre rate annuali, al comune di Borno, per l'acquisizione della metà del monte, deliberata dal collegio dei 25 Savi. Anziché ritenersi appagati della sentenza ducale, i Bornesi, con animo invelenito, principiarono a frodare le legne sul versante montano che avevano perduto, aiutati da gentaglia di Ossimo e, udite bene, da alcuni frati del convento dell'Annunciata. Nell'agosto del 1537, a loro volta, gli Scalvini si recarono sul versante bornese del Negrino e fecero razzia di vacche e capre. L'anno seguente la contesa prese una brutta piega e scomodò per la seconda volta il governo veneto. I reggitori delle due comunità litiganti chiusero i reciproci passi, allogando guardie armate ai confini. La cosa risultò di una gravità estrema poiché umiliava i funzionari e le milizie governative esautorandoli di fatto del loro potere. Il Consiglio dei Dieci, per tutta risposta, bandì un proclama atto a ristabilire il libero transito, sotto pena del confino, lontano 15 miglia, per i trasgressori e addirittura il taglio della testa per i recidivi. Codeste sanzioni e la taglia di 300 lire per gl'ingrassatori della rissa, affievolì per qualche decennio la secolare controversia che si riaprì nel 1570 invero con un tenore più leguleio. I periti e i giurisperiti d'entrambe le parti contestarono le misurazioni di Mastro Bernardo, riportate sul plastico del monte. E' il caso di dire che, con la pazienza di Giobbe, la magistratura veneta accolse le impugnazioni delle parti e fece rispedire il modello in Val di Scalve, incaricando un abile periziatore sopra le parti, certo Giovanni Rusconi, di apportarvi tutte le correzioni del caso. Tuttavia la contesa non si sarebbe mai assopita se non si fosse intromessa nell'annosa questione la mano dell'Onnipotente. Nel luglio del 1654 un fatto prodigioso quietò l'animosità dei contendenti. Il pastore bornese Bartolomeo Burat, mentre transitava col suo gregge, in territorio di Scalve, colto da polmonite fulminante venne miracolosamente guarito dalla Madonna, che gli apparve alle Fontane di Dezzo e gli bagnò la fronte con l'acqua di una vicina fonte. A seguito di questo portento, gruppi di devoti delle due terre ostili si recarono in pellegrinaggio sul luogo del miracolo a pregare e a raccogliere acqua risanatrice per i loro malati. Dopo qualche tempo le genti delle due vallate si riappacificarono dinnanzi alla santella della Madonna delle Fontane, semplice edicola rurale che s'incamminò presto a diventare un grandioso santuario; il 20 luglio del 1682 i governanti delle due comunità s'incontrarono nei pressi del Giovetto di Paline e siglarono un compromesso e una pace stabile. I Bornesi per l'occasione si dimostrarono assai munifici e cedettero ai secolari rivali la loro metà di monte, al Val Giogna, i Fopponi ed il versante settentrionale del Costone, così che l'incaricato a designare il nuovo confine, tal Hieronimo Isonni, piantò dieci termini di pietra, con una vistosa croce nel mezzo, dalla cima del Costone all'estremità occidentale della colma del Bèlem o Corna Mozza, che poi rimase ad immemorabilis, il confine attuale."

    Negli annali della storia di Borno sono comunque ricordate altre lunghe e durissime contese che sorsero con altri comuni vicini: con Lozio nel 1156 (sempre a causa dello sfruttamento dei pascoli e per il passaggio delle mandrie che si recavano agli alpeggi estivi) e con Esine nel 1168 (per l'arginatura del fiume Oglio e per le barriere erette per protezione dai numerosi e devastanti straripamenti e dalle continue piene). Ora i comuni di Borno ed Esine, dopo la creazione del comune di Piancogno, non sono più confinanti ma per molti secoli il territorio comunale bornese si estendeva fino a coprire la sponda destra del fiume Oglio. Con la costruzione di queste barriere sulla riva destra, appartenete al comune di Borno, le impetuose e non regolamentate acque dell'Oglio tendevano a straripare e ad allagare le terre di Esine. Per molti anni anche questa contesa rimase aperta e si concluse solo il secolo successivo.
    Nel 1146 il vescovo bresciano Manfredo consacrò a Borno la imponente chiesa dedicata ai Santi protettori Giovanni Battista e Martino ed esattamente quaranta anni dopo, nel 1186, fu ufficializzata la separazione dalla pieve di Cividate che fino ad allora si estendeva su un vasto territorio e comprendeva almeno una ventina di altre parrocchie.
    Malgrado il trattato del 1019 (di cui si è accennato prima) per almeno altri tre secoli erano continuate le lotte tra Bornesi e gli Scalvini. Per cercare di sedare questi contrasti (che avevano portato anche a omicidi e faide terribili) furono chiamati i Federici che nel 1318 intervennero per imporre una tregua ma approfittarono immediatamente dell'occasione per insediarsi come "signori" anche a Borno.
