Nelle località Crape e Luine, ora parco naturale ben attrezzato per visite e gite, poco a nord-ovest dell'abitato di Boario, sono state rinvenute delle belle e significative incisioni rupestri datate all'età Eneolitica (2200-1800 a. C.) raffiguranti scene di pesca e alcune palafitte, oltre a incisioni in caratteri nord-etruschi. Dopo la loro riscoperta e segnalazione negli anni '80, l'inquinamento, l'incuria e anche alcuni atti vandalici hanno danneggiato in parte e resi poco visibili i leggeri graffiti, ma la locale amministrazione ha inteso procedere ad una campagna di salvaguardia di queste incisioni e tutta la zona è stata segnalata, recintata, pulita dagli sterpi e maggiormente sorvegliata e tende ad acquistare un notevole interesse turistico e di studio.
In tempi remoti il fondovalle pianeggiante della bassa Valle Camonica, solcato dal fiume Oglio, doveva essere completamente ricoperto da paludi e terreni acquitrinosi e ghiaiosi tanto che i Romani, quando giunsero nella zona, nell'anno 16 a.C., tracciarono la loro principale strada militare (Via Valeriana) a mezza costa, sui ripidi fianchi della montagna e sui terreni che costeggiavano gli abitati di Gianico e Montecchio. Il lago d'Iseo, fino ad epoca post-romana doveva spingersi ben più a nord dell'attuale bacino e forse lambiva anche l'abitato di Montecchio. Il fiume Oglio doveva essere ben navigabile fino al tardo medio evo, poiché per molti secoli lo stesso Montecchio fu anche un porto di una certa importanza (esiste tuttora una piazza del porto). Montecchio era certamente un borgo di buona importanza, tanto che sembra, già all'inzio del Medio Evo, fosse il primo tra i centri abitati della valle ad avere molte delle sue case con tetto ricoperto di lastre di pietra o di cocci e non di paglia o al più di tavole di legno. L'importanza di Montecchio in epoca medioevale è testimoniata anche dalla presenza di una possente rocca, certamente costruita su un preesistente castelliere d'epoca pre-romana. Da questo castello, eretto sulla collina del Monticolo, si dominava anche il passaggio sul quello che era più trafficato ponte della Valle Camonica, sul quale, oltre a subire controlli, si doveva pagare pedaggio. Questo importante manufatto fu teatro di aspre e sanguinose contese per molti secoli. I monaci del convento francese di Tours prima e i Benedettini di Brescia poi operarono vaste e diffuse bonifiche e ciò favorì gli insediamenti abitativi anche nella piana alluvionale, prima inabitabile, che comunque era sempre minacciata dalle piene dell'Oglio. Nel periodo di dominazione longobarda Montecchio e Darfo erano già centri di notevole rilevanza economica: questo è attestato anche dai ritrovamenti di tombe (scoperte anche molto di recente) nelle zone del Municipio e della chiesetta di San Martino ad Erbanno. L'importanza della zona crebbe anche e specialmente per la sua posizione geograficamente strategica rispetto ai commerci con la vicina Val di Scalve (una delle valli delle Orobie famose per l'antichissima estrazione e lavorazione del ferro e per il legname) ed il Sebino (lago d'Iseo e provincie di Bergamo e Brescia). I regnanti Longobardi elargirono, dopo il 600, vaste donazioni di terre al monastero bresciano di San Salvatore, ma, dopo la conquista franca, lo stesso Carlo Magno, nel 774 (con conferme imperiali dei suoi successori) fece donazione totale di tutta Valle Camonica ai monaci francesi di Tours. Questi, a Pelalepre, intitolarono a San Defendente una chiesa. Pelalepre è certamente la frazione più antica tra i numerosi agglomerati abitati che composero poi il comune di Darfo Boario Terme. Anche il monastero benedettino di Marmoutier riscuoteva tributi feudali, decime e tasse sulle produzioni, specialmente ferrose, dagli abitanti della Val di Scalve che avevano obbligo di portare i loro prodotti proprio alla Corte di Darfo: questo lo si apprende da un Regio decreto datato 1047, in cui l'imperatore Enrico III elesse Darfo a Corte Regia. Subito nacque (come era uso) un fiorente mercato che sembra fosse posto, come già detto prima, nei pressi del ponte in legno che a Montecchio scavalcava l'Oglio. Alla Corte Regia Darfense gli abitanti della Val di Scalve dovevano versare ogni anno mille lire di ferro. Fu imposto anche un pedaggio per attraversare il ponte e questo fece sì che nascesse anche una zona fortificata e successivamente (come già scritto) un castello che divenne, per il suo possesso, centro di contese. Documenti riportano i numerosi e talvolta cruenti passaggi di proprietà di questa possente rocca: nel sec. X fu proprietà (con infeudamento