I Romani



Quando nel Gennaio del 27 a.C. Ottaviano divenne unico padrone assoluto della Repubblica,

La Repubblica Romana
(l'Impero) di Augusto nel 27 a.Cr.
Quando nel gennaio del 27 a.C. Ottaviano (*) divenne unico padrone assoluto della Repubblica, col titolo militare di "Imperator" e ricevette il titolo di "Augustus", Roma dominava già quasi tutta l'Europa centro occidentale e in nord Africa, dall'Aegyptus (Egitto) alla Syria (Libano - Israele), dalla Gallia (Francia) alla Hispania (Spagna), dal Medio Oriente alla Numidia (Tunisia e Algeria) ma non era ancora riuscita a soggiogare definitivamente molte delle popolazioni che i Romani chiamavano genericamente "Retiche" e che erano stanziate nella vasta regione detta Retia che comprendeva tutto il sistema alpino, dalla Francia meridionale alla Slovenia, sia sul versante padano sia quello svizzero austriaco, spingendosi a nord fino al territorio (ora) tedesco
       Questo composito e selvaggio insieme di anguste, povere, inospitali e quasi inaccessibili vallate del sistema montuoso più imponente e strategicamente importante, incuneato nel cuore dell'Europa, non aveva una continuità di nazione ma era solo uno spazio geografico in cui erano presenti decine e decine di "popoli" diversi, solitamente presenti in singole vallate, con radi e sporadici contatti esterni e in molti casi ostili gli uni verso gli altri.
AUGUSTO CAIO GIULIO
CESARE OTTAVIANO

(63 a.C. - 14 d.C.)
Primo Imperatore Romano
(27 a.C. - 14 d.C.).

Nato in una famiglia campana non nobilissima
Caio Ottavio fu adottato dallo zio Giulio Cesare
e da allora si chiamò Caio Giulio Cesare Ottaviano.
Salì alla ribalta politica dopo la morte dello stesso
Cesare. Console nel 43 a.C., formò insieme a Marco
Antonio e a Marco Emilio Lepido il secondo triumvirato.
Eliminati gli assassini di Cesare: Bruto e Cassio,
i triumviri divisero l'impero in sfere di controllo:
Antonio ebbe la Gallia e l'Oriente,
Ottavio l'Occidente con esclusione dell'Africa,
che spettò al meno importante Lepido.
Dopo il rinnovo del triumvirato si acuirono i contrasti
fra Antonio, che si proponeva come erede di una
concezione del potere di stile orientale e
si appoggiava alla regina d'Egitto Cleopatra,
e lo stesso Ottaviano, rappresentante della più
antica tradizione romano-italica.
L'eliminazione a Nauloco nel 36 a.C. del pericoloso
figlio di Pompeo Magno: Sesto Pompeo, da anni
protagonista di attività piratesche nel Mediterraneo,
e l'emarginazione di Lepido, fecero emergere
l'inevitabile scontro fra i due capi.
Ottaviano, che nel 32 a.C. si fece giurare fedeltà
dall'Italia (coniuratio Italiae), nel 31 vinse
definitivamente il rivale ad Azio.
Assoluto padrone dello Stato, fra il 31 e il 27 a.C.
Ottaviano si dedicò alla sua riorganizzazione.
Nel gennaio del 27 il Senato procedette a una
prima definizione dei suoi poteri confermandogli le
funzioni precedenti e gli attribuì un potere
militare (Imperium) decennale e il governo di molte
e ricche Province. Ottaviano ricevette inoltre
il titolo di "Augustus" e moltissime altre
onorificenze simboliche.
Nel 23 a.C. abbandonato il consolato, rivestito
ininterrottamente dal 31, ottenne un allargamento
dell'Imperium e l'assoluta totalità dei poteri sui
tributi (tribunicia potestas), rispettivamente
fondamento radicale del potere militare e civile della
sua preminenza. Questo gli permise di porre le basi
costituzionali del suo principato.
Altre connotazioni essenziali del nuovo regime
prenderanno corpo in seguito: il Pontificato Massimo
nel 12 a.C. e il titolo di "Padre della patria" nel 2 a.C.
L'ordine augusteo fu incentrato sul rispetto formale
delle tradizioni istituzionali repubblicane e sulla
distinzione fra principato e regno: il sommo potere era
ottenuto tramite il cumulo di diverse magistrature, con
prerogative giuridicamente definite. Non poteva dunque
essere gestito con un esercizio arbitrario e non era
trasmissibile per via ereditaria. Augusto, che non aveva
figli maschi, individuò possibili successori, che di volta
in volta adottò: in particolare Marcello e i nipoti Gaio
e Lucio (conquistatori anche della Valle Camonica).
Sopravvisse a tutti loro e fu "obbligato" nel 5 d.C. ad
adottare il generale Tiberio e a conferirgli grandi
riconoscimenti istituzionali quali la concessione della
potestà tribunizia e dell'Imperium Proconsolare Maius.
La solidità politica del regime augusteo fu determinata
dalla larga adesione del popolo al suo programma e dal
senso di riconoscenza per l'instaurazione di una
duratura pace.
Augusto con i suoi più stretti collaboratori si impegnarono
in una "moderna" e capillare attività ideologico
propagandistica, di cui furono cardine la pace civile
(pax Augusta), il recupero e il rinnovamento dalla storia
gloriosa di Roma, il nuovo ordine morale (legislazione
matrimoniale) e la ripresa della religione tradizionale.
