La Valle Camonica è una delle più famose, importanti, vaste, lunghe (dal Gavia e Tonale al lago d'Iseo per più di 100 Km) e belle valli che si aprono perpendicolarmente alla pianura alluvionale che si emana dalle pendici della catena delle Alpi. Fu ricoperta, come gran parte dell'emisfero nord del nostro globo, durante il lungo periodo glaciale, da imponenti masse di ghiaccio, alte molte centinaia di metri. Queste esercitarono, per millenni, grandi pressioni e nel loro lento ma continuo movimento, ritirandosi verso nord, lasciarono profondi solchi che furono ulteriormente scavati dalla forza delle acque. Così incominciò a formarsi e modellarsi questa grande vallata. Con buona approssimazione la si può intuire già formata, quasi nel suo attuale aspetto e conformazione idrogeologica, intorno ai 17.000 anni fa, quando l'enorme quantità di ghiaccio, cominciando a sciogliersi e a "strisciare" a latitudini più settentrionali, lasciò gradualmente libera una grande ferita naturale, brulla, inospitale e caratterizzata da rocce lisciate o spezzate dalla sua immane forza. Poco alla volta dovettero emergere dai ghiacci dapprima le vette più alte delle montagne, poi gli altri spuntoni rocciosi che lentamente, erosi dalla forza delle intemperie, in migliaia di anni, si sgretolarono in quei ripidi e desolati ghiaioni che ancora oggi sono da corollario alle nostre montagne. Le rupi, liberate dalla massa gelata, che le aveva compresse per millenni, sotto la forza degli agenti atmosferici si frantumarono in grandi massi o piccole schegge che rotolarono e scivolarono a valle, liberi dalla morsa della pressione esercitata dai ghiacciai che si erano ritirati a quote ben più elevate e alle più fredde latitudini del nord Europa. I corsi d'acqua dovevano essere molto irruenti e con notevoli portate ma a prevalente presenza stagionale. Questo faceva sì che venivano trascinati sul fondovalle, oltre a enormi masse d'acqua, anche grandi quantità di detriti e di ciottoli il cui continuo, costante e a volte violento passaggio contribuiva a scavare profonde forre nei fianchi delle montagne. Per almeno altri 5.000 anni la valle restò brulla, forse ricoperta da primitivi e resistenti licheni e da quella bassa vegetazione che era (ed è anche ai nostri giorni) caratteristica delle zone pre-polari. Dunque, la valle, fu ancora inospitale e poco adatta alla vita animale (e umana) per molti secoli, ma, sul finire del periodo Paleolitico superiore, cioè oltre 15.000 anni fa, grazie ad un ulteriore miglioramento del clima, cominciò a ricoprirsi completamente di una nuova, folta e selvaggia flora.
Con la presenza di alberi d'alto fusto e svariate specie di vegetazione e dunque la possibilità di pascoli sempre più fertili, anche alcune specie di animali iniziarono a risalire le pendici montuose delle Prealpi e delle Alpi. Questi animali, solitamente dei vegetariani, che erano stanziati in quella vasta fascia che si estendeva tra le grandi paludi intorno ai fiumi della pianura (Padana) e i primi contrafforti rocciosi alpini, per fuggire da zone ormai popolate anche da specie predatorie o pericolose, si spinsero sempre più addentro alle nuove valli. Fu in questo periodo che si possono presumibilmente collocare anche le prime timide e fugaci apparizioni dell'uomo nelle vallate alpine. Inizialmente dovette trattarsi solo radi e sparuti gruppi di cacciatori nomadi che, specialmente durante le stagioni meno rigide, si avventuravano all'inseguimento di qualche capo di selvaggina che, per sfuggire alla cattura, cercava rifugio risalendo le scoscese pareti rocciose e le folte e inospitali selve delle montagne più impervie. Poi fu la volta di gruppi più numerosi di cacciatori mesolitici che, armati con attrezzi rudimentali, ma spinti dalla ricerca del cibo e con spirito di esplorazione, di sopravvivenza e di conquista di nuovi territori di caccia, risalirono gradatamente la valle. Passarono i profondi avvallamenti, costeggiarono gli altipiani, guadarono nei punti in cui era possibile, il paludoso e inospitale fondovalle ed eressero, a quote di sicurezza, dei piccoli