imperiale) di Rogerio da Bariano, per passer poi, nel sec. XI, alla famiglia dei Federici (di fede ghibellina e forse il loro nome deriverebbe proprio da Federico Barbarossa che li infeudò in alcuni possedimenti, primi tra i quali a Erbanno). Il castello passò in seguito alla Curia di Brescia, che ebbe come alleati, in diverse contese, contro gli stessi Federici, i darfensi. Fu ancora Enrico III, con un altro decreto regio, a cedere la Corte darfense ai monaci bresciani di San Faustino, che subito vi eressero una cappella. La famiglia Federici aveva intanto acquistato potere e contro i loro ricorrenti soprusi, gli abitanti della zona, tentarono a più riprese di costituirsi in comune. Un primo riconoscimento a queste pretese, venne dallo stesso dall'imperatore Federico Barbarossa, con un diploma del 1164. Una pergamena del 1200, data in cui si fa risalire la fondazione ufficiale del comune rurale, ricorda questo accordo stipulato nella chiesa di Santa Maria in Ronco. In essa venivano assegnate agli abitanti di Darfo due isole a monte della collina del Monticolo ed un terzo isolotto ai Federici ed ai Brusati (le due famiglie più potenti della zona). Ma le lotte continuarono e qualche anno dopo i Darfensi tolsero con la forza ai signori il castello di Montecchio. Al tempo dell'imperatore Federico Barbarossa, Montecchio doveva contare ben 6.000 abitanti, il borgo più popoloso e importante dell'intera Valle Camonica: erano ben sette le chiese e sembra che, (come già accennato pirma) all'arrivo del nipote del Barbarossa, Federico II, le case del paese fossero quasi tutte coperte di tegole di coccio o lastre di ardesia e non di paglia, sintomo questo, a quell'epoca, di notevole prosperità e ricchezza. Nel 1248 giunse a Montecchio Egidio da Bagnolo inviato da Brescia e, l'anno dopo, nel 1249, occupò e prese possesso della rocac, come rappresentante della città. Contemporaneamente furono concesse, da Brescia, ai Darfensi, esenzioni fiscali e si stabilirono in paese alcuni "uffici amministrativi, erariali, politici e militari" per controllare anche eventuali rigurgiti ghibellini dei feudatari. Montecchio fu sede del governo della bassa Valle Camonica, almeno fino al 1300, quando i Visconti riordinarono completamente l'assetto amministrativo valligiano. Dal castello di Montecchio partì una spedizione dei Federici che fece strage tra i guelfi di Iseo. In seguito a questo grave fatto di sangue, nel 1288, il vescovo di Brescia bandì dalle loro terre i Federici di Darfo, Gorzone ed Erbanno (che comunque continuarono ad viverci e agire indisturbati e impuniti). Ci fu, pochi anni dopo, un intervento pacificatore (interessato) di Matteo Visconti (1291), che inviò a Montecchio un suo rappresentante, col titolo di podestà di Valle. Questa nomina era chiaramente la prima mossa in vista della conquista dell'intera Valle Camonica che, di fatto, avvenne nel 1337. I Visconti, appena stabilite alcune loro guarnigioni in valle, favorirono i ghibellini locali (capeggiati dai soliti Federici) permettendo, anzi aizzando la persecuzione dei guelfi che facevano riferimento alla Curia vescovile bresciana. In questa violenta e sanguinosissima lotta rientrò la feroce spedizione, tra cui primeggiava Giovanni Federici di Erbanno, che il giorno di Natale del 1410 assaltò a Villa di Lozio il possente castello e le fortificazioni della potente e anrica famiglia Nobili, trucidando tutti coloro che avevano fatto, nella riparata e isolata valletta di Lozio, un covo guelfo (filo Curia bresciana) e un rifugio ritenuto inespugnabile. Molte sono le "bòte" (storie o leggende) che sono nate intorno a quella strage e a quella tragica notte, ma di fatto con la distruzione della famiglia Nobili i Guelfi in Valle Camonica persero ogni rifugio e ogni punto di riferimento e potere. Nel 1428 gli uomini del famoso Conte di Carmagnola conquistarono per Venezia il castello di Montecchio in cui stabilirono una numerosa guarnigione. Come primo intervento politico la Serenissima abolì quasi tutti gli ancestrali privilegi feudali che erano ancora presenti in molte contrade della terraferma appena strappata al Ducato di Milano. In un primo tempo fu anche raggiunta un'intesa con i nobilotti locali, elargendo dispense e benefici, ma queste azioni non riuscirono ad evitarne una ribellione guidata dai soliti Federici che nel 1431 si erano, per l'ennesima volta, alleati ai Milanesi che stavano ritentando la riconquista della valle. Le forze della Serenissima intervennero e, questa campagna militare in Valle Camonica, si concluse con la piena disfatta (anche politica) delle