Tutto il territorio che dal passo Aprica giungeva a comprendere anche la Valle di Corteno che poi scende fino ad Edolo era anticamente legato (per condizioni ambientali, geografiche e storiche) più alla Valtellina che non alla Valle Camonica, di cui dal 1700, amministrativamente fa parte. Le due principali vallate alpine (Valle Camonica e Valtellina intercomunicanti anche tramite la valle di Corteno) erano comunque abitate fin da tempi antichissimi e questo è dimostrato dal fatto che sia nel solco dell'Oglio che in quello dell'Adda, si sviluppò, forse in tempi quasi simultanei, l'arte rupestre di incidere le levigate rocce lasciate libere e lisciate dal ritirarsi dei ghiacciai dopo l'era glaciale. Da questa simultaneità e vicinanza si potrebbe evincere e dunque non si può escludere che i Camuni e i Vennoneti (gli antichi abitanti della Valtellina) appartenessero allo stesso ceppo etnico d'origine Ligure-Celtica o, addirittura fossero un popolo unico, che poi si fosse installato nelle due valli comunicanti.
Non è solo una vecchia leggenda (ma è storia documentata) a narrare che anticamente i morti del borgo montano di Carona, piccolo ma antico insediamento abitativo in Valtellina, erano sepolti nel cimitero di Corteno. Essendo impossibile il trasporto dei corpi dei defunti durante l'inverno a causa dell'impraticabilità dei sentieri alpini che portano al fondovalle, le salme venivano condotte a Corteno con un unico funerale in primavera, quando la neve si era sciolta. Da questa antichissima tradizione si può anche presumere che Corteno fosse centro di un vasto pago, forse confederato con quelli di Edolo e di Teglio. Da Corteno passava, in epoca romana, dal 1° secolo d.C., una strada che collegava il fondovalle camuno e partendo da Sonico saliva al passo dell'Aprica e da qui si scendeva poi in Valtellina. Nel 575 il condottiero alemanno Cremnichi alla testa del suo numeroso popolo transitò dalla valle di Corteno e scese a Edolo da dove proseguì, non verso la bassa Valle Camonica e la pianura Padana, ma verso il passo del Tonale per raggiungere la Val di Non in Trentino. Nel 587 fu ancora tramite il passo dell'Aprica e la valle di Corteo che i Longobardi fecero il loro ingresso nelle nostre terre e dilagarono poi in tutta Italia, conquistando gran parte della penisola e instaurando un vasto Regno, diviso in 29 Ducati, destinato a durare più di 500 anni. La regina Teodolinda (nota per il suo fervore religioso ma anche per il suo proverbiale senso pratico negli affari) avrebbe fatto edificare intorno al 590, proprio a Corteno, un monastero dedicato a San Giovanni Battista. Da quest'importante istituzione religiosa, ma anche sede politico amministrativa, dirigeva, con etrema durezza, tramite i suoi delegati, i suoi vastissimi possedimenti in Valtellina. Carlo Magno, il 16 luglio 774, dopo la vittoria sui Longobardi nei pressi del passo del Mortirolo (anche se questa battaglia, per alcuni studiosi, non avvenne mai !) e le successive campagne in nord Italia, donò tutta la Valle Camonica ai monaci del convento francese di Tours, e nella delibera reale, che confermava questa donazione fu inclusa la intera valle di Corteno, ma come area montana non appartenente alla Valle Camonica, anche se geograficamente a lei collegata. Per quasi tre secoli i monaci, che fondarono anche le chiese di Galleno, Cortenedolo e Vico, ebbero vastissimi diritti feudali in zona e portarono alcuni tipi di coltivazioni e di allevamento che furono poi adottati anche in altri siti della valle. Nel 1026, l'abate Raynardo, cedette parte dell'alta Valle Camonica (compresa la Valle di Corteno) al vescovo di Bergamo in cambio di altre terre e possedimenti a Bobbio e in altre svariate località. Il passo dell'Aprica, le terre di Corteno e la loro localizzazione a cavallo tra Valle Camonica e