accampamenti stagionali che dovevano avere la funzione di campi base per le lunghe battute agli ungulati (camosci e stambecchi) che dimoravano, nella stagione calda, a quote più elevate. Di questi primi frequentatori della nostra terra rimangono pochissime tracce sul "fondo della valle" o a quote relativamente basse, mentre sono presenti a quote più elevate e in tutta la vallata dell'Oglio. Anche nell'alta Valle Camonica e a quote diverse, sono stati rilevati degli insediamenti stanziali. Fino al 2005, questa impervia zona a cavallo con altre vallate (Valtellina e Val di Non, ecc) era stata ritenuta, a causa delle difficoltà naturali, senza insediamenti preistorici di una certa rilevanza, ma il dott. Ausilio Priuli, dalla metà degli anni 2000, ha scoperto e studiato, in diverse campagne estive, delle testimonianze di presenze stanziali che potrebbero riscrivere alcune pagine della preistoria camuna e alpina. Comunque il motivo per cui le maggiori testimonianze della presenza dell'uomo in età preistorica solo sulle pendici dei monti o in zone elevate era evidente: infatti quasi tutta la (ora) vasta area fondo valliva, che si estendeva dal lago Sebino ben oltre le naturali strettoie di Cividate e Breno, doveva essere ricoperta da acque o da zone paludose e per questo solo sugli spuntoni rocciosi affioranti o sulle pendici delle montagne era possibile stabilirsi, vivere e lasciare tangibili testimonianze: qui sono stati individuati i primi e più antichi segni concreti della presenza dell'uomo. Già allora, questi antichi nostri progenitori (forse appartenenti al ceppo dei Liguri che si erano radicati in quasi tutto il nord Italia) lasciarono le loro "impronte" sulle lisce pareti rocciose che erano disseminate un poco ovunque in tutta la vallata. Graffiando o picchiettando queste grandi superfici levigate impressero per i millenni successivi innumerevoli figure, incise con pazienza e con fervore religioso, tra le quali, per prime, forse a dimostrazione di una stretta comunanza con la natura, alcune immagini di bovidi. Ma, di queste remote presenze non stabilmente stanziali, sono altresì molto significativi, anche i ritrovamenti dei resti di accampamenti e di alcuni strumenti in pietra, come degli arpioni, delle frecce e alcuni frammenti di strumenti d'uso comune, necessari nella precaria vita quotidiana di quegli intrepidi cacciatori. Questi primitivi manufatti dimostrano e riaffermano come fossero la caccia e la pesca le principali attività di sostentamento in quell'epoca in cui non era ancora presente un'agricoltura razionale. L'alimentazione con i frutti selvatici doveva avvenire solo con la naturale forma della semplice raccolta stagionale di prodotti spontanei, non regolata dall'uomo e certamente non prevista o organizzata. Nel Mesolitico (Era incastonata tra il paleolitico e il neolitico) si ebbe un ulteriore graduale miglioramento del clima e seguì un lungo periodo (detto Atlantico) molto piovoso, con temperature piuttosto sostenute e con il conseguente infittirsi ed estendersi, anche a quote elevate, delle aree silvestri ricoperte di vegetazione d'alto fusto. Queste nuove condizioni ambientali favorirono un ulteriore incremento della fauna selvatica ed alimentarono di conseguenza anche il popolamento umano della valle, soprattutto in funzione dell'utilizzo delle risorse abbondantemente offerte da una natura abbastanza ricca, variegata e ancora poco sfruttata. Nelle regioni più calde e da tempo "abitate" da gruppi (relativamente) numerosi di esseri umani, uniti in tribù o in compositi clan familiari, si erano già affermate, intorno al 5.500 a. C., le prime società che praticavano una primordiale e semplice arte di coltivare la terra e di trarne dei frutti che contribuivano a migliorare le stentate condizioni di vita. L'agricoltura organizzata e dunque lo sfruttamento sistematico di appezzamenti di terreno sembra che abbia fatto il suo apparire e sia nata e si sia sviluppata nelle fertilissime terre del medio oriente (nella cosiddetta "Mezzaluna Verde o Fertile", tra il Tigri e l'Eufrate… considerata, in diverse