    Anche per questo motivo il libero comune di Borno, nel secolo successivo, invocò il Capitano di Valle: il conte Lana, che ben poco riuscì a fare e che nel 1464 dovette comunque intervenire più volte, anche se con scarsi risultati tanto che nel 1498 il comune, rimasto inascoltato dagli organi di governo valligiani e, mal sopportando la prepotenza dei "siori" e dei loro famigli, ebbe direttamente forti contrasti con gli stessi Federici. Questi, appartenenti ad uno dei tanti rami in cui si era divisa questa potente famiglia camuna, già nel 1413 erano stati riconfermati feudatari da Giovanni Maria Visconti con giurisdizione anche su Borno. Il motivo principale per cui erano stati chiamati i Federici non si era appianato e le contese con la Val di Scalve non si erano certo sedate, anzi erano cresciute di intensità, tanto che ancora nel 1500 i rappresentanti dei bornesi furono più volte convocati a Breno (allora centro amministrativo della Valle Camonica) dai rappresentanti della Repubblica veneta per cercare di porre fine alle non sopite liti per il possesso e specialmente per l'uso dei tanto contesi pascoli.
    Questi erano, lo ripetiamo, in quei secoli, estremamente importanti per i numerosi allevamenti di bestiame grosso e minuto che facevano di Borno, dal 1400 al 1600, il centro a più alta concentrazione di capi d'allevamento dell'intera Valle Camonica e forse di tutte le valli bresciane e bergamasche. Risale al 1518 il fatto più grave tra i numerosi che per secoli avevano accompagnato la storia delle lotte tra Borno e la Val di Scalve: gli Scalvini, con uno stratagemma, narra la leggenda ricordata anche da un dipinto nella chiesetta della Dassa, legarono piccole fascine di legna secca e sterpi incendiati alle code di numerosi gatti che spaventati fuggendo in ogni dove si rifugiarono nei fienili del centro di Borno appiccando così il fuoco a tutto il borgo. Fu un grande e devastante incendio che non contribuì certo a sedare l'odio tra le due valli, anzi le scaramucce si fecero ancora più frequenti e cruente, e fu soltanto nel 1682 che l'arbitrato di un altro Federici (di Darfo) pose fine alla complessa serie di cause. Da allora tra Borno e la Valle di Scalve non ci furono più atti di violenza organizzata ma le liti tra mandriani e boscaioli delle due parti furono ancora ricordate per anni.
    A quell'epoca Borno era ritenuto uno dei centri più popolosi e ricchi della Valle Camonica: nel 1610 il Lezze, nel suo accurato e noto "Catastico", redatto su incarico della Serenissima Repubblica Veneta, fa descrizione delle estese terre di Borno e della sua popolazione come dedita all'agricoltura, allo sfruttamento dei pascoli ed alla produzione di lane definite "assai buonissime".
    Da sempre (si ritiene fin da epoca romana) Borno, per la sua collocazione su uno splendido altopiano che riceve l'insolazione dalle primissime ore dell'alba fino al tramonto, fu anche centro di villeggiatura, vi sorsero in tempi diversi alcune ville e case signorili. In tempi più recenti i "siori", così erano chiamati i benestanti o ricchi che, come era alla moda, trascorrevano il periodo estivo sull'altopiano, costruirono altre ville circondate da bei parchi privati come villa Giudetti, acquistata dal comune di Borno all'inizio di questo secolo. Queste villeggiature estive di "elite" di alcune famiglie bresciane, milanesi e cremonesi si affermarono fino ai primi anni '60 per poi perdersi (miseramente) per l'avvenuto cambiamento con un diffuso turismo di massa e con la cementificazione quasi incontrollata che ha fatto tanti danni (estetici e patrimoniali) sia nel centro storico che nella sempre più vasta cintura periferica.
    La quasi completa cancellazione di campi e prati e dei bellissimi e utili "broli" fino dentro all'antichissimo centro storico e la perdita delle coltivazioni che circondavano il vecchio paese di Borno, sono state indicative della politica adottata dagli amministratori locali che hanno puntato, su uno sviluppo enorme delle seconde case. Questo porta la popolazione di Borno (che conta 2700 residenti - dati 2009), in certi concentrati periodi dell'anno (agosto e ferie di fine anno) a punte di 20.000 e addirittura 30.000 presenze giornaliere.
    Ricco di vaste abetaie (fino agli anni '80 del secolo scorso) ben tenute e sfruttate in modo razionale e funzionale e anche di numerose segherie, Borno fu centro di lavorazione del legno e per questo divenne fulcro di importanti commesse e forniture di legname semilavorato durante la Repubblica veneta e la dominazione austriaca.
    Ancora all'inizio del 1900 il legname di Borno veniva inviato, anche tramite l'uso del fiume Oglio, in grandi quantità, fino a Pisogne o Lovere per poi essere "imbarcato" su zattere e portato o "trainato in superficie" fino a Iseo e al mercato di Rovato dove veniva poi smistato verso le grandi città e le altre destinazioni. Durante la Prima Guerra mondiale, i grandi proprietari di boschi di Borno inviarono molto legname, già lavorato in loco a travi e assi anche per le trincee e per i ponti della prima linea specie sul non lontano fronte dell'Adamello. Anche da Borno furono in molti ad emigrare per paesi anche lontani, in cerca di una vita migliore e di un lavoro: negli anni 1904/1905 furono ben 148 i Bornesi su una popolazione di 2796, che cercarono fortuna lontano da casa, mentre negli anni dal 1946 al 1960, su 5.408 residenti (vi erano anche gli abitanti di Cogno e Pimborno) furono ben 1867 gli emigranti.
