Dalla Rivoluzione Francese al Regno d'italia



Era il 27 maggio 1796 quando, a soli 85 giorni dalla nomina di generale comandante in capo delle truppe per la "Campagna d'Italia" il giovane Napoleone Buonaparte (non ancora Bonaparte),
Napoleone I
(Ajaccio 1769 - Sant'Elena 1821)
Figlio di Carlo Buonaparte (egli mutò poi il suo cognome in quello di Bonaparte) e di Letizia Ramolino, nel 1793 già ufficiale d'artiglieria ottenne la resa di Tolone e l'anno dopo fu promosso generale di brigata in Italia. Nel 1795 domò la rivolta realista del 13 vendemmiaio. Fu nominato, nel 1796, al comando dell'armata d'Italia. Riconosciuto genio militare, non curandosi dei piani del Direttorio, con una serie di brillanti vittorie conquistò buona parte della penisola costringendo l'Austria ad accettare la pace di Campoformio (1797). Da allora i suoi successi militari furono in continuo crescendo: tra il 1800 e il 1809 sgominò tutte le coalizioni con cui la vecchia Europa assolutistica e conservatrice cercava di colpirlo. Fondandosi sui suoi successi militari Napoleone percorse i gradi di una ineguagliabile carriera politica: Console nel 1799 e Console a vita dal 1802, auto nominatosi imperatore nel 1804, re d'Italia nel 1805. Dopo aver ripudiato la prima moglie Giuseppina Beauharnais, aveva sposato nel 1810 Maria Luisa d'Austria, dalla quale ebbe l'anno dopo un figlio, il 're di Roma', destinato a precoce morte. La resistenza dell'Inghilterra, i dissidi con il mondo cattolico, il ridestarsi delle aspirazioni nazionali e liberali nei popoli fortemente oppressi dalle truppe francesi e la campagna nelle sterminate terre russe furono tra le cause del declino del suo potere assoluto e della definitiva sconfitta. Costretto a ritirarsi precipitosamente dopo la disastrosa campagna di Russia, sconfitto a Lipsia e, dopo l'estremo tentativo dei cento giorni a Waterloo, fu deportato nella lontana isola di Sant'Elena nell'Atlantico, dove morì di cancro. Un suo fedele seguace, il Las Cases, ne raccolse le confidenze degli anni dell'esilio, pubblicandole poi con il titolo di Memorie di Sant'Elena.
che aveva appena compiuto 27 anni, alla testa delle inarrestabili truppe della giovane Repubblica Francese, entrava per la prima volta in Brescia e vi soggiornava per due giorni.
     Le idee "giacobine" portarono non solo una forte tensione all'interno di una società ancora basata su caste distinte e quasi impermeabili (se non in rari casi di elevazione di censo, specie nel Regno Sabaudo in cui venivano inglobati nella nobiltà anche coloro che si distinguevano nelle loro professioni come quelle al servizio dello Stato: notariato, militare ecc), e intenzione di cambiamento politico-sociale (prevalentemente elitaria e decisamente poco popolare !) ma divennero anche sempre più presenti e "alla moda" i simboli esteriori scopiazzati dalla rivoluzione: sugli abiti dei "francès" (filo-francesi) comparvero coccarde con i colori blu, bianco e
Stendardo tricolore
dell'Imperatore Napoleone
rosso, alle finestre delle case furono stese bandiere e fasce tricolori e furono innalzati, un poco ovunque, nelle piazze, ma specialmente sui sagrati delle chiese, gli alberi della libertà (simbolo della vittoria della rivoluzione sul vecchio regime).
     Esattamente otto anni dopo lo scoppio dei primi moti a Parigi, "la Rivoluzione" importata dalla Francia e già divulgata in gran parte dell'Europa centrale, arrivata, sulla spinta delle baionette francesi, anche in nord Italia vide, ma solo 8 mesi dopo, il 18 marzo 1797, la istituzione di un governo provvisorio bresciano.
     In aprile (1797) la Valle Camonica fu annessa territorialmente e amministrativamente alla "Repubblica Bresciana" che era stata dichiarata dai "giacobini" bresciani in città e in tutta la provincia.
     Il nuovo ordinamento e la nuova società erano però apertamente sostenuti, più che dalla forza delle idee, dalle armi e dai cannoni francesi.
     In maggio, Venezia e tutte le sue terre, oltre il Garda, furono cedute da Napoleone all'Impero d'Austria.
     L'antica e gloriosa Serenissima Repubblica di San Marco era caduta impavidamente, senza combattere, con un decreto Dogale del Maggior Consiglio che si diceva semplicemente "disciolto".
     Nel "Le confessioni di un Italiano" di Ippolito Nievo, ricordando l'ultima seduta del Maggior Consiglio si legge testualmente: "Lodovico Manin, ultimo Doge, salva la pelle di fronte agli ultimatum di Napoleone: balbettò alcune parole sulla necessità di accettare quelle condizioni, sulla resistenza inutile… Propose sfacciatamente l'abolizione delle vecchie forme di governo e lo stabilimento della democrazia… e non vi fu mano d'uomo che osasse strappargli dalle spalle il manto ducale, e stritolare la sua testa codarda su quel pavimento dove avevano piegato il capo i ministri di Re e Legati dei Pontefici !"
     Mille anni di storia cancellati con una firma in calce al verbale di una assemblea che aveva perso tutto il suo grande splendore e la sua fierezza.
     Dal 1° maggio (1797) fu ufficializzata la nascita della "Provincia bresciana della Montagna", che pressappoco corrispondeva alla Valle Camonica che a sua volta fu suddivisa in 9 municipalità: Pisogne, Darfo, Bienno, Borno, Breno, Capodiponte, Cedegolo, Edolo, Pontedilegno.