Tali messaggi erano diffusi attraverso tutti i canali della
comunicazione allora disponibili (epigrafi, monete, oggetti
d'arte e monumenti) oltre che dall'importante attività del
"Circolo di Mecenate" che raccoglieva i massimi artisti
e letterati del tempo come Virgilio, Orazio e Livio.
L'importanza data da Augusto alla religione, accanto
alla ritorno in auge dei culti più antichi, si caratterizzò
per l'organizzazione precisa e capillare delle varie forme
di culto alla persona del Principe, che, spontanee
in Oriente, erano, in Occidente e in Italia, associate fino
ad allora solo alla Dea Roma. Augusto riformò il sistema
dei servizi (corpi di polizia, annona, riscossione delle
imposte, censimenti periodici di tutta la popolazione ecc.),
l'amministrazione della città di Roma (con a capo un
Prefetto Urbis), dell'Italia (ripartita in undici regioni) e delle
provincie che furono divise in "imperiali", ovvero quelle
non pacificate e direttamente dipendenti dal principe, e
"pubbliche", sottoposte al controllo del senato, l'Egitto
(terra allora ricchissima e grande produttrice di cereali) fu
considerato proprietà privata di Augusto e fu sottoposto a
un'amministrazione particolare. Il personale amministrativo
fu tratto, oltre che dall'aristocrazia senatoria, dal ceto
equestre e dai liberti imperiali. Uscito vincitore dalle
guerre civili, Augusto ridusse subito a 28 il numero
delle legioni. Costituì una guardia personale del principe:
la famosa guardia pretoriana, comandata da due prefetti
equestri. Il collocamento in congedo dei veterani richiese
la fondazione di colonie e l'istituzione di una cassa apposita:
l'erario militare che divenne operativo nel 6 d.C.
La politica estera si basò su un complesso equilibrato di
iniziative che andava dalla pacificazione delle sacche di
resistenza (Spagna nordoccidentale, Alpi) ad attività
diplomatiche (Armenia e Patria), a tentativi di espansione
con il raggiungimento del Danubio e i tentativi di portare
il confine settentrionale dell'impero dal Reno all'Elba.
Il nuovo equilibrio garantì una grande ripresa generale
della vita civile e dell'economia: nelle periferie si avviò
uno sviluppo che nel giro di circa un secolo condusse
alla concorrenza fra la produzione e il commercio delle
provincie e dell'Italia.
La riorganizzazione politica e amministrativa dello Stato
avviò, da un lato, una più definitiva gerarchizzazione
della società, con la separazione netta fra ordine senatorio
ed equestre, dall'altro, maggiori possibilità di avanzamento
a tutti i livelli, per le accresciute opportunità di arricchimento
e per la nuova articolazione delle funzioni amministrative.

       Da queste valli, che quasi tutte confluivano e si aprivano nelle fertili e ampie pianure create dai grandi fiumi in Padania e in Baviera, quasi immutate nella loro conformazione geologica e sociale fin dalle prime sporadiche apparizioni dell'uomo, scendevano varie agguerrite e semi selvagge bande di popoli-predoni, non ancora colonizzati, per compiere delle razzie nelle ricche e popolose cittadine romane, che erano sorte lungo le grandi strade di comunicazione che collegavano Roma alle estreme province dell'impero.
       Questo stato di perdurante instabilità e di insicurezza interna non poteva essere ulteriormente accettato dall'amministrazione romana e dai suoi commerci, che subivano danni sia economici sia di "immagine pubblica" (per usare un termine moderno).
       L'imperatore stesso, dopo la pacificazione interna e dopo le lunghe e sanguinose lotte civili per la supremazia al vertice della Repubblica, rafforzati i confini più esterni del suo immenso dominio, diede il via a varie operazioni militari, diplomatiche e politiche di conquista delle valli alpine (sia sul versante sud sia su quello verso la pianura germanica).
       Su queste terre, generalmente povere, inospitali e selvagge, di scarso valore economico ma in alcuni casi di grande interesse logistico e militare (in pratica l'arco alpino divideva in due l'impero nella sua "estensione orizzontale" Europea), Roma non era ancora riuscita ad portare e rafforzare il proprio dominio e ad imporre la propria legge e specialmente la sua pax.
       Allo scopo principale di "pacificare" le vaste aree ancora non romanizzate, nel secondo decennio avanti Cristo, con una precisa e pianificata strategia globale, vennero organizzate alcune imponenti campagne militari.
       Con grande dispiego di forze e mezzi furono predisposte delle spedizioni di conquista e di sottomissione territoriale. Le legioni avanzarono, penetrandovi, verso tutte quelle valli e altopiani che non erano ancora sotto il dominio di Roma e con le loro formazioni da combattimento dilagarono travolgendo con tutta la loro enorme forza bellica le disunite e non organizzate forze dei vari popoli alpini.
       Non si era più visto uno spiegamento tale di truppe romane dalla fine della cruenta guerra civile tra Ottaviano e Antonio, e la successiva generale riorganizzazione dello stato e delle stesse legioni.
