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Il paese dovrebbe avere le sue origini da un antico insediamento o un luogo fortificato che i romani, durante la loro campagna di occupazione, avevano costruito a cavallo della importante strada Valeriana che percorreva in tutta la sua lunghezza la Valle Camonica. Nella zona sono state infatti ritrovate delle lapidi romane che attestano la presenza in loco di un presidio o di un piccolo borgo, formato forse da alcune abitazioni rurali. Nella zona, forse addirittura già in epoca preromana, potrebbero essere stati presenti dei recinti o degli spiazzi delimitati in cui venivano ricoverati e ammassati i capi di bestiame che poi salivano in altura, sulle montagne circostanti, per l'alpeggio. Questo sistema di allevamento, ancora presente sulle nostre montagne, è una pratica antichissima, adottata anche dai primi abitatori della Valle: i Liguri. Furono proprio loro ad importare l'allevamento del bestiamo "grosso e minuto" nelle vallate alpine e avevano imparato, seguendo l'evolversi delle stagioni, a sfruttare nel periodo estivo-autunnale i vasti prati posti in quota appena oltre il limitare dei boschi, per poi fare ridiscendere le mandrie e greggi a quote più miti durante il periodo invernale.
Tutta la bassa Valle Camonica, comprese le terre di Artogne, in epoca medioevale e carolingia e fino attorno all'anno mille fu donata, con bolla imperiale, ai monaci del potente convento francese di Marmoutier, che tra le varie opere messe in cantiere iniziarono a eseguire delle vaste bonifiche su tutto il territorio acquitrinoso che occupava tutto il fondovalle della Bassa Valle Camonica: il lago Sebino si estendeva fino a Montecchio o più su fino a Cividate. Nel XII secolo, mediante scambi territoriali, donazioni, investiture e molti scontri armati, la Valle divenne feudo del vescovo di Brescia che a sua volta investì di vasti beni e benefici, nella ampia area posta subito a Nord del lago d'Iseo, da Pisogne ad Artogne, la nobile e antica famiglia dei Brusati. L'investitura avvenne con atto ufficiale della Curia il 12 marzo del 1233. Circa un secolo dopo, in un documento notarile del 1331, si legge che le vaste proprietà di Ghirardo Brusati, nel territorio di Artogne e Gratacasolo, erano state acquistate da Zanone e Ziliolo figli di Bajaco Federici di Gorzone, per 2.663,5 lire imperiali (somma enorme per quei tempi). Sembra che, proprio da questi accorpamenti e compra-vendite di varie proprietà appartenenti ad antiche famiglie nobiliari (in molti casi decadute o in difficoltà o in estinzione), nacque la potenza della famiglia Federici. Il ceppo dei Federici, in breve tempo, divenne, nei suoi innumerevoli rami, la più potente casata della Valle Camonica. Alcuni studiosi di storia locale ritengono che gli stessi Federici di Artogne siano discendenti o consanguinei degli stessi Brusati e che derivino il loro nome da Federico Barbarossa, imperatore che li investì di numerosi privilegi e titoli. Tra i vari rami in cui si divise la famiglia, i Federici di Artogne, dapprima ghibellini e dunque alleati dei milanesi Visconti e contrari alla curia bresciana, col dominio della Serenissima Repubblica Veneta si avvicinarono (a più riprese e secondo le convenienze politiche del momento) alla nobiltà bresciana e al vescovo Berardo Maggi, allora Duca di Valle Camonica: anche per questo motivo i Federici di Artogne vennero iscritti nel 1454 nell'elenco dei nobili bresciani. Dalla sua fondazione nel XIV secolo e fino al 1578 la chiesa di San Cipriano fu dipendente dalla vasta e antichissima Pieve di Rogno che era posta però sull'altra sponda dell'Oglio. Nel 1578 la parrocchia di Artogne divenne a sua volta vicariato e proprio in sostituzione di Rogno. Vasta era la sua giurisdizione ecclesiastica che estendeva il suo controllo sulle chiese dei territori di Rogno, Angolo, Darfo, Erbanno, Montecchio, Gianico, Gorzone, Anfurro, Corna, Piazze, Monti e Piano: giurisdizione che venne però notevolmente ristretta alcuni anni dopo con il distacco e la creazione di