Valtellina, furono sempre una delle principali porte d'accesso alla pianura padana e gli abitanti della zona, costretti a subire le continue angherie, predazioni e violenze per i passaggi di vari eserciti (meglio sarebbe comunque scrivere: intere popolazioni nomadi al seguito degli eserciti, che dal centro e nord Europa volevano passare in Italia) eressero numerose piccole fortificazioni: dei castellieri in cui rifugiarsi in caso di pericolo. Ma gli Ungari, durante la loro invasione e conquista di alcune delle valli alpine, dopo aver espugnato queste primitive fortificazioni, con molto senso tattico, le trasformarono, migliorandole, in loro insediamenti militari-civili anche di notevole importanza. La presenza di questo popolo, proveniente dai Balcani, nella ristretta area alpina che corre dal passo dell'Aprica fino alle pendici del Mortirolo e all'alta Valle Camonica, è testimoniata dalla permanenza, nella toponomastica locale, di alcuni nomi, come le contrade "Angheria" alta e bassa, in località Piazza, il Cortile del Boiardo e anche nel famoso piatto locale a base di carne d'agnello, chiamato "cutz" di chiara derivazione da uno dei più diffusi piatti tipici degli allevatori nomadi ungheresi: "huz". All'inizio del XII secolo la valle di Corteno venne inglobata tra i vasti possedimenti della Curia di Brescia e da allora, pur passando sotto altre numerose dominazioni, fino ai nostri giorni ha fatto parte sempre di quella (lontana) diocesi. Il Vescovo o chi da esso incaricato o infeudato riscosse le decime fino al 1445 quando tutta la Valle Camonica passò sotto la diretta giurisdizione della Serenissima Repubblica Veneta. Risalgono a quest'epoca la realizzazione di diverse altre fortificazioni, alcune delle quali dovettero assumere anche una certa rilevanza, fino ad essere annoverate tra i castellieri della zona. A Corteno, oltre alla costruzione di una chiesa dedicata a San Martino, in posizione dominante, fu anche eretta una costruzione fortificata, una "rocca forte" tra le località Piazza e Pisogneto. Questa rocca doveva essere di notevole imponenza e con capacità difensive rilevanti se un esercito di Guelfi, sostenitori del vescovo di Brescia, non riuscì, pur assediandola a lungo, a distruggerla e neppure a conquistarla durante la calata di Carlo D'Angiò nel 1270. La lotta fu comunque cruentissima e mirava a colpire direttamente i Ghibellini Federici, che con la collaborazione d'altre potenti famiglie camune legate all'Impero, dominavano gran parte della Valle Camonica, con un complesso sistema difensivo composto da rocche o case fortificate e castellieri. Alcuni di questi luoghi erano presidiati da numerosa gente armata ed erano anche situati a Cortenedolo, Corteno e nei pressi del passo dell'Aprica. Nel 1288-89 gli abitanti locali e gli occupanti la rocca di Corteno si ribellarono alla Curia di Brescia ma il deciso intervento di Matteo Visconti servì a ricondurre all'obbedienza i rivoltosi locali. Sempre nel 1288 il Consiglio Generale di Brescia bandì il feudatario di Corteno, Cortella, fiduciario dei Federici, che, per salvarsi la vita, fuggì in Trentino scendendo di nascosto a Edolo e passando poi per il passo del Tonale. Era il primo aprile del 1299 quando il vescovo di Brescia, il potente Berardo Maggi, fece giurare solennemente fedeltà ai notabili locali, sottoponendo Corteno al diretto controllo del suo vicario Cazoino da Capriolo. Questi a sua volta investì su alcuni fondi, benefici e proprietà nei pressi di Corteno e dell'Aprica un certo Bonaventura Armando Bianchi e i fratelli Damiano e Giovanni Corvi originari proprio dell'Aprica. L'anno dopo (il 1300) lo stesso vicario vescovile Cazoino, su delega curiale, investì di altri beni e benefici, sempre nella contrada di Corteno, l'aprichese Farino Corvi, notaio in Edolo. Seguirono poi, negli anni