       Si trattava di un contingente imponente, suddiviso in tre corpi d'armata, che, con un movimento a tenaglia da sud (pianura padana), da ovest (Gallia) e da nord (Baviera ed Helvetia), portarono alla totale occupazione militare delle numerose vallate che in soli due anni vennero conquistate, soggiogate e "romanizzate". Le varie genti, com'era uso in quei tempi, furono completamente sterminate (passate a "fil di spada", cioè intere popolazioni furono messe in fila e, uomini, donne e bambini furono sgozzati uno ad uno) o rese in schiavitù e deportate in massa per essere vendute sui vari mercati dell'Impero. Insieme alla conquista della Val Trompia, Val Sabbia e Valtellina, la sottomissione del popolo dei Camuni, nella più vasta delle valli alpine, avvenne nel 16 a.C. per opera del proconsole Publio Silio, comandante di grande esperienza militare, noto e rispettato per la sua audacia, il suo coraggio ma specialmente per la sua determinazione nel preparare meticolosamente le proprie campagne.
       La conquista della Valle Camonica fu dunque uno dei più importanti episodi nell'ambito delle principali azioni militari volute (e forse coordinate) direttamente da Augusto e dai suoi consiglieri militari contro le numerose e bellicose popolazioni alpine.
       I Romani chiamarono questa campagna la "Guerra Retica" poiché tutte le Genti delle Alpi, pur suddivise in molti popoli e tribù anche molto diversi tra loro (di antico ceppo Ligure, Etrusco, Celtico o Gallico), erano chiamate genericamente senza distinzione particolare con il nome di Reti.
       Lo scopo fondamentale della campagna fu raggiunto in due anni di guerra e di scontri anche violentissimi e cruenti, ma alla fine venne resa effettiva la totale soggiogazione di tutte le tribù e di vari popoli delle Alpi centrali.
       Da allora anche gli ultimi "confini interni" dell'Impero erano eliminati e tutte le valli, ogni passo, tutti i ponti, i guadi, le gole, i passaggi obbligati, erano stati conquistati e consolidati con una miriade di postazioni militari romane localizzate in posizioni strategiche e, anche per questo, resi sicuri.
       Ogni più remoto angolo dell'arco alpino venne posto sotto una stretta sorveglianza strategica, militare e commerciale: tutto questo rendeva le importanti vie di comunicazione, passanti per le Alpi, arterie tranquille e controllate in cui i traffici potevano svolgersi nel modo migliore, più produttivo e remunerativo.
       Per portare a termine la "guerra Retica", con queste complesse operazioni militari, vennero nominati comandanti generali di tutte le milizie romane Druso e suo fratello Tiberio, figliastri, ma anche nipoti di Augusto che, dopo questa impresa e dopo il trionfo celebrato a Roma, vennero nominati suoi successori alle massime cariche della Repubblica (che era ancora "formalmente" esistente - e lo restò per tutto l'impero di Augusto e i suoi successori). Tutte le azioni belliche si svolsero in diverse campagne distinte e partirono dalla Gallia Transalpina (Francia del sud), dalle valli del Reno e del Rodano attraverso l'Helvetia (Svizzera) per sfociare in Baviera e portare alla riunione delle legioni che erano salite dalla pianura Padana.

Il nord Italia e le sue genti
all'epoca della conquista romana
delle valli alpine

       L'impresa si poté definire conclusa nell'estate del 15 a.C. con la conquista della Rezia (arco alpino sul versante padano), del Tirolo, della Svizzera orientale e della Baviera che vennero incorporate direttamente nell'Impero Romano. In questo piano di conquista dell'Europa centrale (attuale Svizzera e bassa Germania) l'occupazione della Valle Camonica, vista la sua conformazione geografica che puntava direttamente da sud a nord e verso il centro Europa, fu ritenuta strategicamente essenziale e necessaria non solo per ricondurre all'ordine quelle bande di Camuni che "scendevano incessantemente giù dai monti per mettere a sacco e fuoco le ubertose campagne vicine", ma soprattutto perché la vallata dell'Oglio doveva diventare una delle più preziose, dirette e importanti vie di comunicazione fra la pianura padana e la Rezia che i Romani volevano definitivamente conquistare e sottomettere.
       Nel corso della stessa spedizione, oltre ai Camuni, vennero soggiogati anche i Triumplini che erano stanziati nella Valle Trompia e i Vennoneti, strettamente legati da antichissimi contatti (e forse derivanti dallo stesso ceppo) ai Camuni e che abitavano la confinante Valtellina.
       Le tre valli lombarde più importanti e ricche entrarono così nell'orbita d'influenza romana, dopo secoli di fiera indipendenza e voluto isolamento.
       I nomi di questi popoli, per dimostrare la grande importanza che i Romani diedero a questa conquista, vennero incisi (proprio in ordine di importanza) ai primi tre posti nell'elenco delle trentaquattro "gentes alpinae devictae" menzionate nel trofeo di Augusto a La Turbie nella Gallia meridionale.
       La Valle Camonica, dal lago Sebino fino al monte Tonale, era dunque completamente soggiogata e posta sotto le aquile imperiali.
       Per la cronaca storica va ricordato che già in numerose occasioni, prima del 16 a.C., i Camuni si erano scontrati più volte con le legioni dei Romani ma sempre avevano brillantemente resistito alle temporanee e parziali invasioni di parti del loro territorio, alle razzie, agli sconfinamenti nella bassa valle da parte degli eserciti di Roma che erano stati impegnati, ma solo occasionalmente e sporadicamente, nelle selvagge vallate del nord alpino, prima delle imponenti e organizzate spedizioni volute da Augusto.