    Nel secondo dopoguerra dapprima timidamente poi, dagli anni '50 la vocazione turistica ha portato Borno ad essere annoverato tra le più importanti e significative stazioni di soggiorno estivo delle Alpi centrali. Dagli anni '70 anche il turismo invernale fu sollecitato in modo particolare e questo avvenne con la costruzione di una funivia (ovovia) e di numerosi impianti di risalita per piste per lo sci alpino e per lo sci di fondo. Borno, posta a circa 1000 metri di altitudine è alla quota ideale per l'ossigenazione e preparazione sportiva ma anche per i servizi offerti ed è stata scelta più volte per i ritiri di precampionato di importanti squadre di calcio di serie A e B. Anche la celebre nazionale Italiana di Pallavolo Femminile, dal 2008, compie ritiri e stage a Borno, molte volte anche per incontri sportivi a livello internazionale.
    In località Croce di Salven sorsero delgi importanti centri di cura per malattie respiratorie (i "Sanatori", che diedero nome ad una località posta sulla strada per la Val di Scalve). Questi grandi edifici, che, dopo le modifiche delle terapie per la cura per la tisi, ben più efficaci con la pennicilina, furono chiusi, sono stati protagonisti di molti progetti, anche faraonici, ma mai andati in porto e avrebbero potuto essere adibiti a molti scopi (progetti per alberghi, per scuole e università private, per centri sportivi ne sono stati fatti a decine) ma ogni progetto e anche la sola vendita (ancora nel 2010 sono di proprietà dell'ASL di Valle Camonica) è ortacolta da vincoli delle sovrintendenza ai beni arichiettonici per le palazzine in stile liberty (quelli ancora non crollati): dagli anni '60 desolatamente sono abbandonati al completo degrado.


DA VISITARE:
L'inconfondibile fontana ottagonale del 1600 L'inconfondibile fontana ottagonale del 1600 stagliata ai piedi della scalinata del sagrato della parrocchiale è forse il simbolo più caratterizzante, anche se non ufficiale, di Borno (ma per molti anni la sua immagine e il suo disegno è stato presente su parecchi testi e giornali) è al centro della piazza Umberto I (cìàsa de Bùren), da qualche anno zona pedonalizzata con alcune vie che vi confluiscono.
Le abitazioni dei Federici
sono un insieme di più edifici contigui e a volte sovrapposti che furono edificati a partire dal 1400, da un ramo della potente famiglia camuna, nella parte storicamente più elevata del paese e dove doveva (già dall'antichità) transitare la strada principale che conduceva verso il passo di Croce di Salven e poi alla Val di Scalve. Questi edifici, passati più volte di proprietà sono ancora abitati e anche attualmente la zona del paese è denominata Castello (càstel de Bùren).
La Parrocchiale dei Santi Martino e Giovanni Battista fu edificata nel decennio dal 1771 al 1781, purtroppo abbattendo completamente quanto restava di alcuni precedenti edifici sia civili che religiosi che risalivano a prima dell'anno mille e che si erano sviluppati nel corso di cinque secoli fino al 1400. Questi sorgevano sul punto più alto di una piccola collina, che dominava tutto l'altopiano bornese e gran parte della media Valle Camonica e da cui era possibile stendere lo sguardo da Breno, al passo Crocedomini e al Maniva. Nel tempio sono rimarchevoli degli affreschi di Sante Cattaneo di Salò, che, memore della sua terra d'origine, pose, curiosamente per un paese di montagna come è Borno, uno scorcio del lago di Garda come sfondo nella grande pala che raffigura una "Madonna con i Santi Martino e Giovanni Battista". Alla bottega del Novi è attribuito l'imponente altare maggiore realizzato nel 1791. Sempre all'interno del tempio sono visibili le grandi pale dipinte da Lattanzio Quarena. Opera del Fantoni è un gigantesco "Cristo morto" datato 1716.
La Chiesa-oratorio di Sant'Antonio: sorge sul vasto sagrato a destra della parrocchiale e a fianco della canonica. Dovrebbe risalire, nella sua prima edificazione, al 1300 ed è caratterizzata da uno snello e aggraziato portico mentre l'interno è diviso in due campate. Contiene alcuni affreschi di scuola lombarda del cinquecento ed altri affreschi attribuiti al Romanino che rappresentano una Madonna con bambino e Santi.
La piccola e graziosa Chiesetta della Madonna Addolorata era ai bordi dei vasti boschi che circondavano l'abitato, la sua costruzione è datata 1700 è in linee neoclassiche e contiene affreschi attribuiti al Guadagnino.