successivi, dal 1302 al 1308, altre investiture vescovili che tendevano alla raccolta diretta delle decime nonché della riscossione, anche in natura di alcune tasse e balzelli. Le beghe all'interno della potente famiglia dei Federici colpirono anche il ramo di Edolo e, a causa di un profondo disaccordo in seno alla stessa famiglia, durante le varie fasi delle guerre combattute tra il Ducato di Milano e la Serenissima Repubblica di San Marco, nel 1425 Gerardo Federici si ritirò proprio nella rocca di Corteno e suo figlio Maffeo vi stabilì la propria residenza fino al 1436. Molti furono gli appartenenti a questo avventuroso e prolifico ceppo (che sembra abbia ricevuto il proprio nome dallo stesso imperatore Federico Barbarossa) che lottarono fra loro in Valle Camonica: si rubarono (anche all'interno della stessa famiglia) terre e proprietà, denunciarono parenti e amici e in molti casi, con questi sistemi (molto in uso a quei tempi)... crearono imponenti fortune. Corteno, nel 1428, come molti altri paesi della Valle Camonica, dopo la conquista Veneziana e la difesa dalle rivendicazioni e da diverse incursioni di truppe Milanesi, ebbe riconosciuti particolari privilegi poichè, durante le varie fasi delle guerre tra le Signorie di Milano (Visconti e Sforza) e la Repubblica Veneta, aveva sempre parteggiato per quest'ultima. Tra le furiose e numerose contese, che videro tante scaramucce, battaglie, assedi e distruzioni, il 15 ottobre 1438, Corteno e il suo castello furono occupati da Pietro Visconti, che da qui confermò, con un diploma formato da 29 capitolati, la separazione dell'alta Valle Camonica sia da Brescia che da Bergamo: fu un brevissimo periodo in cui, questa piccola parte della valle, venne dichiarata zona franca. Per tre anni, dal 1509 al 1512, la valle di Corteno, strappata ai veneti, fu occupata dalle truppe francesi e tutta la zona fu posta sotto la giurisdizione e alle dipendenze del castellano francese che aveva posto la sua sede a Tirano. Ritornata definitivamente sotto la Serenissima, tutta la valle ebbe anni di relativa tranquillità e pace, anche se questa, in questa zona di montagne impervie, fu interrotta a più riprese dai saccheggi dovuti alla presenza di bande di balordi, banditi e malviventi che approfittavano della vicinanza del confine (tra Venezia e il Ducato di Milano e poi dalla Confederazione Svizzera… fino a Napoleone) e dalle asperità del luogo per commettere le loro spedizioni e sfuggire alle cacce organizzate dalle scarse forze dell'ordine. Il transito delle truppe dei Lanzi (detti Lanzichenecchi), che proseguirono poi verso le città della pianura, devastando i vari borghi che incontravano sul loro passaggio, portò pesanti rovine, molti lutti e infauste epidemie. Ma, oltre a subire le angherie dei "forestieri" e delle bande di "briganti", nei brevi periodi di relativa "tranquillità", la pace era spesso interrotta da violente liti tra le borgate della zona che portavano anche a scontri cruenti: il più grave dei quali fu quello tra i due abitati più popolosi: Santicolo e Corteno: una contesa che si protrasse per 4 secoli per il possesso di alcuni boschi e prati in località Bàrech. Nella sua lunga visita pastorale in Valle Camonica, per passare poi in Valtellina, nell'agosto 1580 il cardinale di Milano, Carlo Borromeo sostò anche a Corteno. La rilevanza di Corteno, per la sua posizione strategica a cavallo della più importante arteria viaria per e dalla Valtellina, fu più volte ricordata e messa in evidenza in relazioni dell'epoca, come nel famoso "Catastico" del rettore veneto Giovanni da Lezze, che annotò come quelli che abitavano in paese fossero "prevalentemente agricoltori, eccetto qualcuno che si recava altrove a fare il muratore". Anche a Corteno, come in molti altri centri della Valle Camonica, furono rinvenuti, fin da tempi