     Il capoluogo di questa provincia (che ebbe vita breve) fu posto a Breno dove fu stanziato anche un nutrito contingente armato di milizie francesi.     
  • 1797: 22 settembre: viene introdotto anche nel bresciano l'anno Repubblicano imposto dalla Repubblica Cisalpina e sostituisce per qualche tempo quello gregoriano. Cambiano i nomi dei mesi: nevoso (gennaio), piovoso (febbraio), ventoso (marzo) … Prendono nuovo nome anche i nomi dei giorni della settimana: primodì (lunedì), duodì (martedì) … Le feste cristiane vengono sostituite con quelle politiche.
    Due mesi dopo, in luglio, fu creata la Repubblica Cisalpina.
     Nel susseguirsi rapidissimo e molte volte neppure compreso sia dagli amministratori locali che dalla gente comune, di nuove, rivoluzionarie leggi e ordinanze (e instabili… perché forse troppo "rivoluzionarie" e difficili da mettere subito in pratica), la valle cambiò più volte ordinamento geo-politico: già il 5 novembre la Repubblica Cisalpina venne suddivisa in 20 dipartimenti e la Valle Camonica venne a sua volta suddivisa in più dipartimenti, non certo territorialmente omogenei e in modo totalmente incomprensibile per i Camuni e per coloro che vivevano e lavoravano sul territorio.
     La nuova "partizione" dipartimentale, non tenendo assolutamente conto dell'orografia del terreno e delle tradizioni politiche e storiche della zona, con varie diverse aggregazioni, venne ricavata a tavolino, a Milano, consultando alcune delle vecchie e non molto precise carte militari redatte dai cartografi della Repubblica Veneta che risalivano alla fine del 1600 e che da allora non erano state più aggiornate.
     Questa nuova suddivisione territoriale fu tracciata da tecnici, burocrati, funzionari e da militari francesi e fece si che la maggior parte della Valle Camonica fosse aggregata al dipartimento dell'Adda e dell'Oglio, mentre la valle del Grigna (con i comuni di Esine, Berzo e Bienno) entrò a far parte del dipartimento del Mella a cui era collegata fisicamente solo con il difficile e non sempre percorribile passo di Crocedomini mentre geograficamente era ed è sempre stata una valle strettamente inserita nel cuore stesso della bassa Valle Camonica a cui era direttamente collegata da brevi, numerose e ben tenute vie di comunicazione.
     Il dipartimento del Serio arrivava invece fino a Dezzo e comprendeva anche la Val di Scalve. Il dipartimento dell'Adda e dell'Oglio aveva come capoluogo Morbegno e tutti i numerosi uffici amministrativi e logistici erano stati posti in una sede staccata a Sondrio in Valtellina.
     La Valle Camonica, nella sua maggior parte, proprio quella sotto il dipartimento dell'Adda e dell'Oglio, fu suddivisa in quattro distretti che avevano per capoluoghi amministrativi locali i centri di Darfo, Cividate, Capo di Ponte, Edolo.
     Nelle sue varie campagne, combattute in ogni angolo d'Europa, Napoleone affrontò ripetutamente eserciti nemici (più volte formati da coalizioni di diversi e anche contrastanti interessi delle varie Case regnanti in Europa) e anche nel piccolo scacchiere della Valle Camonica, il cui confine nord era al passo del Tonale, vi furono numerosi scontri, movimenti di contingenti armati, di pezzi di artiglieria (specie tra Francesi e Austriaci) e purtroppo vennero messe in atto, da entrambi i belligeranti, pesanti e numerose e razzie ai danni della popolazione locale.
     Il passo del Tonale portava allora ben più di oggigiorno, verso il cuore dell'Impero Asburgico, ed era considerato militarmente più importante che non quelli vicini del Mortirolo e dell'Aprica che erano porte di accesso alla Svizzera da cui proprio Napoleone "staccò" la Valtellina.
     Il Tonale e la strada militare che scendeva in val di Non erano ritenuti, sia dagli strateghi francesi che da quelli austriaci, uno dei punti più delicati di contatto tra la Repubblica Cisalpina e il Tirolo del sud e il Trentino e cioè direttamente con l'Impero Austriaco.
     * 1798: 28 giugno: la Repubblica Cisalpina sopprime i conventi delle monache di Calvisano, di Darfo e di Asola.
     * 1798 9 settembre: "Dicesi il comandante francese (della Repubblica Cisalpina) abbia comandato a tutti gli osti e locandieri di rassegnargli tutti i giorni i nomi de forestieri che capitano ai loro alberghi". Si trattava di una norma di polizia per il controllo del territorio da parte dei francesi.
     * 1799 30 aprile: a Lovere giungono "sei mille soldati dell'Imperatore della Valle Camonica; de' quali circa settanta a cavallo".
     * 1799: 26 agosto: "Sono venuti in Lovere S. Ecc. R. Monsignor Giovanni Nani vescovo di Brescia ed il nob. Signor Co. Gio. Battista Bresciani di Bergamo per esaminare tutte le nostre monache, molte giovani camune, se vogliono entrare in Monastero, le quali tutte volontariamente hanno protestato di volervi entrare. Monsignor vescovo questa notte ha cenato e dormito con la sua corte in casa di Adorno Bazzini.
     Gli Austriaci nel 1798-99, con un nutrito contingente di truppe imperiali austro-tedesche e con il supporto (per la prima volta) di un reparto Russo con due reggimenti di cavalleria di ussari Cechi e Croati, passando proprio per il sud Tirolo, la Val di Non e scendendo dal Tonale, riuscirono a riconquistare militarmente la Valle Camonica che fu a lungo contesa ai distaccamenti di truppe franco-bresciane.