La Chiesetta di San Fiorino (o Floriano) sorge su un piccolo pianoro a nord del paese, su una delle strade che conducono verso il laghetto artificiale di Lova e il monte Arano. Costruita a fianco del torrente Trobiolo, fino agli anni '80 era posta in posizione esterna all'abitato e raggiungibile con una bella mulattiera in caratteristico acciottolato (rìs = selciato). Attualmente ormai è circondata da numerose costruzioni ed è in pratica inglobata nell'abitato anche se mantiene in parte il suo isolamento. Contiene alcuni affreschi del 1400 e dei secoli successivi e il presbiterio-navata viene fatto risalire addirittura all'anno mille.
La Chiesetta dei Santi Vito e Modesto fu edificata nel 1500, in località Dassa. Fino agli anni '60 era l'ultima costruzione a ovest dell'abitato, ora è da considerarsi quasi nel centro del paese dato l'enorme sviluppo edilizio di questa zona che è a cavallo della strada che porta da Borno alla località Croce di Salven, alla frazione Paline, proseguendo poi per la Val di Scalve. Fu restaurata quasi completamente all'inizio del secolo scorso (nel 1917) e conserva un affresco (pure lui rifatto) che rappresenta il grande incendio di Borno, provocato per rappresaglia nel 1518 dagli abitanti della Val di Scalve (usando delle piccole fascine resinose, incendiate e legate alle code di numerosi gatti che fuggendo spaventati nei numerosi fienili diedero alle fiamme l'intero paese). Oggi la chiesetta è dedicata alla Madonna di Lourdes e quasi scompare tra i condomini, gli alberghi e gli edifici circostanti.
La Chiesetta di San Fermo, è fatta risalire al 1500 e sorge a circa 1300 m slm sul cocuzzolo di un verdeggiante monte dominante gran parte della vallata e ai piedi del "gruppo Moren", imponente gruppo roccioso che sovrasta tutto l'altopiano bornese. L'edificio, molto raccolto e caratteristico ha sul fronte un portico a tre arcate, di piccole dimensioni che veniva (e viene) usato, sia dagli escursionisti che (molto meno) dai pastori, per riparo dalle intemperie. A fianco dell'edificio religioso sorge un rifugio alpino che è stato più volte ristrutturato. Durante il periodo estivo è meta di numerosi turisti, che possono sostare anche per la notte o per il ristoro. La chiesetta ricorda l'antica leggenda (decisamente non provata da supporti e documentazione storici, ma molto radicata nella popolazione bornese e della bassa Valle Camonica) dei tre fratelli Fermo (a Borno), Glisente (a Bienno) e Cristina (a Lozio). E' una bota (storia) che tutti i bambini di Borno, Lozio e Berzo e Bienno conoscono bene anche se in diverse (solo di alcuni particolari) versioni.
   Si tramanda che al seguito di Carlo Magno erano venuti a combattere contro i Longobardi, i Giudei e i pagani del nord - Italia, tre fratelli di una nobile famiglia germanica provenienti dalla Selva Nera: erano Fermo, Glisente e Cristina. Tre cavalieri che avevano accompagnato il re franco in tutte le sue battaglie e erano tra i conquistatori della Valle Camonica. Stanchi di combattere e nauseati dagli orrori della guerra, i tre supplicarono re Carlo di poter lasciare l'esercito per diffondere la fede cristiana con l'esempio e non con le armi. Ottenuto il consenso, operarono una profonda conversione e decisero di dedicarsi alla vita ascetica, ritirandosi su tre differenti alture per pregare, vivere una vita contemplativa di penitenza. Glisente scelse come suo romitaggio un colle della Val Grigna, Cristina una zona impervia della Concarena in Val di Lozio e Fermo un'altura che dominava l'altopiano di Borno. I tre siti si trovavano all'incirca alla medesima altitudine permettendo una comunicazione visiva. Al momento di lasciarsi i tre fratelli si accordarono che ogni sera avrebbero acceso un falò per segnalare la loro presenza. Dopo alcuni anni i genitori dei cavalieri, venuti a conoscenza della vita che i tra stavano conducendo, inviarono dei messi a cercare i loro figlioli, ma non avendo saputo alcuna notizia, pensarono che fossero deceduti nella battaglia del "Mortarolo". Cristina era la più solitaria dei tre, non amava farsi vedere e parlava solo con gli animali. Un giorno però, dei pastori scovarono la grotta in cui si era rifugiata e si avvicinarono per conoscerla, ma lei per sottrarsi all'incontro spiccò un volo cadendo illesa ai piedi della Val Baione dove cercò un nuovo nascondiglio. Dopo quel salto prodigioso il suo falò non fu più visto da Fermo ma solo da Glisente che per mezzo di un'aquila comunicò al fratello che Cristina aveva cambiato dimora. L'aquila rimase poi con Fermo per fargli compagnia e per procurargli dei favi di miele. Cristina che ora si trovava molto più in basso, per non farsi riconoscere, si copriva con pelli di capra e quando cantava le lodi divine gli animali della montagna si avvicinavano ad ascoltarla scambiandola per una di loro. Una sera Glisente non vide più scintillare il falò di Cristina e all'indomani si recò con Fermo in Val di Lozio. Uno stormo di uccelli indicò ai due fratelli dove si trovava il corpo della sorella che giaceva immobile su un tappeto di fiori vegliato dai suoi fedeli animali. Quindi la seppellirono degnamente e più tristi che mai tornarono ai loro rifugi. Dopo qualche giorno nel luogo dove Cristina era sta sepolta, da una roccia, iniziò a sgorgare dell'acqua medicamentosa. Trascorsi alcuni anni anche Glisente morì e venne sepolto dai pastori nella cella della sua spelonca. Fermo, ormai vecchio e malato non potè far visita al fratello e continuò ad essere assistito dall'aquila che per intercessione divina era anche aiutata da un'orsa che lo riforniva di legna e di selvaggina. Quando morì alcuni mandriani e pastori del posto rinvennero vicino al cadavere del santo l'orsa che guaiva per la morte del suo padrone. La leggenda non fa menzione del luogo di sepoltura di Fermo ma si limita a dire che il suo corpo fu trasportato a valle. Tutti e tre gli eremiti morirono in concetto di santità e dopo qualche tempo iniziarono a compiere miracoli per cui le popolazioni di Borno, Lozio e Berzo edificarono a ciascuno di loro una chiesetta proprio sui luoghi del romitorio, iniziarono una secolare venerazione.