e antiche religioni, come "il paradiso terrestre" "l'Eden" "la Culla dell'umanità" ecc) ma nel breve volgere di qualche secolo (calcolando i tempi lunghissimi dell'evoluzione umana e gli scarsi contatti tra le varie regioni, popoli e clan umani, la sua diffusione fu dunque estremamente rapida) venne adottata da numerosi gruppi umani mediterranei per poi essere messa in "opera" dai vari popoli stanziati prima nel sud Europa, poi nelle zone "calde e temperate" del continente e poi sull'arco alpino. Questo nuovo modo di "impostare la sopravvivenza", legato alla "madre terra", nelle semplici e primitive società, contribuì ad affermare un modo sociale nuovo, di vita "stanziale", che rese necessaria, in tempi molto ravvicinati, la costruzione di ripari e rifugi sicuri, stabili e fissi. I primi uomini neolitici che nel 5.000 a.C. avevano "colonizzato" la Valle Camonica continuarono a praticare la caccia come primario sostentamento ma, pur, proseguendo a raccogliere la frutta spontanea, cominciarono anche a coltivare piccoli appezzamenti di terreno e a selezionare in modo primitivo le specie di piante e vegetali più produttivi e iniziarono ad allevare alcune specie di animali, divenendo conseguentemente produttori di cibo e di beni oltre che semplici predatori delle risorse naturali. La Valle Camonica, con i suoi terrazzamenti naturali, con le colline e i suoi rilievi che emergevano dal fondovalle paludoso e inospitale, si prestò in modalità abbastanza facili all'agricoltura più semplice, anche per il clima relativamente mite e con una forte insolazione, per molte ore al giorno, sulla sponda orografica destra del fiume Oglio. Cominciarono così a sorgere i primi insediamenti stabili che sostituirono i rifugi o gli attendamenti e accampamenti stagionali. I primi minuscoli villaggi sorsero quasi esclusivamente su delle alture o, a ulteriore protezione dalla natura e dai nemici esterni, su palafitte che emergevano nei pressi delle rive del vasto lago d'Iseo (ben più grande di quanto sia ai nostri giorni). Solo nel terzo millennio a.C. gli influssi delle più evolute civiltà che erano sorte e che si erano sviluppate sulle coste mediterranee divennero ben più consistenti anche sugli isolati e semi selvaggi abitanti delle vallate alpine e lentamente avvenne l'introduzione dell'arte di lavorare i metalli, primo dei quali fu quello più malleabile e semplice da reperire in natura, lavorare e modellare: il rame. In questo periodo anche le (ormai diverse) tribù, gruppi familiari o clan, che avevano stabilito in Valle Camonica la loro residenza, furono, in parte naturalmente, obbligate a darsi una struttura gerarchica o una forma primitiva di governo, dapprima molto semplice e poi sempre più complessa e articolata. La società che si venne lentamente a costituire ricalcava in modo similare il sistema sociale di altre "nazioni alpine", con cui i Camuni erano già venuti a contatto
I contatti commerciali, dopo millenni di voluto o obbligato isolamento, assunsero, per quei tempi, una rilevanza notevole: certamente le popolazioni delle nostre vallate ebbero rapporti costanti e frequenti con il mondo d'oltralpe e centro europeo, oltre che con quello, di più facile accesso, delle altre vicine valli alpine e del resto della penisola Italiana. L'attività metallurgica, oramai radicata e presente (anche in altre valli vicine), divenne importante "motore" di attività lavorativa e per il commercio, sia a scopo "militare" che "civile", in tutte le sue fasi (estrazione e lavorazione diretta) e nel secondo millennio a.C. obbligò anche la "Camunia", per reggere la "concorrenza" di altri popoli, ad assumere una configurazione più razionale, "pianificare e specializzare" il lavoro e i commerci e sfruttare al meglio il territorio e le sue risorse. Fu in questo periodo che sorsero numerosi, sulle cime delle rupi ma a ridosso o a sorveglianza dei sentieri più battuti, i castellieri che divennero una presenza costante nel lungo periodo che corre dalla fine dell'età del bronzo fino a tutta l'età del ferro. Si trattava di piccoli gruppi di abitazioni costruite