     In alta Valle si ebbero diversi scontri tra armati per contendersi la strada che conduceva al passo del Tonale: a Ponte di Legno, Vezza d'Oglio, Temù, Stadolina, Vione ed Edolo: non furono grosse battaglie ma solo delle scaramucce, pur con morti e feriti, con relativo impegno di truppe regolari.
     I Francesi, messi in difficoltà anche su altri fronti, per non venire circondati dalle truppe imperiali, si ritirarono dalla Valle Camonica seguendo due direzioni di marcia: una verso la Valtellina attraverso il passo dell'Aprica e del Mortirolo (che erano riusciti a presidiare e a difendere) e l'altra passando per la bassa Valle Camonica. In un ripiegamento ordinato ma molto veloce transitarono (depredando ogni avere) da Lovere e la Val Cavallina, dirigendosi prima verso Bergamo, per poi passare nel territorio piemontese, dove, incalzati nuovamente dagli eserciti imperiali, furono obbligati a valicare in massa le Alpi per rientrare sul loro territorio nazionale.
     Era una momentanea vittoria delle armi degli alleati degli imperi centrali contro i Francesi e, i solerti funzionari di Vienna, subito re-insediatisi nel posti di comando e di controllo, rimisero immediatamente in vigore gli statuti che erano stati cancellati all'arrivo delle truppe della rivoluzione.
     Fu però una tregua di breve durata: rientrato da altre campagne in altri paesi (Egitto prima di tutto), Napoleone, in maggio (del 1800) ridiscese in Italia alla guida di una nuova "Armata d'Italia" e il 14 giugno a Marengo (vicino ad Alessandria) inflisse una pesantissima sconfitta agli eserciti alleati, comandati dal generale Melas, che si ritirarono precipitosamente in fuga verso Vienna e il centro Europa lasciando campo libero in tutto il nord Italia (e non solo) alle truppe francesi.
     Fu ricostituita la Repubblica Cisalpina e furono subito rimesse in funzione le leggi e la suddivisione territoriale che erano state imposte nella prima occupazione francese.
     Esattamente un anno dopo, il 15 maggio 1801, venne adottata una nuova suddivisione territoriale della Repubblica e la Valle Camonica fu assegnata provvisoriamente al dipartimento del Serio che aveva per capoluogo amministrativo la città di Bergamo.
     Nel 1802 vi fu la proclamazione ufficiale della Repubblica Italiana: Napoleone fu eletto Presidente e la Valle, l'anno successivo (1803) fu definitivamente unita al dipartimento di Bergamo.    
  • 1802: 24 luglio: a Brescia nasce la Camera primaria di commercio alla quale devono iscriversi tutti i commercianti e artigiani della provincia, in sostituzione delle abolite corporazioni.
     Due anni dopo, nel 1805, con Napoleone già autonominatosi Imperatore dei Francesi, fu proclamato il Regno d'Italia e fu adottato un nuovo ordinamento: la Valle Camonica rimase sempre "apparentata" al Dipartimento del Serio, ma fu divisa in tre "Cantoni" che avevano i loro capoluoghi a Pisogne, Breno, Edolo.
     Questi Cantoni a loro volta furono suddivisi in vari Comuni, che facevano capo alle principali municipalità.
     Queste, corrispondenti ai vecchi comuni riconosciuti dagli ordinamenti della Repubblica Veneta, furono rette da "Sindaci" non eletti dai cittadini ma nominati direttamente con decreto dal Viceré (che risiedeva a Milano) o da suo delegato (a Bergamo).
     Per quattro anni vi fu un'apparente stabilità e, dopo tanti sconvolgimenti anche profondamente traumatici per i costumi e la politica, la dominazione francese cercò di modificare sostanzialmente e profondamente la vecchia struttura sociale con continue leggi che rivoluzionavano le tradizioni locali.
     In questi anni di ferrea dominazione, il peso del giogo Napoleonico si fece particolarmente duro fino a divenire praticamente insopportabile: furono imposte una miriade di nuove tasse e numerosi balzelli, fu resa periodica la coscrizione di giovani ma specialmente erano quotidiani i sequestri, le ruberie e le violenze da parte delle truppe francesi "piazzate" in numerosi "punti strategici del territorio".
     Molto gravoso era il vettovagliamento e la "obbligatoria stanzialità" di numerosi contingenti armati che, presiedendo in forze il territorio, dovevano essere mantenuti, sia con regolari razioni di cibo, che nel vestiario e negli alloggiamenti, dalle municipalità che venivano spogliate di tutto per sopperire a queste dure imposizioni.
     Conseguenza diretta della odiata coscrizione obbligatoria, delle pesantissime e innumerevoli imposte e tasse, in quegli anni ricomparve e, per i Francesi, ridivenne un grande problema di carattere sociale ed economico il banditismo che imperversava in varie contrade e che raggiunse uno sviluppo che non era stato mai così diffuso specie nelle terre dell'alta valle che pure avevano sempre avuto questa "tradizionale" piaga.
     Gruppi di fuorusciti, di coscritti che si erano sottratti alla leva, di delinquenti comuni, di prigionieri evasi, riuniti in bande, derubavano non solo le baite di montagna e le abitazioni isolate ma giunsero perfino a colpire anche alcuni grossi paesi e agglomerati di case come a Cedegolo, Poja e Vione dove vi furono uccisioni, violenze e saccheggi.