In ricordo di questa leggenda il 9 di agosto, nel cuore della stagione turistica estiva, sono organizzate delle manifestazioni che comprendono una grande fiaccolata con una marcia notturna che dalla sommità del colle scende fino al sagrato della chiesa parrocchiale, a cui partecipano migliaia di Bornesi e villeggianti, dei fuochi artificiali e l'accensione di innumerevoli falò in molte cascine su tutto l'altopiano.

LOCALITA' COMUNALI E FRAZIONI :
(Molte delle località di seguito riportate forse non sono più presenti nella memoria delle nuove generazioni o nelle carte, o nei contratti notarili o nei testi contemporanei. Alcune risalgono, nella loro identificazione, a molti secoli addietro, altre hanno mantenuto intatto la loro localizzazione e il loro nome passando di proprietà in proprietà, altre ancora, anche ai nostri giorni, sono presenti in carte catastali, in contratti di compra vendita o semplicemente nella parlata di tutti i giorni).
Anzè (Ansè): a m.1.029 fin dal 1500 era riportata su alcune antiche carte militari il nome di questa località in val Càmera a sud-ovest di Borno.
Aprile (Avrìl) a m.1.380 il Pià d'Avrìl a sud dell'altopiano di Borno è caratterizzato da ampi prati circondati da vasti boschi di abeti, di pini e di larici. Il nome potrebbe derivare forse dalla voce dialettale del mese, per qualche consuetudine stagionale nelle colture o dell'allevamento e pascolo del bestiame all'alpeggio.
Arano (Arà) a m.1.490 si staglia un massiccio montuoso che è coperto da vasti prati a nord di Borno. Questo monte è caratterizzato da un altorilievo pianeggiante, infatti il nome deriva dalla voce "Aral" (piazzetta per la fabbrica del carbone). Agli inizi del secolo, su un piccolo pianoro sul lato est dell'altopiano, è stata edificata (pur tra polemiche) una "chiesetta degli Alpini", ora meta di escursioni estive.
Avendone (Endù) a m. 1.053 era considerata, fin dal 1300 e fino al secolo scorso, una frazione di Borno. Si identificava con alcune abitazioni rurali ed era posta a nord del paese e poco sopra la strada medioevale dell'altipiano che portava verso la Val di Scalve. Ora tutta la vasta zona, è occupata da molte abitazioni e seconde case di villeggiatura.
Averta (Aèrta) a m. 1.475 è una località posta su un dosso a nord-est di Borno sotto il monte Mignone, in un pianoro aperto verso sud. Questa localizzazione chiarisce la derivazione dalla voce dialettale "Aèrt" (aperto), da cui deriva anche "Aèrtì" (Avertino) che identifica un altro sito non molto distante ma a quota più bassa.
Balestrini (Balestrì) a m. 1.167 è una località a sud di Borno: quasi certa la derivazione dal cognome Balestrini diffuso in provincia di Brescia.
Bernina questa località sull'altopiano prende il nome da Berna che era nome proprio riportato anche su una iscrizione veneta-romana.
Bèlem monte posto a cavallo dall'altopiano di Borno e la Val di Scalve: deriverebbe da "Blumù" o da "Balemù".
Bres (Brèsh) a m. 1.039 è posto un sito su cui erano, già nel 1750, segnate su delle mappe catastali della Serenissima Repubblica Veneta, delle cascine a circa due chilometri a ovest di Borno, poste nella piana della "Al dè la Camera".
Brùch, località a nord di Borno il cui nome deriverebbe da "brùch" (erica), pianta molto diffusa su tutto l'altopiano e nelle valli alpine.
Cala (Àl de Cala), valletta che si apre nel fianco sinistro dell'altipiano di Borno, diretta verso nord e verso la Corna di San Fermo; deriverebbe dalla voce dialettale bornese "Cai" (al singolare "cal") per indicare grandi conche o depressioni naturali. Ma "Cala" è ancora voce dialettale locale che indica una via aperta nella neve. Altra località è "Calagn", sempre nei pressi di Borno, probabilmente derivato dalla stessa voce dialettale.