       La storia ufficiale di questi "contatti" (che in alcuni casi si erano trasformati in antichissime leggende di epici scontri e relativi "macelli") ricorda alcuni importanti scontri avvenuti dopo le frequenti improvvise, anche se sporadiche e sanguinose razzie compiute da gruppi o clan dei diversi popoli alpini ed effettuate nelle fertili e ricche pianure. Fu particolarmente pesante la rappresaglia messa in opera dai Romani in due occasioni che, quasi certamente, interessarono anche la Valle Camonica: nel 118 a.C. durante la spedizione di Quinto Marcio contro gli Steni delle valli Giudicarie, e nel 95 a.C. quando il console Lucio Crasso "fece perlustrare le valli alpine in tutta la loro estensione e massacrarne gli abitanti, né tuttavia gli venne fatto di ucciderne abbastanza per celebrare un trionfo minore e congiungere l'alloro del vincitore alla gloria dell'oratoria". Insomma il console Crasso non riuscì a compiere una pulizia etnica totale, eliminando sistematicamente tutti i valligiani delle Alpi e per questo (con suo enorme dispiacere) non poté sfilare davanti al popolo romano sulla biga del trionfo.
       Queste azioni però, che servivano solo a rendere più ostili e ad irritare le popolazioni senza sottometterle, non modificarono sostanzialmente la situazione generale. Dopo ogni "spedizione punitiva" successiva a qualche scorreria i Romani ritornavano nei loro acquartieramenti della pianura o battevano in ritirata e nelle vallate alpine tutto rimaneva e ritornava come prima. Altre notizie dirette di spedizioni o scontri di una certa rilevanza in proposito non ci sono, ma sembra che, dal 95 al 16 a.C. Romani e Camuni abbiano avuto più di una occasione di scontrarsi e scannarsi nuovamente.
       Nel 16 e nel 15 a. C., nei due anni in cui durò la campagna di conquista, oltre alla grande superiorità militare, giocò a favore dei Romani, nella completa e definitiva sottomissione (non solo militare) della Valle Camonica, un altro fatto estremamente importante: i Camuni, pur essendo magari ancora pronti a sfidare sul campo le (superiori) armi dei Romani, guardavano, certamente con molta e forse malcelata attrazione, già da tempo alla civiltà di Roma. Questo avveniva quasi naturalmente per quella forte tendenza che da sempre pungola una qualsiasi civiltà, statica e ingessata da secoli nei suoi ordinamenti e costumi basilari, a cercare un proprio (e forse personale) rinnovamento nel confronto con una civiltà "nuova" che porta inevitabilmente ad una rapida evoluzione e alla inevitabile assimilazione.
       Le antichissime tradizioni e usanze camune, maturate, modificate e mantenute nei secoli, gelosamente conservate e caparbiamente difese (come sempre capita nella storia di tutti i popoli) da una forte e discriminante classe dominante (composta prevalentemente da sacerdoti e guerrieri), avevano già cominciato, negli ultimi secoli a. C, a perdere molto del loro vigore e della loro antichissima fisionomia.
       Questo era avvenuto, molto lentamente ma costantemente, in seguito ai numerosi confronti e scontri socio-economici-politici con alcune civiltà presenti nell'area sud e centro europea. Queste popolazioni (che a loro volta vivevano in un mondo più "aperto" e avevano contatti diretti con altri popoli) erano certamente più progredite negli usi e nei costumi, nel commercio e nelle istituzioni societarie e vitali. Seguendo un ordine cronologico furono i Liguri i primi abitanti "residenti" in Valle Camonica.
       I Liguri furono poi invasi dagli Etruschi che a loro volta vennero sconfitti e assoggettati dai Celti (o Galli).
       Tutte queste "Genti", talvolta diversissime tra loro, avevano lasciato inciso profondamente nel tessuto connettivo delle numerose valli alpine molti dei loro usi e costumi, tradizioni, divinità, credenze e leggi, istituzioni sociali con però un sistema politico simile cioè stratificato a caste.
       Poi, sotto l'inarrestabile urto della violenta, dinamica e ben organizzata civiltà romana, anche i Camuni e gli altri popoli montani "si lasciarono conquistare" quasi completamente prima che con le armi con i contatti commerciali e sociali. Fu certamente anche per questi motivi che l'integrazione della provincia camuna nell'Impero Romano fu abbastanza, anzi molto rapida e completa, non solo per l'aspetto politico e territoriale, ma anche e specialmente per il pur complesso sistema sociale, economico e religioso-spirituale. Le vecchie istituzioni camune, che avevano resistito in modo quasi completamente impermeabile per secoli e millenni ai pur presenti, pressanti e vivi contatti esterni, sempre comunque sporadici e saltuari, si dimostrarono ormai sorpassate e inadatte alle esigenze del tempo nuovo. Ogni aspetto dell'antica struttura societaria camuna, retaggio delle tradizioni Liguri-Etrusche e Celtiche fu ben presto sostituito dalla burocratica ed efficiente amministrazione romana e la Valle Camonica assunse un nuovo assetto economico, sociale, amministrativo, militare, religioso, secondo il ben noto e collaudato modello repubblicano imperiale.
       Malgrado numerosi studi al proposito ancora non si è compreso a fondo e completamente il motivo per cui, a differenza di altre (più… sfortunate e per questo scomparse) "gentes alpinae devictae", che furono completamente sterminate o che subirono deportazioni in massa per essere vendute come schiavi all'asta coi loro territori, proprio ai Camuni venne riservato, dai nuovi padroni, un trattamento particolare e di estremo favore.