    
Copertina del libro
di Gregorio Ambrosi:
Napoleone
in alta Valle Camonica
Come in tutto il territorio controllato dai Francesi, il 10 giugno 1801, su ordine dipartimentale, vennero espulsi dal loro convento di Edolo, gli ultimi frati Cappuccini che ancora erano presenti in alta Valle Camonica.
     Il 21 giugno (sempre del 1801) vennero posti a Ponte di Legno la "Dogana" e il "Dazio di Confine" e venne insediato il "Ricettore del Dazio" con un "Assistente" e con un "Presentino" (altro aiutante di bassa categoria) e il giorno dopo alcune squadre di militari francesi incominciarono a battere casa per casa per riscuotere le tasse, le gabelle e i dazi che erano stati imposti e che, per renderli noti a tutti, dalla mattina presto fino a sera erano stati fatti leggere direttamente nelle chiese e sulle piazze.
     In quell'anno il prezzo del grano (formentone) al principale mercato della Valle Camonica, quello di Pisogne, era salito a cifre impressionanti e si pagava, quando ve n'era disponibilità per il libero mercato, "fino a lire duecento e cinque per carga e carissimo era ogni altro genere di vettovaglie".
     Molte furono le lamentele in ogni paese della valle durante le riscossioni delle gabelle, tanto che molti "sbirri" vennero insultati pesantemente.
     La reazione ai soprusi esplose in aperte contestazioni e, per questo motivo alcuni cittadini furono arrestati e portati davanti ai giudici e condannati a pene detentive e a salate multe.
     L'anno seguente (1802) la tensione al confine del Tonale tra le truppe austriache e i militari francesi, che si fronteggiavano a poche centinaia di metri, crebbe fino allo scambio di numerosi colpi di fucile.
     Subito furono fatte affluire in zona altre truppe che si ammassarono nei paesi dell'alta Valle, a ridosso del confine, portando ulteriore gravame alle già provate popolazioni.
     Fu proprio in alta Valle Camonica che, oltre ai già citati funzionari di dazio e guardie confinarie, vennero rese operative anche delle squadre di "battitori di strada" che avevano il compito di controllare i sentieri e le mulattiere che passavano oltre confine e che erano divenuti i principali punti di transito per merci e uomini per un fitto contrabbando, unica risorsa per molti Camuni.
     Nel 1808 alcune truppe austriache, che si erano insediate e fortificate in buon numero sul confine del Tonale e si erano acquartierate a Vermiglio, venendo a conoscenza di un rivolta popolare, accesasi per l'ennesima campagna di raccolta "straordinaria" di denaro e vettovagliamenti, dopo che i pochi gendarmi al passo erano fuggiti alla vista delle truppe regoleri, scesero verso Ponte di Legno e giunsero fino ad Edolo in aiuto di alcuni insorti camuni che avevano cercato, da soli, inutilmente, di cacciare dalla zona i francesi.
     La reazione dei Francesi fu rapida pesante e portò ad una disfatta completa sia per i rivoltosi camuni che per i regolari austriaci, che risalirono rapidamente al passo e ridiscesero verso la val di Non abbandonando gli insorti alla loro sorte.
     La repressione messa in atto dai commissari napoleonici fu durissima con fucilazioni sul posto e deportazioni.
     La presenza francese in Valle, da quel momento, non fu più messa in pericolo da sommosse o colpi di mano e gli occupanti restarono padroni incontrastati fino alla disfatta totale di Napoleone a Waterloo nel 1815.    
  • 1810 23 aprile: vengono soppressi per decreto imperiale Ordini e Congregazioni religiose, suscitando lo sdegno dei fedeli e preoccupazione per quanti sono costretti ad abbandonare i luoghi di vita comunitaria.
  • 1815 7 aprile: la città di Brescia e la provincia entrano a far parte del Regno Lombardo-Veneto costituito dall'Imperatore Francesco Giuseppe d'Austria.
Col trattato di Vienna e con la Restaurazione degli Stati e degli ordinamenti pre-napoleonici, la Valle Camonica fu posta sotto il dominio dell'Impero Austro-Ungarico, dato che Venezia e la sua Repubblica, come scritto ad inizio del capitolo, erano semplicemente scomparsi dal mondo politico internazionale e dalle carte geografiche.
     Dall'avventura rivoluzionaria e napoleonica la Valle Camonica ne uscì politicamente, socialmente ed economicamente sconvolta ed enormemente impoverita: mai, da secoli, la nostra terra fu portata ad uno stato di povertà e prostrazione economica di tale livello.
     Anche qui, come in quasi tutti gli stati Europei, la rivoluzione fu in pratica solo subita: non fu mai sentita dal popolo, dal clero e dalla classe nobiliare locale (e poi, dopo un certo, pur parziale, entusiasmo iniziale) anche dal ceto medio, quello più tartassato e derubato) che anzi apertamente la osteggiarono e la avversarono in più modi (fino alle aperte e sanguinose rivolte spente nel sangue).
     Invece di portare realmente la libertà, la fraternità e l'uguaglianza, che tanto avevano infervorato ed esaltato gli spiriti liberi e liberali dell'epoca, le truppe francesi (prima della Repubblica e poi dell'Impero) portarono il "loro ordine" con lutti, sopraffazioni, violenze, immensi danni ed enormi ruberie.
     La rivoluzione francese, dopo i primi grandi traumi sociali interni alla neo Repubblica con il periodo del Terrore e della guerra contro "gli eserciti nemici interni ed esterni", si contraddistinse da subito non come un'azione popolare di liberazione dal "vecchio regime" ma come una campagna di conquista e sottomissione dei popoli con cui veniva a contatto.
     Il primo atto e la prima preoccupazione delle truppe di occupazione francesi fu sempre e ovunque di creare un nuovo sistema geopolitico razionale, codificato, ben controllabile dai militari, dai funzionari e dalla polizia.