truppe Sforzesche (era subentrato lo Sforza nel titolo di Duca di Milano portato dai Visconti la cui famiglia, per ramo maschile, si era estinta). Travolti in questa sconfitta furono anche i Federici e la Repubblica ordinò subito lo smantellamento e la totale distruzione del castello sul Monticolo (1455). Da allora sul Monticolo restarono a testimonianza dell'antico maniero, solo piccole tracce di quello che doveva essere stato uno delle rocche fortificate più importanti di tutta la Valle Camonica assieme ai castelli di Breno, Cimbergo, Plemo di Esine, Lozio ed Edolo. Solo 16 anni dopo (nel 1471) Montecchio fu distrutto da un'enorme frana che cancellò in pratica tutta la cittadina. Fu una catastrofe immane da cui il popoloso e ricco borgo non riuscì più a sollevarsi e a tornare ai fasti di un tempo. L'insediamento abitativo principale della zona divenne perciò la frazione di Darfo che, nel 1495, era divenuta anche sede di municipalità e poté codificare i propri statuti con i "notari" della Repubblica. Risalgono a quei tempi i primi studi sui benefici recati alla salute dalle acque di Boario, alle quali si interessò nel 1500 anche il più grande studioso e medico dell'epoca: Paracelso. In un piccolo "casino", molto simile ai casini di caccia in cui i nobilotti trascorrevano le vacanze, parte in muratura e parte in legno, posto a fianco della via Valeriana che costeggiava il sito, iniziò un primo (artigianale e sporadico) sfruttamento a fini terapeutici di queste acque, che furono anche decantate, nel 1724, in un breve trattato, dal medico Francesco Roncalli Parolin. Il piccolo borgo, non più di tre o quattro case private accanto alle fonti, prese così il nome di "Casino Boario" (denominazione che tenne fino oltre la metà del XX secolo) e iniziarono a giungere, per "passare le acque", numerosi forestieri che trascorrevano i mesi estivi: sorsero così alcune "locande". Nel 1737 fu impiantato a Darfo il primo filatoio di seta della Valle Camonica a cui affluiva buona parte della notevole produzione di bachi da seta: molte famiglie camune avevano intrapreso questa coltivazione per arrotondare i magri bilanci sostenuti specialmente dalla povera agricoltura. In epoca Napoleonica ebbe incremento anche la produzione di armi e la famiglia Laini, proveniente da Angolo, già fornitrice dell'arsenale di Venezia, ottenuti alcuni appalti dai francesi, costruì un forno fusorio che produsse, per un breve periodo, munizioni da mitraglia per l'esercito imperiale ma che, alla caduta di Napoleone, portò al fallimento economico della stessa antica famiglia di impresari metallurgici originari della Val di Scalve. Dopo la cacciata dei francesi, la Valle Camonica, passò sotto la dominazione e l'amministrazione dell'Impero Austro-Ungarico. Furono anni in cui vennero intrapresi numerosi lavori pubblici ma fu anche un periodo piuttosto negativo per tutta la Valle poiché carestie (1817), epidemie ed altre calamità impedirono all'economia locale di decollare. Nel 1834, molti abitanti di Darfo si ribellarono alla vendita di alcuni boschi e pascoli pubblici che avevano potuto fino ad allora liberamente utilizzare e sfruttare (fin dalla concessione imperiale di Enrico III): i pochi gendarmi austriaci dislocati in paese furono disarmati e cacciati. La rivolta, che non aveva nessun fine politico, fu sedata dopo pochi giorni, da due battaglioni di fanteria e da 250 cavalleggeri ussari il cui intervento era stato richiesto dalla gendarmeria provinciale. Durante la prima guerra d'indipendenza (1848) Bortolo Zattini guidò lungo tutta la valle Camonica (impresa non da poco a quei tempi), fino confine con il Trentino al passo al Tonale, un gruppo di volontari camuni, altri seguirono invece Paolo Lanzini Donzelli che si diresse alla volta della bassa valle. Il quella sfortunata (per le armi piemontesi) guerra nelle nostre valli fuorno numerosi i magazzini (dei monopoli) austriaci che furono presi d'assalto e saccheggiati e i poliziotti cacciati. Poi, come era ovvio, dopo la sconfitta dell'esercito piemontese, il ritorno degli austriaci fu caratterizzato da numerose azioni poliziesche e da alcuni arresti e sequestri i case e beni. Si racconta che nel 1852, all'albergo della Posta (principale luogo di sosta della zona e per anni il più importante "albergo" di Darfo), alcuni giovani darfensi, vicini al mondo delle associazioni segrete bresciane, trafugarono da dei carri militari, alcuni voluminosi involti cerati. I grossi sacchi, che contenevano i vari "pezzi smontati" di una forca per impiccagione, furono a lungo cercati anche da alcuni poliziotti