       Alcuni storici a più riprese hanno avanzato la verosimile ipotesi che i Romani, forse temendo forti reazioni da parte dei bellicosi Camuni, ancora non completamente soggiogati dopo che molti guerrieri si erano rifugiati nelle numerose vallette laterali all'ampia Valle Camonica e non volendo ulteriori fastidi alle proprie spalle nel delicato momento di consolidamento della conquista dell'importante e strategico territorio della Rezia, trattarono le genti della vallata, quasi come alleati e non come sconfitti e battuti, anche dopo la vittoria con le armi nella cruenta battaglia che si presume venne combattuta in una zona compresa tra l'attuale foce dell'Oglio nel lago d'Iseo e i primi contrafforti della "costa montagnosa" di sinistra della bassa valle dove il sentiero allora esistente che collegava con la Val Trompia discendeva verso i primi piccoli centri abitati dai Camuni, passando per la Val Palot.
       Un'altra plausibile ragione di questo trattamento è possibile ricercarla nella riconosciuta lungimiranza politica dei governanti di Roma e forse anche nel loro forte rispetto e ammirazione per l'importanza che indubbiamente la civiltà camuna, con la sua immensa spiritualità naturale, aveva raggiunto fra le popolazioni alpine nei secoli a.C.
       Infine un'altra ipotesi (forse la più accreditata) suppone che lo speciale trattamento riservato al popolo dei Camuni potrebbe essere stato attuato oltre che per il rispetto per la fierezza e il coraggio dimostrato in battaglia dai guerrieri della Valle, anche per la buona volontà e la prontezza dimostrata dai Camuni, a cui era stato offerto, nell'arruolarsi nelle file dell'esercito romano e nell'inserirsi nel nuovo ordinamento, assimilando con facilità la civiltà e le regole sociali e di vita di Roma.
       E Roma non si dovette mai pentire di aver trattato in simile modo i Camuni poiché la rapidità nell'accettare modi, costumi, leggi e sostanza della nuova civiltà (come testimoniano numerosi e significativi reperti archeologici in tutta la valle) fu forse la nota più caratteristica dei Camuni soggiogati che rimasero assolutamente fedeli a Roma per tutti e cinque i secoli della dominazione imperiale in Valle.
       I Camuni in un primo tempo e durante le fasi della conquista territoriale dell'intera vallata furono aggregati alla "Colonia Civica Augusta" di Brescia ma ottennero ben presto la "Res Publica" autonoma e la cittadinanza romana con tutti i diritti che essa comportava.
       Nella rassegna delle numerose epigrafi romane nella terra dei Camuni, si rileva chiaramente che essi godettero pienamente di tutti i diritti: "poiché avevano culto e sacerdozio, contraevano matrimonio, possedevano e disponevano per testamento, facevano parte dell'esercito fino a raggiungervi i più alti gradi, conseguivano cariche pubbliche di carattere municipale".
       Dalle stesse lapidi si ricava che i Camuni avevano il proprio ordine municipale - Ordo Camunnorum - e i relativi "decurioni, duoviri jure dicundo, edili, questori (honores municipales). I duumviri, in quanto amministravano la giustizia si chiamavano anche Praetores e, benché nessuna epigrafe accenni a pretori Camuni, sembra assodato che ve ne furono perché a Cividate erano stati eretti importanti edifici giudiziari, tra cui il pretorio".
       Civitas Camunnorum, l'antica Vannia dei Camuni, l'odierna Cividate Camuno, venne scelta come capoluogo della nuova Res Publica di "Vallis Camunorum" oltre che per motivi "politici" anche per la sua collocazione geografica punto obbligato di passaggio tra la bassa e media Valle e alla confluenza di alcuni importanti sentieri e mulattiere dei Camuni che i romani si affrettarono a trasformare in ampie strade più moderne e transitabili per scopi civili e militari. Gli altri centri più importanti del Sebino, della Val di Scalve e della Valle Camonica che gravitavano amministrativamente su Cividate erano allora: Sale Marasino, Pisogne, Rogno, Borno, Vilminore, Cemmo ed Edolo.
       Essendo Cividate sede dell'organizzazione amministrativa ma anche di quelle giudiziaria e militare, divenne automaticamente il centro della nuova vita "sociale" che i Camuni impararono a conoscere: la vita di una piccola capitale di una provincia (periferica) dell'immenso Impero Romano.
       Si trattava di una vita certamente più intensa e dinamica di quella fino ad allora vissuta nella quiete dei selvaggi boschi o dei piccoli villaggi o castellieri della Valle Camonica, ma specialmente un "modus vivendi" più aperto agli scambi di idee, all'assimilazione di nuove formule e alle iniziative commerciali e culturali. Era in pratica, in scala logicamente ridotta, ma molto similare, la copia conforme e originale della vita nella lontana "Urbis", quella che i cittadini romani conducevano nella grande capitale e che era da esempio, da guida e da modello in ogni angolo del vasto impero.
       Trapiantatisi in valle, dopo la vittoria militare, i Romani portarono le loro usanze, le loro leggi e specialmente il loro affermato stile di vita.
       Come spesso capitava, alla fine delle loro campagne di conquista, i militari e i veterani dell'esercito si stabilivano sul territorio. Dopo anni di servizio nelle legioni o per meriti amministrativi e di sussistenza militare, i "reduci" ricevevano, come compenso, anche di singoli atti di eroismo in guerra, vaste proprietà e benefici o licenze e si trasformavano in possidenti terrieri, artigiani o coloni, commercianti, imprenditori e funzionari.