     Questo portò alla messa in opera di una capillare amministrazione dei paesi conquistati in cui veniva regolarmente resa operante una burocrazia piratesca e ossessivamente pignola e pesante, con le odiate e invise coscrizioni obbligatorie che erano poste in atto quasi continuamente per sopperire alle carenze di organici nell'esercito francese.
    
Ritratto ufficiale
di Napoleone
Per mantenere in funzione e sostenere questa enorme macchina di guerra e di occupazione territoriale furono saccheggiati impunemente, per anni, sia beni pubblici, che ecclesiastici, che privati. Furono sequestrati e incamerati oggetti di valore e oggettistica d'arte sia sacra che laica, furono richieste continuamente enormi somme di denaro, di derrate alimentari e di vestiario, furono imposti il mantenimento e acquartieramento (molte volte non solo in edifici privati e pubblici ma anche in chiese, conventi, hospitali e sagrestie) di truppe a spese delle già spremute amministrazioni locali e della già impoverita popolazione che si vide derubata, in molti casi, anche del minimo indispensabile per la propria sopravvivenza.
     In Valle Camonica le ruberie di bestiame prima e, una pesantissima epidemia di afta, che distrusse il patrimonio bovino, poi, la confisca di tutti i beni di consumo (comprendenti perfino le scorte per la semina dei campi per l'anno successivo), ma specialmente i mancati risarcimenti, sempre promessi e mai mantenuti, portarono ad un repentino e notevole abbassamento del tenore di vita della popolazione e a grosse sacche di povertà che scompaginarono completamente anche il tessuto connettivo della stessa società camuna (e di molti popoli europei).
     La grande pressione fiscale dovuta al continuo stato di guerra instaurato in tutta Europa da Napoleone (e dai suoi nemici), venne a creare, anche a livello locale, una profonda crisi in ogni settore produttivo.
     Fu soprattutto gravissima nell'agricoltura, dove uomini, raccolti e bestiame venivano sistematicamente ed indiscriminatamente requisiti dai funzionari francesi per sostenere non solo le truppe locali ma anche quelle direttamente al seguito di Napoleone nelle sue campagne.
     Quando gli eserciti Napoleonici furono definitivamente sconfitti l'Europa era divenuta una terra immensamente più povera di un ventennio prima, e ci vollero molti anni perché le vaste ferite inferte dall'avventura del "Gran Corso" si rimarginassero.
     Dopo il 1815 i nuovi "padroni" austriaci si trovarono di fronte una Valle Camonica (e le altre zone alpine) stremata e quindi ebbero estrema facilità a sottomettere tranquillamente una popolazione stanca di disordine e di ingiustizie, politicamente distrutta nei suoi migliori cervelli e quasi completamente inattiva nelle sue capacità produttive.
     Quello che importava veramente, a quasi tutta la popolazione camuna, anche a quel ceto medio-alto che era la spina dorsale dell'economia locale con i suoi mercati e traffici, era solo la possibilità di avere un poco di pane di segale o un pezzo di polenta e latte da porre sulle misere mense delle povere famiglie e dunque mantenersi, giorno per giorno, in una semplice, misera e tranquilla sopravvivenza quotidiana.
  • 1817: 28 maggio: una grave carestia colpisce in modo particolare la Valle Camonica. Dal paese di Malonno si segnala a Brescia che " la fame va crescendo, in due mesi ne abbiamo seppelliti 40, 30 di questi morti di sola inedia. Sono cinque mesi che la gente comune si pasce di erbe".
     Era da almeno 500 anni, dal tempo delle infinite e cruente guerre medievali tra Venezia e Milano, che la Valle Camonica non era ridotta ad una simile povertà e ad un simile stato di prostrazione.
     Va riconosciuto che l'Impero Austro-Ungarico diede anche una svolta positiva in molti settori: tra i primi atti messi in cantiere dall'amministrazione austriaca in Valle Camonica vi fu la progettazione e la costruzione della strada del Tinazzo, sopra Lovere, per favorire comunicazioni più dirette con Bergamo (e Milano), cui la valle restò unita amministrativamente, come era già di fatto nell'ultimo ordinamento napoleonico.
     Come logico, numerosi furono invece i cambiamenti imposti da Vienna a livello politico: la struttura comunale si differenziò subito con una nuova organizzazione amministrativa e una nominale maggiore autonomia rispetto alle rigidissime strutture centralistiche imposte dai Francesi, ricalcando la struttura statale dell'Impero Austro-Ungarico.
     Questa autonomia però fu quasi solamente formale, di facciata e non di sostanza: i sindaci e ogni altra carica pubblica erano infatti di nomina regia (con il vice Re) e imperiale e tutte le attività burocratiche e amministrative furono rigidamente vincolate all'approvazione dei funzionari, dei poliziotti e dei burocrati austriaci che potevano destituire chiunque in qualunque momento e sostituirlo con altri funzionari di provata fede filo austriaca.
    
Documento ufficiale
del 1823 del Regno
Lombardo-Veneto
La Chiesa, dopo le forti ventate anti-religiose portate dalla rivoluzione francese, fu subito dalla parte del nuovo ordine sociale: la Cattolicissima Austria rifuse alcune delle immense proprietà e dei beni ecclesiastici che le varie parrocchie, santuari e il clero si erano visti sottratti dai Francesi e, anche (o specialmente) per questo le gerarchie cattoliche (e anche il piccolo clero, quello più vicino alla gente che aveva sofferto tanto quanto e forse più dei loro parrocchiani) si schierarono compatte dietro ai nuovi delegati imperiali.