Càmera (Càmera):, la Val Camera è una depressione su cui erano segnate, fin dal 1750, delle cascine a ovest di Borno.
Camino (Camì) a m. 2.492 caratteristico e imponente monte a nord-ovest di Borno nell'anfiteatrico dolomitico confine naturale con i comuni di Lozio e Schilpario. Il monte nel versante ovest presenta una spaccatura paragonabile a un camino e "camì" è sinonimo di focolare oppure comignolo e anche canna del camino. La vetta del monte si può raggiungere tramite un sentiero segnalato, ed è una delle mete più frequenti per comitive e gite organizzate durante la stagione estiva.
Casaole (Casaòle), ): località montana posta intorno ai 1500 m. a nord-ovest di Borno.
Cavredon (Caedù) a m. 1.275: sito a nord-ovest di Borno, sul fianco aperto verso sud del monte Mignone in declivio ricoperto da vasti boschi di conifere. Assai probabilmente dalla voce dialettale bornese "Caedù" (letto di torrente) tanto che Caìdù è anche un torrentello posto ad ovest dell'abitato.
Cerovine (Sheròen) a m. 1.620 è una sorgente a nord-ovest di Borno e a sud-est della Corna di San Fermo. Carte antiche, risalenti addirittura al 1600, segnano anche una valletta posta poco sotto la sorgente col nome di Cerovine e una località su cui era edificata una baita di nome "Seròten", probabilmente da "Sèr" (cerro).
Chigozzo (Chigòsh) a m.1.600 è un monte a sud-ovest di Borno e a sud-est della frazione Prave (ora in comune di Angolo Terme). Chigòsh forse deriverebbe da "chigoi" sostantivo che in alta Valle Camonica (Monno) indica un'erba mangereccia che cresce oltre i 1000 m.
Città (Pià dele sità) a m. 1.587: è un piccolo altipiano a sud-ovest di Borno, tra la Valle Camonica e la Val di Scalve. Deriverebbe da "Citanae, per lautimiae" (erano le cave di pietra, di epoca romana, in cui venivano reclusi i prigionieri e gli schiavi che era fuggiti). Sarebbe curioso risalire alla etimologia del nome ma nulla si sa del perchè di questa origine toponomastica.
Corvino (Corvì) m. 1.317: già nel 1.750 era segnalata su alcune carte catastali una malga "Curvì" posta a sua volta in una località chiamata "Netti" a sud-ovest di Borno, sul versante destro di val Càmera. Facile intuire che il nome deriverebbe da "Còrf" (corvo) o, meno probabilmente, dal nome di persona Corvius..
Costone (Costù) a m. 1850, località in quota a nord-ovest di Borno sulla sinistra di val Càmera.
Foiada (Foià) a m. 1.080: località a circa 5 Km. dal paese e posta a ovest di Borno; deriverebbe da "fòia" (foglia). Su una vecchia mappa catastale, è stata rilevata anche una "contrada Foià" o "Foièt" a sud-ovest di Borno sovrastante un'altra località chiamata "cìàza Foiada" (piazza fogliata ?) posta a m. 988.
Galina (Galinà) m. 1.100: località su cui, già il secolo scorso, era segnalata una cascina, con un vasto prato e del bosco di conifere, a nord di Borno e quasi a perpendicolo sul paese, di proprietà della famiglia Fiora (autore di questo libro). Deriverebbe da Gallina, antico cognome diffuso in provincia di Brescia.
Giovetto (Soèt) a m.1.294: passo a nord-ovest di Paline (frazione a nord-ovest di Borno). Da "Soèt" diminutivo di "Suff" (giogo). In questa località si svolsero parecchi scontri tra i Bornesi e gli abitanti della Val di Scalve per il possesso dei vasti prati che, durante molti secoli, erano localizzati nei pressi di questo piccolo passo montano.
Guccione (Guciù) a m. 1.429: località montana a sud-ovest di Borno poco sotto il Pian delle Città.
Laser (Làser) m. 700/800: area a nord-ovest di Borno e posta a quota inferiore all'abitato. Controversa la etimologia di questo nome che è abbastanza diffuso in altri paesi della Valle Camonica, potrebbe infatti derivare da "Làresh" (larice) o dal nome proprio "Làser" (Lazzaro) o da "àser" (acero). Questo sito è localizzabile nei pressi dell'attuale località Lazzaretto, dove sorse (e vi è ancora) anche una cappelletta in ricordo dei morti per la peste nel XVI secolo.
Lova (Lòa) a m. 1.300: altopiano e depressione a nord di Borno con numerose cascine (molte ristrutturate di recente) e un bellissimo laghetto artificiale, realizzato all'inzio del 1900, dal gruppo cotoniero Vittorio Olcese, da cui si emana la val di San Fiorino. Dal lago, tramite un canale artificiale, quasi completamente in galleria, l'acqua viene inviata ad una vsca di raccolta, in località Balegge, e poi fatta "cadere", in condotte forzate, verso la centralina in località Rocca e poi ancora all'altra centralina dell'Olcese di Cogno. Nella stessa zona del laghetto, poco più a nord e a quota più elevata si trova la sorgente Lovareno (Loarè) le cui acque alimentano lo stesso lago ma anche un ramo dell'acquedotto di Borno. L'etimologia di entrambe le località sarebbe da "Loatì" e "Loatù" (lupetto e lupacchiotto), e così dovette essere anche "Lòa" (lupa).