in pietrame locale, massi, tronchi, fango e fascine di paglia, erette all'interno di grandi muraglioni in pietra ed erano, di solito, posti alla sommità di rilievi come colline o dossi. Le abitazioni erano divenute dunque solidi rifugi e il loro compito principale era quello protettivo ma erano anche divenute luoghi in cui si conservavano gli alimenti durante lunghi periodi dell'anno. Gli spostamenti di persone, animali e mezzi di trasporto tra i vari (e rari) minuscoli villaggi (in quel periodo storico i "borghi" più grandi non dovevano contare mai più di una decina di strutture abitative) svilupparono anche una rete di sentieri o strette strade su cui transitavano i primi carri che nella civiltà ligure-camuna e poi in quelle celtica e etrusca erano a ruote piene. Questa semplice constatazione è suffragata (e provata) dal fatto che moltissime incisioni rupestri raffigurano in tal modo questi mezzi di trasporto che si andarono ad affermare in tutto l'arco alpino. Fu in quei secoli che iniziarono e si mantennero costanti e in seguito divennero massicci i transiti su alcuni passi (naturali) e lungo tutte le valli alpine e si ebbero le prime consistenti migrazioni di interi popoli che erano preludio alle successive massicce invasioni indoeuropee. I numerosi giacimenti di materiale ferroso che vennero scoperti e sfruttati in Valle Camonica, oltre alla locale attività di estrazione e di lavorazione, posero questa zona (e la confinante Val di Scalve) al centro di grandi interessi e questo produsse un incremento costante della popolazione residente. Queste "vene" di minerale erano fonte di grande ricchezza (per i parametri di allora) e furono forti poli di attrazione per insediamenti umani anche consistenti. I Camuni, proprio in questo periodo, intrecciarono più intensi e costanti i rapporti con la cultura Golasecca, quindi con gli Etruschi (popolo "emergente" in gran parte della penisola) e con i Veneti. Numerosi gruppi di Celti, dopo la loro discesa verso il sud Italia e le regioni più calde, quando furono bloccati nella loro invasione e vennero rigettati, a nord, oltre il Po, dai popoli che già erano presenti nel centro della penisola, si insediarono in molte vallate alpine e penetrarono anche in Valle Camonica. Come per altri popoli, anche per i Celti, lo spostamento avvenne in massa con grandi migrazioni non ordinate o pianificate ma come semplice occupazione di "spazio vitale" o di conquista di territori da sfruttare. Al seguito dei guerrieri, che componevano la classe dominante, vi erano le loro famiglie ma anche coloro che si dedicavano al commercio, quelli che praticavano l'artigianato (non solo strettamente guerresco ma anche di manutenzione: dei carriaggi, delle armi, delle tende…) e i sacerdoti che occupavano posti sociali rilevanti.
La loro integrazione con la cultura locale produsse un insieme di culti, tradizioni e modi di vita che, mischiati ad altri di origine etrusca-veneta, durarono fino alla prima metà del 1° secolo a.C. quando arrivarono in Valle Camonica le truppe romane e al loro seguito gli amministratori e i burocrati dell'Impero che importarono, oltre alla leggi e regolamenti, uno stlie di vita e anche molte delle loro divinità, tra cui primeggiava anche la figura dell'Imperatore Augusto, che pur essendo in vita, era considerato una divinità a tutti gli effetti. Indubbio merito dei nuovi conquistatori romani fu quello di non distruggere o soffocare quella grande cultura millenaria che i Camuni avevano creato e vissuto nella loro Valle (e, forse, come dimostrano recenti studi e scoperte, in simbiosi diretta con la vicina e confinante Valtellina), la lasciarono vivere (e molte volte vi fu una semplice integrazione con le nuove "idee") nelle sue antiche e radicate tradizioni, molte delle quali riuscirono a perdurare, forse in forme spurie, anche oltre l'avvento del cristianesimo, giungendo addirittura fino a noi. Geograficamente e politicamente la Valle Camonica è sempre stata abbastanza lontana dalle principali vie di comunicazione pre-romane che collegavano i grandi nodi commerciali e culturali