     Ma la rivoluzione francese, sia pure fra grandi, infami e dolorosi eccessi e profonde e radicali deformazioni delle idee originarie di libertà, uguaglianza e fraternità, aveva lasciato inciso profondamente negli spiriti più progressisti un grande disagio politico e sociale per i regimi di stampo tardo medievale come quelli restaurati dal Congresso di Vienna.
     Come nel resto d'Europa, anche in Valle Camonica il ciclone francese aveva piantato in modo ormai non estirpabile e forse anche autentico i semi dell'idea di un "mondo nuovo", aprendo nuove e inusuali prospettive per la vita politica e la stessa società.
     Quest'aria di rinnovamento, che le varie popolazioni del vecchio continente recepirono e sentirono in modi e tempi totalmente e completamente diversi, attecchì anche in Italia favorendo la formazione di quello spirito nazionale che nella nostra penisola era stato fino ad allora (e lo restò ancora a lungo in certe regioni), solo appannaggio di pochi "spiriti illuminati", di solito degli intellettuali o idealisti, volti ad una sognata, agognata ma poco concreta e incerta unità di una Italia che non era mai esistita.
     Questi, in genere giovani del ceto medio, sia economico che nobiliare, non erano solo attirati all'azione violenta e riformatrice dalla sempre presente demagogia delle parole (troppe volte vuote e altisonanti ma sterili e inattive in tanti sognatori) ma dalla volontà di agire direttamente contro quello che era sentito, ormai in un diffuso strato della classe media (quella più vessata economicamente) come uno straniero, oppressore e invasore.
     In molti casi l'animo di questi uomini (pochi per la verità rispetto alla popolazione) era dunque teso verso quell'idea dell'indipendenza e di identità nazionale che, nel giro di mezzo secolo, porterà, prima alle tre guerre d'Indipendenza, intercalate dall'avventura Garibaldina con la conquista del "Regno delle due Sicilie", poi alla proclamazione del Regno d'Italia.
     In Valle Camonica l'idea risorgimentale si fece strada nelle coscienze di alcuni giovani intellettuali (fra cui Antonio Zendrini e Giovan Battista Cavallini) che parteciparono, nel 1821, ai sanguinosi e male organizzati moti piemontesi di Alessandria che finirono tragicamente per gli insorti.
     La Carboneria, società segreta diffusa in modo particolare tra gli intellettuali della Lombardia e della Liguria, trovò alcuni iscritti anche nel solco dell'Oglio, mentre altri ancora si affiliarono, dopo le persecuzioni e gli arresti che colpirono numerosi Carbonari, alla Giovine Italia di Mazzini che fu animata, divulgata e sostenuta, in Valle Camonica e sul Sebino, da Gabriele Rosa e da Gaetano Bergnani.
  • 1829: 19 settembre: una alluvione colpisce la Valle Camonica e provoca gravi danni all'abitato di Cividate, mentre a Darfo le acque impetuose del fiume Oglio distruggono un ponte.
     Malgrado la ben ri-costruita (a posteriori) prosopopea post-risorgimentale si trattò (va sinceramente riconosciuto come verità storica contingente !) solo di atteggiamenti politici molte volte irrazionali che sfociavano in sporadiche azioni dimostrative isolate che lasciavano però la gran massa del popolo completamente indifferente e in molti casi addirittura ostile.
Atto di decesso del 1836
per un bambino di Borno di 2 anni,
del Regno Lombardo-Veneto
     Più che l'idea astratta della libertà e dell'unità italica era l'evidenza quotidiana dello stato delle cose, la vita molto dura e grama, la diffusa povertà a determinare nel popolo un vasto malcontento per il governo austriaco e la sua ossessiva e sempre presente polizia e per la lentissima e pignolissima burocrazia che limitava o intralciava ogni iniziativa commerciale o imprenditoriale e ogni mercato.
     Il malumore generalizzato tra la piccola borghesia e il popolo minuto si trasformò prima in una forte insofferenza e poi anche, in alcuni casi, in aperta rivolta verso un regime profondamente centralizzato e sostenuto da continue azioni di dura repressione poliziesca.
     Lo stato delle cose poteva essere evidenziato in un aforisma che compendia bene il "sistema" vigente: "Nell'Impero Austro Ungarico… tutto è vietato… tranne quello che è espressamente permesso!"
     Esattamente il contrario di quanto dovrebbe avvenire in ogni società moderna (anche oggigiorno e non solo allora) e tendente allo sviluppo socio economico.
     Questo stato di cose era vissuto ormai solo come un sistema soffocante e tirannico che respingeva sistematicamente ogni cambiamento ed ogni richiesta popolare, esigeva imposte gravose, imponeva dazi su tutti i prodotti locali, per proteggere le merci austriache, alienava i diritti e le proprietà comunali a vantaggio di quella classe medio-alto borghese e piccolo nobiliare che era l'ossatura portante e la parte più fedele del cosmopolita e vasto Impero Austro-Ungarico.
     Sintomatico esempio di questa crescente insofferenza in Valle Camonica fu una rivolta popolare scoppiata a Darfo nel 1834, che impegnò a fondo, per alcuni giorni, la polizia austriaca nell'opera di repressione.
     Le forze dell'ordine valligiane e quelle inviate da Brescia non furono però sufficienti ad arginare e a sedare la furia popolare e dovette intervenire, in modo durissimo, una compagnia di cavalleggeri Ussari per riportare la situazione sotto controllo.
  • 1836: 16 aprile: si verificano i primi casi di morte per epidemia di colera che registrerà la punta massima di vittime il 29 luglio. Provocherà diecimila morti, in città a Brescia e nella provincia, su un totale di 335 mila abitanti. Tra le vittime illustri Giuseppe Lechi e Cesare Arici.