Màndol antica contrada di Borno nei pressi della chiesa parrocchiale a nord-est della stessa.
Mandolini (Mandolì) a m. 700, antiche cascine a sud-est di Borno presso la frazione Annunciata (ora nel comune di Piancogno).
Marza (Àl Marsha), la vàl Marsha è una piccola valle posta a sud-est di Borno. "Màrsha" è voce dialettale che significa "marcia" o "cattiva".
Merino (Merì)a m. 1.500 e fino a m. 1900 si stende il Pià de Merì vasto sito in dolce pendenza a nord-ovest di Borno posto sotto la cima del monte Moren.
Mignone (Mignù) a m. 1.742 è localizzato il "mùt Mignù" e a m. 1.527 il "còl de Mignù" a nord-ovest di Borno. Il nome deriverebbe dal lombardo antico "Migna" (Salix caprea), percio Mignù suona come accrescitivo del nome di questa diffusa pianta alpina.
Mine (càp de Mine)a m. 1327, località a sud-ovest di Borno sotto la Corna Rossa.
Monte Altissimo a m. 1.704: a sud est dell'altipiano bornese da cui, dagli anni '70 del secolo scorso, partono numerose piste da sci. Sono presenti impianti di risalita, baite per alpeggio e luoghi di ristoro per turismo sia estivo che invernale. Gli impianti di risalita, composti da una cabinovia e da diversi skylifts, partono da località Ogne a quota 1.100 m. e salgono fino alla vetta del monte Altissimo passando per una stazione intermedia. Dalla cima si diramano poi le varie piste di discesa.
Moren (Mòren): a m. 2.235 è localizzata la "sima Mòren" a nord-ovest di Borno sotto il Pizzo Camino. A m. 1.598 si trovava, già il secolo scorso, la "Malga Mòren" a sud-est della cima. Il gruppo è tutto dolomitico e il suo nome deriverebbe da "Morra" (recinto di pietre) o da "Morena" (muro o muraccia di ciottoli formata da detriti di roccia portati dai ghiacciai), oppure anche da "Mor" (mucchio di sassi).
Morosina (Morosina) a m. 1.563 era segnata su mappe catastali del secolo scorso, una vecchia malga a sud-ovest di Borno
Mozza (Mòsha) a m. 1.424 è localizzata una "Corna Mòsha" ad ovest di Borno posta sul confine con la Val di Scalve. Questo monte era già segnato su alcune mappe medioevali e il nome locale più comune di questa "Corna Mòsha" (Corna Mozza) è Bèlem (vedi voce precedente).
Mùstììs lungo e stretto prato che costeggia la strada interpoderale che conduce da Borno al monte San Fermo, alla cui sommità sorgeva un'antica cascina. Curiosità storica: quando, nel 1920, la valle del Panzine, che passa a fianco del terreno, aveva già eroso la sponda sinistra e minacciava la "baita", questa venne smontata pietra su pietra e trasferita sull'altra sponda, sul un altro prato, in località Böss, sempre di proprietà della famiglia Fiora. Sulle vecchie mappe catastali figura ancora anche la vecchia cascina di cui si rileva, ai nostri giorni, solo la traccia.
Negrini (Negrì), a sud-ovest di Borno al confine con la Val di Scalve si erige questo monte le cui pendici sono state luogo famoso di contese e di cruente lotte tra i Bornesi e gli Scalvini.
Onie (O'gne), località a sud-ovest di Borno sul fianco destro del monte Altissimo da cui partono numerosi impianti di risalita e alcune piste da sci. Il nome molto probabilmente viene dal dialettale "Ogna" (ontano alpestre).
Panzine (Pànsen) piccola valle che fa da confine tra i comuni di Borno e di Ossimo (frazione Ossimo Superiore). Questa valle è posta a est della valle di San Fiorino.
Pendrizze (Pendrèshe), località posta sopra i m. 1.400 a nord-ovest di Borno e a sud dei "Còregn de San Fèrem" (Corna di San Fermo). Deriverebbe da "Pendrescia" antica voce lombarda che indicava una pendice ma anche antico vocabolo sinonimo di pendio ripido.
Pizzoli (Pìshoi) a m. 1.067 sono localizzate tre piccole sorgenti a sud-ovest di Borno. Sull'altopiano si ritiene che le acque che sgorgano da queste fonti siano molto "leggere" (cioè non dissetano, tanto che, viene tutt'oggi ricordato, i boscaioli o manutentori dis entieri, che si recavano in questa località per lavoro, portavano con se l'acqua da bere o aggiungevano aceto all'acqua di queste sorgenti… per toglieri la sete e l'arsura) e anche oligominerali. Pìshoi sarebbe il plurale di "Pishol" o "Pissol" (cascatella di acqua ma anche pisciatoio).