e questo aveva fatto sì che tutta l'area (non solo la nostra valle ma in tutta la Retia) segnasse il passo rispetto alle più floride culture che si diffusero nella vasta pianura Padana o a ridosso delle sponde del Mediterraneo. Eppure forse proprio per questo motivo, in questa valle si sviluppò per millenni, una tradizione artistico religiosa di straordinario, incommensurabile valore, che la pone oggi come uno dei maggiori poli (se non il più grande in assoluto) di riferimento per lo studio della preistoria europea e mondiale. La Valle Camonica, nel mondo preistorico, antico e preromano, era identificata (forse addirittura in tutta l'area Mediterranea e continentale Europea) come uno dei più grandi "santuari naturali" a cui guardavano popoli anche lontani. Fenomeni affascinanti e "presenze" naturali fecero si che nella vallata dell'Oglio, in tutta la sua lunghezza, si concentrassero, si sviluppassero e si consegnassero in modo così completo, in modo così unico e irripetibile Culture, Culti, riti, celebrazioni e tradizioni che sono rimasti nella storia dell'umanità come ineguali e uniche a livello mondiale. Solo all'inizio del secolo scorso (nel 2009 si sono celebrati sia il centenario delle prime scoperte e studi delle incisioni rupestri, sia il trentesimo anniversario del riconoscimento da parte dell'UNESCO come sito di interesse mondiale) si è avuta "coscienza" di questo lascito e patrimonio immenso. Da allora si sono scoperte e si sono cominciate a studiare le centinaia di migliaia di incisioni rupestri Camune. Ricercatori e studiosi di tutto il mondo, in Valel Camonica e nelle vallate circostanti, hanno riportato alla luce un universo enorme di figure, disegni e simboli spesso ancora di non facile o chiara e sicura comprensione. In molti casi questi "segni" sono stati incisi uno sull'altro, con tecniche e strumenti diversi creando una sovrapposizione a volte confusa a volte quasi illeggibile e di difficile interpretazione. Il lavoro per riportare alla luce questi grandi tesori, molte volte è stato duro, difficile, complesso e meticoloso... è proceduto dapprima con difficoltà e forse con una certa approssimazione, poi è continuato sempre più scientificamente man mano che avvenivano nuove scoperte, si perfezionavano le tecniche, si ampliavano le conoscenze e si incrociavano esperienze con altri siti, con appassionati e studiosi e con centri di ricerca. Spicca certamente nel grande lavoro di valorizzazione e di studio di questo immenso patrimonio, la figura del professor Emmanuel Anati, ideatore e animatore del Centro Camuno di Studi Preistorici di Capo di Ponte. Le "scoperte" in Valle Camonica, in tutta la Valle Camonica: dalle sponde del Sebino fino alle pendici dell'Aprica o del monte Tonale, continuano e continueranno ancora per molto tempo e per chissà quanto avremo ancora la possibilità di rinvenire siti con i resti e le incisioni lasciateci dal popolo Camuno. Basterebbe ricordare la importantissima e bellissima scoperta fatta nell'anno 2009: una raffigurazione con pittura rossa di tre cavalli e cavalieri ed un volto (a grandezza naturale), dell'età del ferro (Vi - I secolo a. C.), di alta spettacolarità espressiva, ritrovato su una roccia verticale nascosta in una forra del torrente Re di Tredenus, nei pressi di Paspardo e presentato al XXIII Symposium del Centro Camuno di Studi Preistorici, nell'ottobre 2009. Questa importante scoperta, definita come "il più bel pannello dipinto dell'arte rupestre camuna e centro alpina", è stata seguita dal Dipartimento Valle Camonica e Lombardia del C.C.S.P., diretto da Umberto Sansoni. In pratica ovunque, in tutto il solco dell'Oglio e dei suoi numerosi affluenti, sono localizzate scoperte preistoriche. La presenza di quest'arte è massiccia: forse ancora centinaia di migliaia di figure devono essere scoperte e rinvenute: siti di immensa importanza dovranno essere identificati, portati alla luce e studiati. La storia della terra camuna (Camùnia) e del popolo Camuno, così come la conosciamo o la immaginiamo ora, potrebbe essere, in parte, anche riscritta man mano che le nostre attuali conoscenze si arricchiranno di nuove scoperte, di nuove visualizzazioni e di nuove letture che i nostri progenitori ci hanno lasciato con tanta abbondanza. Sulle rocce della Valle Camonica le centinaia di migliaia di incisioni rupestri sembrano documentare in ogni momento la forza dello spirito naturale della presenza umana e raccontare una storia plurimillenaria caratterizzata dalle attività primarie come la caccia, la raccolta, l'agricoltura, l'allevamento e l'artigianato.