     Va comunque ricordato che, nonostante i tempi difficili, la valle divenne protagonista, in questo periodo, di alcune importanti realizzazioni pubbliche e private che saranno destinate a lasciare un profondo segno negli anni a seguire, sia nella società che sul territorio.
     Si registrò un notevole progresso nell'agricoltura e nella forestazione ma fu la trasformazione dell'artigianato del ferro in vera e propria industria siderurgica che fece fare un notevole balzo in avanti a questo importante settore che rimase in forte attività fino alla fine del secolo successivo, quando attorno agli anni ottanta (1980 - 1990) invece fu quasi completamente smantellata, esclusi pochi siti specializzati in particolari lavorazioni.
     La Valle Camonica fin dal medioevo era sempre stata naturalmente, per via dell'orografia del terreno, più facilmente e direttamente collegata a Bergamo che non a Brescia. Politicamente ed economicamente però era quasi sempre stata nell'orbita bresciana e la costruzione dell'importantissima strada sulla sponda orientale del Sebino, che da Iseo giungeva fino a Pisogne, fu il logico sbocco delle attività commerciali e industriali camune verso il fiorente e importante mercato bresciano e padano.
  • 1842: 14 ottobre: il vicerè del Lombardo-Veneto, Ranieri, visita dal lago i lavori per la costruzione della strada litoranea. Marone - Vello - Pisogne che sarà completata nel 1850.
  • 1844 7 febbraio: a Temù alla frazione Villa d'Alegno un violento incendio distrugge 47 case privando 200 persone della loro abitazione.
     Il 1848 è passato alla storia del vecchio continente come un anno di numerosi, diffusi e profondi moti rivoluzionari in tutta Europa, tant'è che dire: "fare un 48" vuole ancora significare grande confusione o uno stato di lotte e rivendicazioni violente: questa fraseologia deriva proprio dal ricordo e identificazione di quanto accadde specialmente in quel turbolento anno.
     Gli antichi regimi, copie abbastanza fedeli ma anche molto sbiadite di quelli spazzati via dal turbine Napoleonico, ma rimessi al potere dalla contro rivoluzione del Congresso di Vienna, pur sopravvivendo nelle loro più radicate tradizioni istituzionali, non riuscivano più a dare quelle risposte sostanziali che i settori più attivi e irrequieti di una società in rapida evoluzione socio-politica attendevano da chi deteneva il potere che in molti casi restava ancora assoluto e che era creduto (e in parte riconosciuto !) che fosse di diretta concessione di Dio.
     Dimostrazione di questo stato di fatto era che molti Re e Imperatori erano (e lo restarono ancora fino all'inizio del XX secolo e allo scoppio della prima guerra mondiale) considerati, dai loro sudditi, esseri superiori e con particolari poteri di diretta derivazione divina (di preveggenza, di saggezza, di infallibilità, di possibilità di guarire e di far ammalare ecc.).
     Sull'esempio dei moti che infiammarono violentemente Brescia e Milano, anche la Valle Camonica insorse in quell'anno contro gli austriaci.
     In molti paesi della valle, a dimostrazione come fosse abbastanza diffusamente inviso il potere poliziesco e burocratico austriaco, si formarono corpi di volontari, quasi sempre pochi giovani e il più delle volte armati sommariamente, che dopo i primi istanti di grande esaltazione e massima confusione, confluirono nella Legione delle Alpi.
     Inquadrate in modo improvvisato e molte volte casuale, le entusiaste truppe volontarie camune, vennero poste a presidio del passo del Tonale che era ancora difeso da quelle "provvisorie" fortificazioni (casematte e casermette) che risalivano al periodo in cui il confine tra l'Austria e la dominazione napoleonica passava proprio per il passo del Tonale e le truppe austriache si fronteggiavano a quelle francesi.
     Decisa e anche efficace, da parte italiana, fu una prima resistenza ad alcuni brevi e sporadici attacchi che furono attuati dagli Austriaci per sondare la consistenza delle truppe volontarie, ma, risultò subito decisamente impari lo scontro armato tra le ordinate truppe imperiali e i volonterosi irregolari italiani disorganizzati, malamente armanti (il più delle volte con dei semplici fucili da caccia !) mal comandati e impreparati.
     Già il 27 luglio apparve impossibile, da parte italiana, attuare una valida difesa dell'alta Valle dopo che le truppe austro-ungariche, che erano state fatte giungere da Trento anche in Val di Non e si erano acquartierate a Vermiglio, ben armate e ben coordinate si decisero a sferrare un assalto alla (debole) prima linea di difesa che, tra l'altro sembra fosse stata organizzata non in posizione favorevole, cioè nel punto più alto del passo, ma nei pressi della casermetta di frontiera che sorgeva (lo si vede anche in alcune foto di qualche anno dopo) in una valletta in una posizione sfavorevole ai volontari.
     Il confine era dunque presidiato e difeso da dei semplici cittadini che volevano fronteggiare i militari Austro-Ungarici con una barricata provvisoria formata perlopiù di tronchi e con delle masserizie trovate in alcune cascine e ammucchiate sulla strada che conduceva al passo.
     Gli Austriaci travolsero con facilità questo ostacolo, scavalcarono il confine e iniziarono la discesa verso Ponte di Legno in cui era stato sistemato il comando provvisorio dei volontari.