       Spesso gli appartenenti a questa nuova classe dominante erano membri, solitamente quelli meno in vista e non inseriti nelle linee di successione diretta, delle più distinte famiglie di Roma e del Lazio (come testimoniano alcune lapidi) e, come logico, divennero esempio per i Camuni che assimilarono con rapidità le idee e il modo di vivere.
       Fin dai primi anni dopo la conquista di Augusto in Valle Camonica vennero però anche a stabilirsi definitivamente alcuni nuclei romani di nobile casato che per ragioni di lavoro ma anche per "villeggiatura", trasferendo in zona la loro residenza, costruirono belle e signorili dimore: i Sassia e gli Endrubona a Borno, i Capitoni a Malegno, i Decia a Losine, i Fontana, i Magrini e i Valenti a Cividate, i Crispina a Esine, gli Apistria a Breno.
       Queste nobili famiglie, che divennero "l'èlite" della nobiltà valligiana, importarono anche il culto degli dei romani e in molte località sorsero templi e luoghi di culto dedicati oltre che all'imperatore anche agli innumerevoli abitanti dell'Olimpo.
       Testimonianze dell'edificazione di questi edifici religiosi (che poi i cristiani si affretteranno a trasformare in chiese o abbatteranno per edificare a loro volta i loro luoghi di culto) erano molto diffuse e con certezza si sa della presenza di imponenti edifici a Breno per gli adoratori del dio Sole, a Esine dove invece si adorava prevalentemente Ercole, a Cividate dove la dea preferita era Giunone, mentre a Edolo venivano particolarmente richiesti i benefici che potevano concedere Marte e Saturno. Nella isolata e piccola Prestine doveva sorgere un tempio per il Dio Silvano e a Berzo Inferiore un luogo di culto intitolato alle Divine Fonti. Anche la dea Luna era tra gli dei più seguiti poiché a Bienno sono state ritrovate dirette testimonianze del suo culto.
       La dea "preferita" in Valle Camonica doveva però essere Minerva poiché molte furono le lapidi, le piccole cappelle ma anche i templi importanti (Breno e Cividate) che inneggiavano al suo illustre nome.
       Accanto al culto degli Dei romani però, già nel primo secolo, va diffondendosi anche una nuova religione: il Cristianesimo. Una "leggenda" (non si hanno certezze storiche) cristiana sostiene che il primo evangelizzatore della Valle Camonica sarebbe stato Siro, vescovo di Pavia. Siro sarebbe salito a Brescia per liberare alcuni indemoniati e avrebbe poi visitato alcune contrade camune, "raggiungendo ovunque stima, prestigio e venerazione", tanto da divenirne, dopo la morte, il protettore. Le persecuzioni nei confronti dei Cristiani che i Romani mettevano in opera fecero le loro vittime anche tra i Camuni cristianizzati e tra i martiri si possono ricordare Rustico e Bianco dei Plani di Artogne, Ottaviano e Faustino Brusati che con la sorella Flaminia vennero decapitati e buttati in un pozzo, Leonardo Griffi, Cristoforo Ronchi e Antonio dei Gratacasolei.
       Come spesso è capitato in ogni epoca nelle società in continuo fermento ed evoluzione, per un forte senso di emulazione, ma anche come normale e naturale assimilazione sociale, mirando a raggiungere il livello di vita tenuto dai romani, i Camuni (i più capaci, attivi e ricettivi) cercarono subito di inserirsi nel nuovo ordinamento sociale. La massima aspirazione di questa "élite" di Camuni, fu dunque quella di "romanizzarsi" il più possibile e questo poteva avvenire all'interno del mondo latino in vari modi: prestando servizio militare tra gli ausiliari e i "miles", assumendo responsabilità amministrative che la burocrazia romana tendeva a decentrare o tentando quelle attività imprenditoriali e commerciali che consentivano la scalata sociale attraverso la ricchezza.
       Tra queste primeggiavano l'edilizia, che ebbe un notevole sviluppo nei centri, anche piccoli, toccati dalla via Valeriana, arteria principale che collegò, da sud a nord tutta la valle. Le industrie della lana e del ferro, che già erano presenti a livello artigianale prima della conquista romana, ebbero un forte impulso e prosperarono dovendo soddisfare le imponenti forniture militari agli eserciti di Roma sempre più bisognosi oltre che di armi e di uomini anche di vestiario e di tessuti pesanti e leggeri.
       In breve tempo, anche in Valle Camonica, si instaurarono intensi scambi commerciali con i numerosi mercanti che, potendo viaggiare in relativa sicurezza, lungo le "romanizzate" valli alpine, facevano incetta di beni di consumo, prodotti in loco, per approvvigionare le grandi città.
       Gli scambi in natura vennero sostituiti dall'uso corrente di denaro e questo fattore permise di creare una nuova classe locale di imprenditori più aperti a nuove tecnologie, a scambi culturali e a nuove forme di commercio.
       Non ci volle molto per il passo successivo di assimilazione totale poiché, una volta raggiunto un certo livello economico e sociale, i notabili locali iniziarono a latinizzare il loro nome e senza paure o rimorsi cancellarono dalla propria vita i vecchi Dèi Camuni per onorare pubblicamente i nuovi, numerosi Dèi dell'Olimpo romano, primo fra tutti lo stesso imperatore Augusto. La Valle Camonica era divenuta, con la conquista romana, terra di transito e di congiunzione tra la pianura padana e le nuove province della Rezia.