Una parte consistente delle incisioni rupestri camune si occupa anche però delle strettissime e dirette relazioni col soprannaturale: oltre che registrare miti, riti, credenze, paure e aspirazioni ed i complessi rapporti con ciò che non era possibile capire con l'esperienza diretta e il divino, vi è una forte trasposizione del contatto con la natura e con i suoi fenomeni (molte volte inspiegabili e incomprensibili per quelle Genti) come momento fondamentale di socializzazione e, come in tutte le religioni, strumento nelle mani delle classi dominanti, come base fondamentale di creazione di una società organizzata, organica, verticistica e complessa. Le grandi rocce lisce, che i ghiacciai ci hanno regalato nel loro movimento dall'epoca glaciale, sono delle grandi, bellissime, incomparabili "lavagne" sulle quali sono stati incisi quegli eventi significativi, tanto materiali quanto spirituali, in cui si colgono le trasformazioni della "Cultura delle Genti Camune" nel lunghissimo tempo della loro presenza in valle. L'evoluzione socio economica, culturale ed artistica dei Camuni e in genere di quasi tutte le Genti alpine sono descritte come in un grande "murales" a cui possiamo attingere una immensa quantità di informazioni: sono le nostre "incisioni rupestri". Le primordiali manifestazioni di quest'arte antichissima, di cui abbiamo per ora conoscenza in Valle Camonica, sono costituite dai "bovidi di Mezzarro". Mezzarro è un sito posto su un piccolo altopiano aperto verso sud-ovest in una posizione dominante gran parte della bassa Valle Camonica, poco sopra e a sud-est di Breno, riparato dai freddi venti del nord e con alcune sorgenti e polle d'acqua che lo rendevano ideale per i primi insediamenti di gruppi di cacciatori stagionali. Queste figure furono certamente realizzate da quegli uomini che, oltre 13.000 anni fa giunsero in Valle Camonica per le prime battute agli ungulati che si erano rifugiati nelle valli alpine. Si tratta di figure naturalistiche impressionate attraverso pochi segni essenziali, ma finalizzati a riprodurre, con una certa fedeltà, le forme stilizzate per esaltare la forza degli animali e di chi li cacciava, che erano presenti sul territorio. Anche nel Mesolitico continuarono ad essere incise delle figure dinamiche degli animali selvatici con cui l'uomo aveva a che fare. Tutte le rappresentazioni erano "trascritte" in funzione della caccia che restava la primaria attività di sostentamento e dunque l'evento "sociale" più rilevante, per quelle antichissime Genti. Con l'avvento dell'agricoltura anche nelle rappresentazioni "grafiche", l'attenzione, di chi ha lasciato questi "segni", passa dall'animale allo stato brado (protagonista della caccia ma anche, come appena scritto, della vita sociale del gruppo), all'uomo stesso, in quanto diretto fautore della propria sopravvivenza.
L'uomo divenne perciò l'elemento principale delle rappresentazioni, ma condivideva gli spazi maggiori con i simboli che erano il riferimento naturale ed essenziale in quasi tutte le civiltà antiche in cui viveva una spiccata spiritualità: il sole e la vulva. Le figure furono tracciate sulle rocce in modo schematico e quasi astratto, ma profondamente simbolico con una grafia e una tecnica essenziali (e forse liturgica) ma ormai ben comprensibili nelle loro corpose espressività intrinseche. Un ulteriore significativo cambiamento culturale (ed epocale) avvenne con l'apprendimento della lavorazione dei metalli e in particolare del rame che modificò radicalmente, la vita delle Genti camune, anche a causa dei non trascurabili influssi culturali