numerose altre parrocchie. Resta negli annali della storia di Artogne la data del 24 aprile 1580, quando il cardinale Carlo Borromeo, in visita episcopale in valle Camonica, visitò la locale parrocchia e la trovò in ordine e ben funzionante tanto che i religiosi e la popolazione locale furono ufficialmente lodati (e il futuro San Carlo… non era certo tenero nei suoi giudizi !!). Durante l'omelia della messa Grande, in una infuocata predica, però minacciò di scomunica alcuni concubini (minaccia assai ricorrente a quei tempi) e raccomandò di stare lontani dalle idee giansenistiche e protestanti che avevano fatto la loro timida e fugace comparsa anche nel territorio della Valle Camonica, portate dai numerosi mercanti che giungevano dalla non lontana Svizzera e transitavano lungo la via Valeriana che era rimasta la principale arteria valligiana. Nel Catastico del 1610, redatto dal podestà veneto Giovanni da Lezze, Artogne risultava essere dotata di una vasta autonomia comunale la cui giurisdizione amministrativa comprendeva anche le terre, i boschi e i pascoli di Piazze e di Acquebone, agglomerati di case posti a mezza costa e in montagna. Vista la posizione non ideale per coltivazioni intensive (sempre secondo il Lezze), le terre coltivabili di Artogne producevano scarsi cereali ed uve, ma molta fienagione, pere, mele e castagne. Fonte notevole di reddito (e lo fu per secoli) erano appunto le castagne che seccate o ridotte in farina (farìna de schèlt) erano la base per la produzione di biscotti, apprezzati e conosciuti anche fuori dalla Valle Camonica. L'allevamento di bestiame restava comunque la principale fonte di sostentamento, ma vi erano anche quattro fucine, per la lavorazione del ferro e di alcune sue leghe, che ponevano Artogne tra i centri più vitali della Valle. Alcuni mercanti bergamaschi, delle non lontane Lovere e Castro, in cui la lavorazione dei metalli era già impiantata da tempo, avevano ottenuto la concessione da Venezia per estrarre minerali, che si trovavano nel comune di Artogne, tra i quali i più appetibili e anche relativamente diffusi erano l'argento e il piombo. Dopo il periodo in cui spadroneggiavano i vari signorotti locali che, per salvaguardare i propri interessi, si appoggiavano ai vari potentati bresciani, milanesi o veneziani, a seconda del vincitore di turno, nacque, anche se molto lentamente, una volontà popolare di autodifesa dai soprusi o la sensibilità per una certa autonomia e si vennero così a creare le "Vicinie", prima come insieme di agricoltori per acquisire terre o attrezzi, poi per fondare una comunità autogestita e democratica più vasta. Queste col tempo e con una lenta e complessa evoluzione politica si identificarono con le varie municipalità comunali fino al periodo napoleonico. Queste "Vicinie", tra cui Artogne, restarono vive e attive nei loro organismi profondamente popolari e a suffragio allargato ai capi famiglia "originari", fino al periodo giacobino e lasciarono profondi segni di libertà e indipendenza amministrativa in molti comuni della Valle Camonica. Con la Repubblica Cisalpina, Artogne, come il resto della Valle, entrò nel dipartimento bergamasco del Serio e perse la sua autonomia comunale. Dopo la restaurazione post-napoleonica tutta la Valle con gli accardi al Congresso di Vienna, passò sotto il dominio Austriaco e durante le guerre risorgimentali alcuni artognesi parteciparono alle varie vicende belliche contro l'Austria. Artogne dopo la creazione del Regno d'Italia venne nuovamente aggregata amministrativamente a Brescia. Anche ad Artogne, come in tutti ipaesi della Valle, vi fu una forte emigrazione che raggiunse l'apice negli anni 1904/1905 quando ben 132 artognesi, su una popolazione di 1795, andarono lontano d casa per cercare lavoro e una vita più dignitosa. Durante il ventennio fascista, nel 1927, avvenne la fusione e l'accorpamento tra i piccoli comune e Artogne venne unita al comune di Pian Camuno originando "Pian d'Artogne". Nel 1957 Artogne riottenne l'indipendenza amministrativa e ritornò comune autonomo. |