       I nuovi amministratori si preoccuparono subito di tracciare una viabilità moderna e agevole che collegasse tutta la vallata e dalle scoscese rive del lago d'Iseo (che allora si estendeva, con la sponda nord, forse fino a Montecchio o addirittura fino a Cividate stessa) risaliva, sempre a mezza costa (per l'impraticabilità del fondo valle ricoperto di malsane paludi) fino a Sonico, dove si divideva in due tronconi: uno verso il passo edl Mortirolo (e poi, ben più tardi dell'Aprica) e la Valtellina e l'altro verso il passo del Tonale e il Trentino.
       Era l'importantissima "via Valeriana" che portò ai paesi che attraversava quella "romanizzazione" che rendeva possibili maggiori contatti con il resto dell'impero. Erano comunque due le grandi strade romane che giungevano nella bassa Valle Camonica e che si congiungevano a Rogno, a Borno e a Cividate: una saliva da Brescia e una giungeva da Bergamo. Il loro tracciato, in gran parte, ripercorreva i solchi di antichi sentieri o strette mulattiere già calpestati per millenni dai Camuni.
       Una prima arteria era quella che partiva da Bergamo e a sua volta era divisa in due tronconi principali: quella più a nord che dalla città capoluogo saliva ad Albino e a Clusone e proseguiva tracciata nella valle del Serio, salendo al passo della Presolana, toccando la Valle di Scalve per poi ricongiungersi nei pressi di Borno con la strada del fondo valle camuno e con il secondo tronco proveniente da Rogno.
       L'altra strada, più a sud (ricalcata poi nelle sue linee principali dalla attuale statale 42) passava da Seriate, Casazza, il Lago d'Endine, saliva a Sovere per poi scendere verso Lovere e Rogno e qui dividersi in due e proseguire, da un lato, sulla sponda sinistra (per chi sale) della valle e giungere verso Angolo Terme e, seguendo un antichissimo e preistorico sentiero che passava dalla splendida località montana di Prave scendere, per il passo di Croce di Salven, verso Borno (e questo dimostra la grande importanza che Borno aveva già in quei tempi come punto di passaggio), per poi ridiscendere verso il fondo valle toccando Malegno e poi Breno.
       Il secondo troncone, partendo sempre da Rogno (anche questo antichissimo borgo, per questo incrociarsi e dipanarsi di strade, divenne uno dei centri più importanti dell'intera bassa Valle Camonica), passava da Capo di Lago, Gorzone, Erbanno e saliva nuovamente verso Borno passando per l'antica strada denominata ora delle Vigne (con un percorso leggermente diverso da quello attuale).
       La seconda strada romana tracciata durante e subito dopo la conquista, per "salire in Valle Camonica", partiva dall'altro importante capoluogo: Brescia.
       Passando da Iseo risaliva la sponda est del Sebino fino a Sulzano per poi inerpicarsi a mezza costa (non costeggiando il lago) per passare da Colpiano (antica frazione di Sale Marasino) e risalire ancora verso Zone dove ridiscendeva rapidamente verso la Valle Camonica passando per Grignaghe.
       In località Palotto (all'inizio della attuale val Palòt) si ricongiungeva con l'altra importante via romana che, passando da Pezzate, si univa alla strada principale che scendeva poi in Val Trompia. Anche questa via fu certamente ricavata seguendo il tracciato di un precedente sentiero già percorso in epoca preistorica dai Camuni e dai Triumplini.
       Questo tronco della via Valeriana proseguiva verso il fondo valle senza però mai toccarlo (a causa delle solite paludi prosciugate solo otto secoli dopo !) e passava per Artogne (nata nei primi anni di dominazione romana come stazione di posta o di cambio cavalli), Gianico, Montecchio e proseguendo per Esine raggiungeva Cividate dove, nella capitale romana della Valle, si incrociava con la via che scendeva dal Crocedomini. Lungo queste importanti arterie di comunicazione nacquero molti piccoli centri e si sviluppò un intenso traffico e la civiltà romana si impose rapidamente.
       Ma, come logico, la romanizzazione non si realizzò in modo uniforme, continuo e in modo rapido in tutto il lungo solco dell'Oglio. Gli altri paesi, quelli nascosti nelle numerose e piccole valli laterali confluenti nella Valle Camonica, pure appartenenti ufficialmente alla "Res Publica Camunnorum", vennero in pratica abbandonati al loro tradizionale isolamento, alle loro secolari ed immutate abitudini e a uno stile di vita semi-barbaro che, nelle sue primordiali espressioni, si protrasse ancora per più di mille anni.
       Questo stato di cose (usi, religione, alimentazione, vestiario, pastorizia, agricoltura e struttura socio familiare) rimase stabile e immutato per questo lunghissimo periodo in evidente e anche stridente contrasto con il genere di vita sempre più improntato al modello romano che si andava affermando nel capoluogo e negli altri paesi toccati dalla via Valeriana e dai flussi commerciali che su essa transitavano.
       Come già scritto era consuetudine, ma anche necessità politica e sociale dei conquistatori Romani, trasformare radicalmente la città o il borgo che veniva eletto a capoluogo di ogni colonia, facendone un'immagine o una copia di Roma, anche se, logicamente, in scala ridotta.