mediterranei ed orientali: di pari passo cambiò il modo di rappresentare la vita, la società, l'uomo stesso e il suo ambiente. Alla produzione fortemente schematica, fino ad allora applicata nelle incisioni rupestri, si sostituì una visione della realtà materiale e spirituale che si concretizzò in forme più dinamiche e anche più realistiche. Le rappresentazioni di uomini, di sacerdoti, di armi, tra cui pugnali ed asce e riproduzioni di reali oggetti di metallo (in rame), come pure di scene di aratura, carri, animali domestici e selvatici e oggetti ornamentali (associati spesso a simboli solari), costruiscono, nella loro più ampia eccezionalità, delle vere e proprie equilibrate e radicate "composizioni monumentali" caratterizzanti imponenti e ben localizzati centri spirituali legati al culto del sole. Esempio di questa evoluzione sono i famosi Massi di Cemmo, di Nadro, di Borno e Ossimo e di Boario Terme sui quali sono state rappresentate tutte le componenti della vita del tempo come scorreva dal 3° millennio fino alla successiva età del bronzo. Su di essi si trovano incise: asce, alabarde, pugnali, spade, carri, scene di aratura, rappresentazioni di simboli e figure spesso costituenti scene apparentemente a carattere narrativo di eventi reali o mitologici. Un'altra rivoluzione che cambiò profondamente la società fu l'introduzione dell'allevamento e uso (sia in pace che in guerra) del cavallo che, proveniente dall'area mediterranea, alla fine del 2° millennio a.C., giunse anche nelle vallate alpine. Questo quadrupede, che sarà di fondamentale importanza per migliaia di anni per la vita dell'intera umanità (fino al secolo scorso… fino a pochi anni fa !), venne addomesticato e asservito alle necessità dell'uomo e da quel momento quell'animale divenne una delle figure più comuni e ricorrenti: generalmente era rappresentato come cavalcato da guerrieri e da cacciatori di cervidi. L'età del Ferro, corrispondente, a grandi linee, al 1° millennio a.C., fu certamente il periodo più fecondo per l'arte rupestre camuna. Forse l'80% di tutte le immagini oggi scoperte, rilevate, studiate e catalogate, appartiene a quest'epoca di grande importanza socio spirituale per l'intera Valle dell'Oglio. La stragrande maggioranza di incisioni di questo immenso patrimonio culturale fu realizzata in un periodo abbastanza ristretto valutabile con buona approssimazione in meno di sette secoli: in pratica tra il periodo di influenza etrusca (dal VI secolo a.C.) e la romanizzazione della Valle nel 16/15 a.C. Essenziale e molto fecondo di incisioni, sia per importanza numerica ma specialmente per la qualità delle immagini e dei soggetti fu pure il periodo di influenza celtica e poi romana. Se il numero delle incisioni è elevatissimo, non di meno lo sono i soggetti rappresentati. Si sente, infatti, sia per lo studioso che per il semplice visitatore, come quasi palpabile, presente e aleggiante, tra le rocce incise, quell'esigenza di comunicare con il "sovrumano" intesa come rafforzamento della vita spirituale. .
Questo "stato d'animo" è particolarmente intenso in ogni momento di crescita culturale (e anche economica) di qualsiasi popolazione in qualsiasi era e in qualsiasi zona geografica. Per usare un paragone "moderno" sembra di assistere a dei "documentari" che riportano con estrema fedeltà le scene principali dello scorrere della vita: la caccia, la lotta, la danza, il culto, l'agricoltura e l'artigianato. Bruno Bozzetto che, nel 2009, in occasione del centenario della scoperta delle prime incisioni, ha realizzato un "corto" per valorizzare le stesse incisioni rupestri, ha definito queste "tracce" come le singole immagini di un "cartone animato" con migliaia e migliaia di immagini che, messe poi insieme, danno una lettura completa e complessa di un lungo arco di storia dell'umanità. Di somma importanza sono le rappresentazioni di armi, simboli, oggetti, figure di strumenti di lavoro, mappe di territori e di villaggi, costruzioni e luoghi di culto, entità soprannaturali, spiriti, processioni e tanti altri soggetti iconoclastici che fotografano la