e un ispettore capo mandati direttamente da Milano, ma senza esito. Era noto a tutti che sui quei famosi carri viaggiavano, oltre allo strumento di morte, anche il boia di Vienna ed alcuni soldati croati diretti a Milano per giustiziare dei patrioti che erano stati arrestati, dopo la disperata difesa della città. Per compiere l'impresa, che all'epoca fece molto scalpore, la scorta fu ubriacata con vino adulterato. Proprio a causa di quel furto Amatore Sciesa ed altri patrioti, che dovevano essere impiccati, furono invece giustiziati mediante fucilazione. Nel 1859, durante la seconda guerra d'Indipendenza, al comando di Francesco Cuzzetti venne organizzato un corpo di guardie civiche e a Darfo venne attivato un comitato di sicurezza pubblica. Spinti anche dal fuoco rivoluzionario e libertario che spirava forte in quei giorni, si arruolarono numerosi giovani camuni, tra cui diversi darfensi, nei Cacciatori delle Alpi, corpo di volontari guidato da Giuseppe Garibaldi. Ancora prima della liberazione dal dominio austriaco la fama delle acque di Boario era stata vantata anche dagli scritti di Alessandro Manzoni, che ne faceva uso quotidiano fin dal 1845 e si faceva spedire numerose bottiglie. Una relazione datata 1886, del protomedico della luogotenenza austriaca in Milano, Biffi contribuì ulteriormente alla conoscenza delle proprietà terapeutiche di queste acque. L'economia darfense ebbe un rapido sviluppo anche grazie alla costruzione della cosiddetta "via Mala" nel 1862. Quest'ardita opera che attraversava in tutta la sua lunghezza il basso tortuoso corso del torrente Dezzo saliva da Boario e proprio nei pressi del piccolo borgo di Dezzo si ricongiungeva con la millenaria via che scendeva dalla Presolana (per salire poi a Borno) e diveniva la principale via di comunicazione per la Val di Scalve. Nel 1886, sull'Oglio, venne gettato un moderno ponte di ferro che portò al diretto collegamento di Darfo con Boario e Corna senza più passare da Montecchio e dall'antico ponte ad arco costruito nei pressi del Monticolo. Tragico fu il primo dicembre 1923, a causa di gravissimi errori di progettazione e realizzazione, crollò la diga del Gleno, sul fiume Dezzo, in alta Val di Scalve e questo provocò, con una enorme forza d'urto, la distruzione di gran parte di Darfo. Si contarono 500 vittime. In quella tristissima occasione furono presenti in Valle Camonica, unica volta dall'unificazione Italiana, in visita ufficiale il Re Vittorio Emanuele III e le più alte cariche dello stato, che visitarono i luoghi devastati. Nel XX secolo le varie frazioni che ora compongono il comune di Darfo, raggiunsero un'aggregazione amministrativa, e l'economia locale e la popolazione si svilupparono ulteriormente, tanto che il comune è divenuto il centro più importante della Valle Camonica e dal 28 gennaio 1968 ha assunto il nome e il titolo di "Città di Darfo Boario Terme". Mentre Darfo, oltre che sede della municipalità era divenuto un centro importante per l'industria (anche se alcune delle storiche industrie sono fallite o sono state chiuse a causa di sbagliate azioni politiche o economiche incapaci di sostenere la locale produzione) e il terziario, Boario è rimasto agganciato al turismo termale. Note, anche a livello nazionale, sono le sorgenti delle Terme che prendono il nome di Silia, Igea, Antica Fonte e Fausta. Il nome di Boario Terme raggiunse, a cavallo degli anni '60 e '70 una notevole rinomanza che portò questa stazione termale ad essere annoverata tra le principali d'Italia. A fianco del parco delle Terme, negli anni '80, per andare incontro alle esigenze sempre più diversificate e mirate alla salute, era sorto un centro per le varie terapie idropiniche e con fanghi. Poi a partire dal 2000, con acuni passaggi di proprietà e poliche turistiche e di ivestimenti di immagine, sbagliate, si è assistito ad un lento ma inesorabile declino che aveva raggiunto il massimo con la chiusura dello storico Hotel delle Terme e dell'area sanitaria posta nella stessa struttura. Nel 2007 un imprenditore camuno, Sergio Trombini, ha rilevato la proprietà delle Terme e l'anno dopo anche quella dell'Hotel, investendo in lavori di modernizzazione sia delle strutture che del grande parco. Nel 1996, a Boario Terme, è stato inaugurato un moderno Centro Congressi, il cui progetto era stato steso dallo studio Gregotti, il cui scopo principale è quello di essere un punto di riferimento per le iniziative di tutto il comprensorio Camuno Sebino, ma anche centro di promozione turistica per l'intera zona. Copyright © INTERCAM Darfo Boario Terme (Brescia) - Italy |