       Questo accadde, naturalmente in misura proporzionale alla sua relativa importanza, anche per Vannia che già nel 15 a.C. venne ribattezzata "Civitas Camunnorum" cioè la "città dei Camuni". Il ritrovamento di numerose epigrafi ma specialmente di importanti reperti di epoca romana scoperti in alcuni scavi (ancora in atto) ci servono per comprendere abbastanza bene come doveva essere l'antica Civitas Camunnorum: strade ampie, diritte e lastricate, acquedotti che portavano acqua in abbondanza dalle sorgenti alle numerose fontane pubbliche o vasche private, grandi edifici pubblici come il pretorio, il tempio, le terme, l'anfiteatro, il teatro (ora ben recuperati in un parco tematico di forte impatto emotivo) e numerose ville private adornate da ricchi pavimenti in mosaico, colonne, fontane, stucchi, bassorilievi e statue a dimostrazione della ricchezza e nobiltà dei proprietari.
       Significativi a questo proposito sono stati i ritrovamenti di una statua muliebre acefala e numerosi frammenti di altre statue, fra cui due piedi in bronzo di pregevolissima fattura a esempio eloquente di quanto l'arte greco-romana fosse apprezzata e diffusa in ogni angolo dell'Impero.
       Sempre nell'area prospiciente l'antica capitale romana sono stati ritrovati vari corredi funebri, tronchi di colonne, capitelli, fregi, monete, utensili vari ed altri oggetti. Alcuni di questi reperti sono stati raccolti in un piccolo museo locale (sempre a Cividate) mentre molti altri sono stati inopinatamente e stupidamente dispersi in varie collezioni pubbliche e private di Brescia, Bergamo, Mantova e Milano.
       Nell'ultimo decennio del XX secolo sono iniziati degli importanti scavi che hanno portato alla luce diversi reperti, muraglioni, mosaici, edifici privati e pubblici a dimostrazione della reale importanza che Cividate aveva assunto in epoca romana.
       Un accenno particolare va fatto anche all'antichissimo paese di Borno (e non certo solo perché ha dato i natali a questo autore) che pur essendo abbastanza discosto dal fondovalle e dai tronchi principali della via Valeriana era al centro di importanti strade e antichi sentieri che congiungevano la Valle Camonica con la Val di Scalve.
       Borno, proprio per questa sua strategica posizione, per i significativi ritrovamenti già avvenuti, per la rilevante posizione nella "graduatoria" tra i centri più importanti in epoca pre e post-romana, posto a cavallo del vasto e panoramico altopiano che fa da cornice all'antichissimo borgo, potrebbe contenere ancora tesori archeologici risalenti a questo ancora poco studiato periodo storico.
       Sono stati infatti ritrovati, oltre che numerosi reperti di antichissima arte rupestre camuna, vari e significativi documenti di una forte presenza di romanità, fra cui un'ara con recinto sepolcrale. Borno era certamente, ancora prima della conquista romana, un importante centro di passaggio e forse di incontro mercantile con la vicina Val di Scalve in cui le importanti miniere di ferro erano già conosciute e sfruttate in tempi pre-romani e preistorici.
       Doveva dunque essere un rilevante centro economico e di scambi tra i Camuni e gli Scalvini. L'antica tradizione della lavorazione dei metalli, che si era stabilita nella piccola e isolata Valle di Scalve, ricca di miniere e giacimenti, era già sviluppata intorno al V secolo a.C., cioè al tempo dei primi insediamenti urbani stabili in zona che gli Etruschi (dopo i semi-barbari Liguri) avevano formato con la loro presenza. Furono proprio gli Etruschi, popolo estremamente evoluto nel campo commerciale, a portare nelle valli alpine anche l'alfabeto di cui si hanno alcune testimonianze in brevi iscrizioni in "nord etrusco".
       Dalla pianura Padana, dove avevano fondato anche la città di Brescia, poi giunsero (sembra in tre invasioni successive) i Galli o Celti che divennero i nuovi "padroni della valle" e si integrarono con i residenti sopravvissuti e stabilirono la loro società basata su tre distinte classi sociali: i guerrieri a cui spettava l'uso delle armi, i sacerdoti che dovevano seguire le numerose pratiche religiose e i complessi riti e i lavoratori che avevano il pesante compito di nutrire la tribù con la caccia, l'allevamento e l'agricoltura.
       Questo sistema sociale resse per più di quattro secoli fino alla "Guerra Retica" che Roma portò sulle Alpi.
       Subito dopo la conquista romana e la imposizione delle leggi Augustee (però con un ampio rispetto per gli usi e le consuetudini locali, che in molti casi vennero "assorbite e accettate" dall'ordinamento giuridico romano) vennero poste in atto delle suddivisioni territoriali che permettevano, alla burocrazia centrale e a quella periferica, un capillare controllo civile, militare e sociale sulle nuove terre.
       Il territorio amministrato (romanamente) da Cividate doveva essere ben più vasto della sola Valle Camonica e dell'Alto Sebino: a dimostrazione di questa affermazione si può far riferimento al fatto che i tra le 93 epigrafi romane fino ad ora ritrovate e che hanno collegamenti e riferimenti alla geo-politica camuna, in atto al tempo di Augusto, alcune sono state localizzate a Lovere (2), a Sale Marasino (1) e a Stazzona in Valtellina (1).
       Le altre epigrafi dimostrano invece la consistenza della presenza romana e una teorica "scala" di importanza dei vari paesi camuni in quell'epoca: sessanta sono state ritrovate (per ora) nella capitale Cividate Camuno ma ben nove a Borno e tre a Ossimo e Losine, due a Malegno, Breno, Bienno, Esine, e una a Berzo Inferiore, Plemo, Cemmo e Pescarzo.




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