antichissimi, dei giacimenti di minerali ferrosi e in loco vennero impiantate tre fucine per la lavorazione di questo metallo. Queste miniere erano localizzate sui monti sopra Corteno e in special modo sul "Palone del Torsolazzo". I boschi, vasti e ben tenuti fornivano grandi quantità di legname che "veniva squadrellato e lavorato in alcune segherie ("razziche" in dialetto "ràseghe")". Corteno e le sue contrade anche sotto Venezia restarono terra di confine e proprio per questo motivo, nella zona furono, a lungo, stanziate in modo massiccio delle truppe della Serenissima che presero parte anche al famoso "Sacro Macello", che fu la parte culminante delle stragi e degli eccidi che vennero commessi in nome della fede cristiana contro i protestanti e i cosiddetti eretici che tanti lutti lasciarono in Valtellina. Nel freddo dicembre del 1624, durante il duro assedio alla rocca e alla cittadina di Tirano, attraverso la stretta gola del Guspessa, ricoperta da neve alta, furono fatti transitare cannoni, munizioni e salmerie che giunsero in aiuto degli assediati comandati dal generale Courè. Pochi anni dopo, durante l'immane strage provocata dalla pestilenza che le truppe mercenarie avevano portato in Italia (la famosa peste di manzoniana memoria del 1630), che decimò la popolazione, la chiesa di San Martino fu trasformata in lazzaretto e moltissimi cortenesi persero la vita per l'epidemia. Come molti lettori dei Promessi Sposi sanno bene, la peste, dopo un apice di virulenza che comportò la più grande calamità naturale della storia dell'intera Italia, scomparve quasi all'improvviso e la cosa apparve tanto miracolosa alla gente di Corteno che l'esaurirsi della malattia fu attribuito alla Vergine Maria che, che venne anche tramandato da numerosi racconti popolari, fatti propri anche dalla Chiesa locale, era apparsa, il 26 maggio 1630, ad una ragazzina muta, in casa Lazzaroni a Gandòs di Galleno. Nel 1600 e nel secolo successivo, con l'aumento della popolazione, furono ristrutturate o anche totalmente ricostruite alcune delle varie chiese delle numerose frazioni o borghi che componevano il comune. Come capita spesso nella storia gli svantaggi di essere una zona di confine (passaggio truppe, invasioni, saccheggi, brigantaggio ecc.) molte volte furono compensati da grandi vantaggi (specie economici) e dal 1500 fino al 1796, come sito confinario tra Stati sovrani, Corteno, divenuto grosso centro di passaggio tra la Valle Camonica e la Svizzera, fu centro di numerose fiere e mercati. Quando, nel 1797, dopo la conquista da parte delle truppe francesi del generale Napoleone Buonaparte (e non ancora Bonaparte) e la scomparsa della millenaria Repubblica Veneta, la Valtellina fu scorporata dalla Svizzera e divenne valle italiana, il confine si allontanò dalla valle di Corteno e dal passo dell'Aprica e questi centri d'aggregazione commerciale e sociale si spostarono a Tirano che divenne il mercato più importante dell'intera valle dell'Adda. Anni molto tristi e pesanti furono quelli del periodo Giacobino e Napoleonico: già nel 1799 e poi nel 1800, il paese di Corteno fu occupato dalle truppe dei cosacchi e poi dagli austro-ungarici, successivamente questi contingenti furono scacciati dall'esercito francese comandato dal generale Vendrome e dal generale Mac Donald. La popolazione civile, a causa di questi continui scontri e del costante passaggio di truppe che volevano essere vettovagliate e ospitate, subì gravi angherie, soprusi con continui sequestri di beni, di cibarie e di scorte alimentari e molti furono i danni materiali e morali indiscriminatamente imposti da tutti i contendenti, alla inerme e indifesa gente della valle. Furono specialmente i francesi che sprezzantemente imposero ai locali la dura legge dei conquistatori, con requisizioni di massa e saccheggi: queste