realtà, l'economia, l'ambiente e la grandissima spiritualità con cui si viveva la vita in quel lontano tempo. Di epoca successiva e dunque ben più recenti (databili fino al VI-V secolo a.C.) iniziarono a comparire anche numerose iscrizioni in caratteri misti etrusco-greco adattati all'idioma locale. La grande varietà di stili riconoscibili, ma anche la cura tecnica e l'impostazione grafica, la ricerca espressiva e specialmente le capacità creative mostrarono notevoli cambiamenti epocali e temporali, anche abbastanza ristretti. Questa "varietà espressiva" era diversa anche in modo profondo a seconda dei momenti, delle influenze e degli scambi culturali che le Genti camune dovevano affrontare e in alcuni casi assorbire. Non si deve dimenticare anche l'importanza, in questa tecnica di "espressione grafica", delle capacità (anche manuali e intellettuali) dei sacerdoti-artisti addetti a questa importante mansione magico religiosa. Anche in età romana i Camuni (non perdendo completamente la coscienza di popolo e le tradizioni degli avi) continuarono ad incidere le rocce. Sono databili a questo periodo delle iscrizioni e delle figure del repertorio cosiddetto "classico", che si possono (forse impropriamente) definire "internazionali e generali" poiché presenti in altre culture, anche geograficamente lontane, completate da altre derivate direttamente della tradizione camuna. Poi, anche in Valle Camonica, fece la sua comparsa il Cristianesimo e divennero "soggetti" delle incisioni i simboli della nuova religione dominante che tendeva a scalzare gli antichi dei e la iconografia locale. La millenaria tradizione camuna di incidere le lisce pietre glaciali, non venne in ogni modo meno neppure nel medioevo. Quest'arte cesserà (anche in modo piuttosto repentino e sotto una forte coercizione) solo quando, col Concilio di Trento, verrà sancita, per l'ennesima ma anche ultima volta, la proibizione assoluta di praticare gli antichissimi e nobilissimi culti delle acque, degli alberi, del sole e... delle pietre. E' improbo, complesso e arduo affrontare con disincanto o distacco lo studio della profonda e plurisecolare religiosità e del millenario mondo spirituale delle Genti pre-letterate. Questa "vissuta spiritualità" (non si commetta mai l'errore di considerarla solo espressione puramente mentale e psicologica di una sola classe… era in gran parte da ritenersi eterea... Etereo per definizione letteraria era, per gli antichi, la parte più pura, alta e luminosa dello spazio sopra l'atmosfera…) era tanto complessa e affascinante che certamente era difficile "viverla" anche per (e nel) "mondo" camuno, nonostante i nostri progenitori, insediati, chiusi e radicati nella nostra Valle, ci abbiano lasciato una profusione imponente di "documenti" da leggere, studiare, interpretare, valutare e conservare. La cultura figurativa preistorica e protostorica in genere (e quindi anche quella valligiana) non è una manifestazione occasionale, sporadica o semispontanea ma è espressione fondamentale di sentimenti profondi, di una concezione complessa e composita del mondo e delle grandi e piccole forze che lo governano, lo dirigono e lo rapportano al soprannaturale. In questo modo è forse più facile intuire come la presenza della religiosità e forse anche della "magia", arte occulta che presume di dominare le forze della natura e di operare prodigi per mezzo di incantesimi, potesse intrinsecamente "avvolgere e paludare" quasi ogni cosa del mondo allora conosciuto e di quello, ben più vasto e insondabile, che era sconosciuto. L'arte, la Grande Arte, delle incisioni rupestri è dunque la conseguenza, quasi logica e naturale, di "situazioni mentali" ideologiche molto evolute, particolarmente profonde e intensamente vissute. Tutte queste erano basate, sorrette ed alimentate da eventi "strani", che per quelle semplici ma attente Genti rimanevano in gran parte inspiegabili, attribuibili perciò alla forza e alla dinamica interiore delle cose: al "mana" di cui sono cariche: al soprannaturale, al divino. Copyright © INTERCAM Darfo Boario Terme (Brescia) - Italy |