Pralezzo (Pralèsh) località a m. 990, a nord-est di Borno sul fianco sud della val del Panzine.
Prave (Pràe) a 1.139: piccolo nucleo composto da case rurali e cascine che negli ultimi anni è divenuto luogo di villeggiatura estiva, a sud-ovest di Borno e a nord-ovest di Angolo (l'abitato e i boschi circostanti, si trovano nel comune di Angolo), è posto in un'area pianeggiante da cui "Pràe" (prateria).
Queita (Quèita) a m. 1.275: località a nord-ovest di Borno e a nord-est di Palline. Il nome deriverebbe da "Quieta" (tranquilla o cheta).
Rivadossi (Riadòsha) a m. 970: località a nord-est dell'abitato di Borno presso la sponda sinistra della valle San Fiorino, da "Ria" (riva) e "Dòsha" ("dossa" femminile di dosso), oppure da Rivadossi cognome molto diffuso a Borno. Questa località, a partire dagli anni '70, ha avuto un enorme sviluppo edilizio ed ormai è in pratica integrata all'abitato di Borno.
Rocca (Ròca) a m. 752 era una località che già nel secolo scorso aveva una cascina. Poi, ad inizio del secolo scorso, è stata costruita una piccola centrale idroelettrica, dal gruppo cotoniero Vittorio Olcese, le cui acque, provenienti dal lago di Lova, sono, successivamente al passaggio nelle turbine producono energia elettrica ma poi, convogliate verso una vasca di raccolta sono riutilizzate per un nuovo "salto" alla centralina di Cogno. Questa località, a confine tra i comuni di Borno e Piancogno è sulla strada che porta all'Annunciata, sul fianco della val Trobiolo. Non è chiara l'etimologia del nome ma forse potrebbe derivare da una piccola rocca (di cui non restano però tracce) posta sull'antica strada che congiungeva il fondo valle con l'altopiano bornese.
Romile (Rumile) a m. 1.558 sorge un bellissimo e antico roccolo a nord-ovest di Borno e a sud-est della Corna di San Fermo. Il nome deriva da "Romilia" (loto: celtis australis).
Salven (Shàlven) a m. 1.108: località pianeggiante e passo montano su cui sorgeva già nel medio evo una grossa croce (da cui: "Crùs de Shàlven") a sud ovest di Borno e a nord di Palline lungo la strada che collega la Valle Camonica alla Val di Scalve. Nei pressi di questa località, dagli anni '70 sono sorte numerose "seconde case" di villeggiatura e anche alcuni condomini. In pratica il passo si trova a cavallo tra la Valle Camonica e la Valle di Scalve e nei suoi pressi sorgevano anche i "sanatori" per le cure contro malattie respiratorie dato il continuo e non violento ricambio d'aria provocato dalla confluenza di correnti in quota provocate dalle diverse temperature (e perciò termiche) delle due valli.
Sanatori (Shanatòri) a m. 1.131 è una località posta nei pressi di Croce di Salven dove furono costruiti delle strutture sanitarie (3 padiglioni e altre abitazioni) chiamate sanatori per curare alcune malattie delle vie respiratorie. Dal 1960 gli edifici sono in completo e triste abbandono e dal 2009 la proprietà (l'ASL di Valle Camonica) cerca acquirenti anche tramite aste ma vincoli architettonici limitano molto le prospettive di investimento.
San Fermo (San Fèrem)a m. 1.869 è posto un antico rifugio che completa un sacello forse (ma non è provato) di epoca longobarda o carolingia (vedasi la storia di San Fermo, San Glisente e Santa Caterina nel capitolo precedente). Poco sopra il piccolo tempio sono localizzate le Corna di San Fermo a nord-ovest di Borno.
San Fiorino (San Fiurì) m. 979: chiesetta posta poco distante dal centro storico del paese e ormai circondata da molte costruzioni. E' posta a nord ovest di Borno sul fianco della valle che prende lo stesso nome.
Taugine (Taùsen) a m. 1.537: località a sud-ovest di Borno sul versante destro dell'altopiano.
Trobbiolo o Trobiolo (Trùbiòl; Trobiòl) torrente che scorre a sud-ovest di Borno ed è tributario di destra dell'Oglio a Cogno.
Val Sorda (Val Sùrda) a m. 1.399: è una depressione a sud-ovest di Borno posta a confine tra le località montane Taugine e Chigozzo.
Vallala (Val Lala): piccola valle a sud-ovest della frazione Palline e che va a buttarsi nel fiume Dezzo in Val di Scalve.
Varicla (Varìcla) a m. 2.218: è segnato, anche su carte risalenti al 1750, un passo montano a nord-ovest di Borno e posto sotto il Pizzo Camino. Il nome potrebbe derivare da "Valicola" (piccola valle).
Zumella (Sùmèla)a m. 1.700: già nel 1700 era segnalata una malga per l'alpeggio a nord-ovest di Borno sulla destra del val Caidone. Il termine dialettale "Sòmela" significa "gemella", ed è un nome diffuso nelle valli Bresciane e Bergamasche per indicare dei piccoli passi o gioghi alpini.

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