vessazioni continue contribuirono ad accendere e alimentare il fuoco della rivolta nella popolazione e nell'aprile e nel maggio del 1809, questa partecipò con slancio ad un'insurrezione contro le truppe d'occupazione. Violenta fu la risposta del governo Napoleonico che destituì il sindaco e processò, nel maggio del 1813, un certo Bortolo Moreschini di Fucine di San Antonio, che aveva ridicolizzato le imprese dell'imperatore. Crollato l'impero di Napoleone, con il trattato di Vienna, la valle passò, come tutta la Lombardia e il Veneto, sotto quello Austro-Ungarico. Nel marzo del 1821 (erano già scoppiati alcuni moti insurrezionali un poco ovunque in alta Italia) il parroco del paese, don Stefano Mottinelli, riuscì a convincere il locale comando delle truppe austriache a lasciare la zona e a passare nella vicina Valtellina diffondendo la notizia che stavano sopraggiungendo, a marce forzate, delle forti colonne armate di soldati Piemontesi. La notizia era falsa ma fece scalpore e fu riportata dalla stampa austriaca e anche piemontese. Alcuni anni dopo, alla vigilia e durante la prima guerra d'Indipendenza, alcuni giovani cortenesi parteciparono, con sincero entusiasmo, alle insurrezioni del 1848 e del 1849. Dopo la sconfitta subita dalle truppe di Carlo Alberto e il ritorno della polizia austriaca al seguito delle truppe del maresciallo Radetzki, molti patrioti camuni e bresciani, trovarono rifugio in Svizzera passando per i passi e i monti di Corteno. Tra i più noti patrioti italiani transfughi dalle terre cortenesi, che le cronache austriache del tempo citavano come "ribelli e rivoluzionari", vi furono anche Camillo Ugoni e Giovita Scalvini. Bernardo Volpi, altro noto e fervente patriota italiano, fu invece ucciso nel 1848 e il generale Griffini, riuscì a passare, inseguito dagli austriaci dal valico dell'Aprica e rifugiarsi in Svizzera e poi in Piemonte. Il fenomeno del brigantaggio di confine, mai scomparso completamente, per alcuni anni fu ancora presente con diverse bande ed elementi singoli e rimase una realtà fino all'unificazione dell'Italia (solo nel breve periodo di dominazione napoleonica fu drasticamente limitato con energiche e brutali azioni poliziesche messe in atto dalle truppe d'occupazione francesi). Alcuni volontari della valle di Corteno furono presenti alle famose "X Giornate di Brescia" e furono molti i giovani che si arruolarono nelle truppe volontarie del generale Garibaldi (una iscrizione murata nella facciata del municipio nel 1848, dice almeno 300, numero enorme riferito alla popolazione di allora). All'inizio del XX secolo Corteno divenne famoso per aver dato i natali a Camillo Golgi, illustre ricercatore in campo medico, che fu insignito del prestigioso premio Nobel per la medicina nel 1906. Il paese, come tutti i paesi dell'alta Valle Camonica, fu quasi in prima linea durante la prima guerra mondiale e le epiche vicende adamelline vollero il loro pesante tributo di sangue tra i giovani locali. Tra questi si distinse Enrico Brichetti che fu volontario nelle Argonne già nel 1914, ancora prima che l'Italia entrasse in guerra contro l'Austria e la Germania. La terra di Corteno, durante quei duri anni, subì però anche gravi lutti che nulla avevano a che fare con la guerra combattuta a pochi chilometri di distanza: una valanga, precipitata nel febbraio del 1916 in località Mondadir, seppellì e uccise dieci persone. Corteno per quanto accadde sulle sue terre nel lungo e travagliato periodo della Resistenza (o della "Guerra Civile"), alla fine della seconda guerra mondiale, ottenne il titolo di paese più "partigiano" della provincia di Brescia. I partigiani di questa terra furono più volte citati in bollettini ufficiali e due furono decorati con il prestigioso riconoscimento della medaglia d'oro: Antonio Schivardi e Giovanni Venturini. |