     Il tempo alle truppe regolari austriache di scendere, addirittura in formazione di marcia, lungo la strada, inseguendo gli Italiani che scappavano verso valle, che dopo poche ore dall'inizio dell'attacco, Ponte di Pegno venne occupata e gli Austriaci ebbero il sopravvento tanto che i volontari, ormai sbandati, si videro obbligati a "ripiegare precipitosamente" verso Vezza d'Oglio dove, trovando una linea difensiva più organica ,facilitata dalla orografia del terreno, cercarono di riorganizzarsi: vi riuscirono solo alcuni giorni poi, scoraggiate e pressate, si sciolsero ad un nuovo avanzamento delle truppe imperiali.
     A livello lombardo il fervore indipendentista, che animava gli spiriti di chi credeva fermamente nella lotta armata per la liberazione del suolo dalla dominazione straniera, si mantenne abbastanza saldo e notevole rimase, anche dopo le sconfitte subite nei primi giorni di guerra, l'esaltazione per le idee di una patria comune, per il Regno Sabaudo come futuro cemento nazionale, per il suo Re e il suo (mal comandato e impreparato !) esercito.
     Vi furono, anche (e soprattutto) per questo, ovunque grandi e piccoli gesti di eroismo… ma la diffusa disorganizzazione e le enormi incompetenze dei litigiosi e meschini vertici militari, i numerosi e insanabili conflitti sulle varie competenze dei vari comandi (anche i più piccoli), gli sballati ordini troppe volte contrastanti e non certo per ultima la sfiducia (dei militari professionisti !) nell'efficacia dell'azione dei tanti e anche valenti volontari, definitivamente frustrata dopo le sconfitte di Custoza e Novara e l'apparente insuccesso delle dieci giornate di Brescia, portò ad una inevitabile sconfitta su tutti i fronti: militare, politico e sociale.
     La repressione poliziesca e militare imperiale fu, ancora una volta, dura e particolarmente meticolosa e così l'Austria poté dominare nuovamente incontrastata e onnipresente (con la sua polizia) per un'altra decina d'anni su una popolazione che diveniva sempre più ostile ma anche sempre più audace nella resistenza sia attiva che passiva.     
  • 1854: 1 novembre: in Brescia e provincia l'Austria introduce una nuova forma d'imposta: le marche da bollo su documenti, atti di affari e d'ufficio, sui calendari (e sui diffusi lunari) e anche sulle stesse multe./li>
     Bastò un decennio di accurata preparazione interna e internazionale con le spericolate manovre (anche di alcova) di quel genio politico che fu il Cavour per modificare sostanzialmente il quadro generale della politica nel nord Italia e nel 1859, mentre Piemontesi e Francesi scendevano in campo vittoriosamente contro gli austriaci nella pianura bresciana, in Valle Camonica, come anche in altre valli lombarde, si costituirono vari "Comitati Insurrezionali".
     Quello camuno fu presieduto da Francesco Cuzzetti ed ebbe come compito sostanziale l'arruolamento di giovani camuni destinati ad entrare nel corpo volontario dei Cacciatori della Alpi che Giuseppe Garibaldi aveva organizzato subito dopo la dichiarazione di guerra dell'Austria al Piemonte.
     Questo famoso corpo di truppe di volontari, formato principalmente da duri montanari delle valli Bresciane e Bergamasche, presidiò armato la Valle Camonica fino al trattato di Villafranca e alla cessazione delle ostilità.
    
Cartina geografica
della Valle Camonica sotto
il Regno Lombardo-Veneto
Fu, quella dei Cacciatori delle Alpi, un'azione militare particolarmente importante anche sotto l'aspetto strettamente politico, poiché, con la sua presenza e le sue azioni vittoriose sulle le truppe austro-ungariche, poste al confine del Tonale e in Trentino, garantì alla Valle Camonica quella indipendenza territoriale che l'Austria non avrebbe mai concesso e permesso a questa valle tanto importante per i collegamenti con il Tirolo e il cuore dell'Impero.     
  • 1859: il 24 giugno a San Martino (nella bassa pianura Bresciana), tra le sei e le sette di mattina le avanguardie degli eserciti franco-piemontese e austriaco si scontrano richiamando le colonne in marcia. Sulle colline di San Martino e Solferino 82.935 soldati degli eserciti francesi e piemontesi affrontano 111.271 soldati austriaci nella più grande battaglia del Risorgimento. Alla fine le truppe austriache si ritirano oltre il fiume Mincio lasciando sul campo 21.730 uomini, tra morti e feriti, mentre le perdite francesi assommano a 11.670 uomini e quelle piemontesi a 5.625.
  • 1859: il 25 giugno a Castiglione, lo svizzero Enrico Dunant continua a prodigarsi nel soccorrere gli uomini di tutti gli eserciti, senza alcuna distinzione di nazionalità, rimasti sul campo nella battaglia di San Martino e Solferino. La dolorosa esperienza gli suggerirà nel 1864 di fondare a Ginevra la Croce Rossa Internazionale.
La Valle Camonica, dopo la pace firmata da Napoleone III e da Francesco Giuseppe, dopo le rimostranze per le clausole che non contemplavano la cessione al Piemonte anche del Veneto e di Venezia, ottenne, insieme al resto della Lombardia, l'annessione al Regno dei Savoia e nel 1861, dopo l'unificazione territoriale dello stivale e delle isole, entrò nel neonato Regno d'Italia che fu proclamato ufficialmente il 17 marzo.
  • Col nuovo ordinamento geopolitico del giovane stato Italiano, esportato (e imposto) in ogni regione, adottando direttamente lo statuto Piemontese (Statuto Albertino del 1848), la Valle Camonica tornò amministrativamente a dipendere dal Compartimento Territoriale di Brescia, che divenne capoluogo di provincia e in cui furono insediati, in modo permanente, tutti gli uffici della pubblica amministrazione sia civile che penale e il distretto militare.



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