Una "bota" (storia tramandata oralmente): un'antica leggenda locale, che si perde nella notte dei tempi, che comunque alcuni studiosi ritengono abbia qualche fondamento, racconta che il paese di Incudine fu fondato,
in epoca post romana o nel basso Medio Evo, come campo di raccolta e di sorveglianza per schiavi (da cui il nome "incudine" per indicare il grosso pezzo di ferro su cui venivano "ribattuti i ferri" che incatenavano).
Ma un'altra ipotesi viene proposta sull'origine del piccolo borgo che può essere, anche in questo caso, con buona approssimazione, fissata proprio in epoca post-romana e cioè (come per il nucleo originario di un altro paese della media Valle Camonica: Ono San Pietro) anche per Incudine si può ritenere, con buone probabilità, che un gruppo (o una carovana) di nomadi provenienti dalle pianure ungheresi, durante le continue trasmigrazioni di massa del primo periodo medievale, abbia fissato la propria dimora in questo sito, erigendo alcune piccole case rurali a ridosso della ripida montagna che sovrasta il corso dell'Oglio in questa parte dell'alta Valle che un tempo fu dimora del popolo dei Camuni. Il primo documento ufficiale in cui si trova nominato il paese di Incudine risale al 1032 e si tratta di una pergamena in cui è riportato un decreto di Olderico Duca di Valle Camonica e Vescovo di Brescia che, vantando diritti feudali, priorità religiose e privilegi in alta Valle, disponeva che, dalla vasta e antica Pieve di Edolo, venissero scorporati i paesi di Incudine, Monno, Vezza e Vione. Il decreto curiale fu, negli stessi termini, anche reiterato nel 1194 confermando perciò, in modo ufficiale, la creazione di diversi fonti battesimali, staccati dall'originaria Pieve edolese che aveva avuto la sua origine durante le dominazione longobarda e la diffusione del cristianesimo in valle. Il comune di Incudine, come entità amministrativa autonoma, fu uno dei primi, riconosciuti dal vescovo bresciano in Valle Camonica. I Consoli del paese, Inzelasius Eutaldi Bazii e Mejorus Bellono, dichiararono sotto giuramento, il 13 febbraio 1233, che la terra era e restava di proprietà della Curia Vescovile di Brescia a cui dovevano essere corrisposte le tasse e decime. L'affitto di queste terre era completamente pagato con prodotti locali e in natura: formaggi, pollame, cacciagione e altro che sarebbero stati consegnati ad uso della "mensa vescovile". Negli accordi per Incudine e le sue terre, vi erano citate espressamente delle clausole che ai nostri giorni appaiono curiose, ma che all'epoca erano consuetudine ed erano fondamentali nei rapporti tra coloro che detenevano i diritti feudali e quelli che ne erano soggetti. Queste servitù, delle terre camune nei confronti di chi era investito della Signoria si esplicavano in lunghe e meticolose liste di doveri e contributi come quelli che assicuravano alla Curia bresciana, in caso di uccisione di un orso, una coscia, le gambe, le interiora e la spalla destra. Chi invece riusciva ad impossessarsi del nido di un rapace (sparviero, falco o astore), ritenuti dannosi per la collettività, era dispensato dal pagare, per un determinato periodo, il balzello sul formaggio prodotto in casa. Nel 1299, con un atto del "notaro Albertino Marenzoni", lo sfruttamento di molti beni e proprietà del comune fu stato ceduto dalla lontana Curia ad alcuni nobili vassalli locali tra cui spiccava la famiglia Pasino. Il 3 giugno 1446, dopo che la Valle Camonica era passata dalla signoria del Ducato di Milano alla dominazione della Serenissima Repubblica Veneta (comunque solo nel 1454 questa dominazione divenne definitiva con la pace di Lodi del 9 aprile), il comune e gli uomini di Incudine furono completamente liberati dagli affitti e dalle servitù dovuti ancora al Vescovo, per pagarli però agli esattori della Repubblica di San Marco. Nel 1456 furono realizzate, dai genieri veneziani, delle opere di fortificazione del sito poiché era molto vicino alle pendici del passo del Mortirolo, collegato con la Valtellina e la Svizzera, da cui sarebbero potute discendere truppe nemiche. L'autonomia comunale fu riconfermata, con decreti dogali, a più riprese in tutto il XVI secolo. Il 1600 fu un secolo colmo di disgrazie e pestilenze in tutta la Valle Camonica e anche a Incudine molti furono i lutti dovuti inondazioni o carestie. Terribili furono soprattutto il 1630 e gli anni successivi: grandi disgrazie si abbatterono sulle genti dell'Italia dopo la calata, passando anche per la Valle Camonica, delle temibili e vandaliche truppe dei Lanzi(chenecchi): si dovettero contare moltissime vittime per varie epidemie di peste (quella di manzoniana memoria) che ridussero a quasi la metà la già scarsa e indifesa popolazione locale. Nella seconda parte del 1600 don Maffeo Pietroboni di Monno e altri parroci della zona crarono, impiantarono e animarono delle scuole locali iniziando un'opera di istruzione per "saper leggere e scrivere" che durerà per più di due secoli spegnendosi solo alla fine dell'800. Uno statuto particolare, redatto il 13 maggio 1638, imponeva che l'insegnamento impartito in questa "scuola di grammatica" fosse gestito da un membro illustre della comunità, dal più anziano rappresentante della famiglia Camadini e dal parroco o dal cappellano. La nota famiglia Camadini, la più illustre del piccolo borgo, a dimostrazione della sua presenza, costruì presso la parrocchiale una bella casa gentilizia dalle linee austere e sobrie. Nel 1732 don Pietroboni riportava, negli annali della sua parrocchia, che gli abitanti di Incudine erano circa 400 e che più di 100 erano emigranti, specialmente in Veneto e a Verona in particolare. Altro periodo travagliato e molto difficile per l'alta Valle Camonica fu quello napoleonico: il continuo passaggio nella zona, di truppe sia francesi che austriache, i saccheggi, le requisizioni e le violenze, compiuti indistintamente da entrambi i contendenti, furono pesantissimi e l'inerme popolazione, ridotta in miseria e povertà, era ridotta alla semplice sopravvivenza. Le truppe napoleoniche e quelle austro-ungariche si combatterono ferocemente e a più riprese in questa impervia zona per poter controllare il passaggio sui valichi del Tonale e del Mortirolo: il transito per Incudine, vista la conformazione della valle, era obbligatorio per la collocazione a cavallo dell'unica strada di fondovalle: questo rendeva strategicamente importante e conteso questo sito. Tra gli scontri più cruenti va ricordato quello del 1809 tra gli insorti del vicino Tirolo, guidati dal famoso Andrea Hofer e le truppe d'occupazione francesi. I trentini, calati all'improvviso in alta valle valicando il passo del Tonale e passati alla storia come eroici partigiani e liberatori, saccheggiarono tutto quanto era possibile trovare e uccisero, oltre a qualche soldato francese anche numerosi inermi Camuni. I francesi (che non si comportarono certo meglio) riuscirono comunque a ricacciare i ribelli oltre il confine naturale e politico del Tonale e della Val di Non e si abbandonarono a nuovi saccheggi e a ulteriori spogliazioni. Nel 1815, dopo la sconfitta di Napoleone e il conseguente crollo dell'Impero Francese, venne chiuso il breve ma terribile periodo dell'occupazione delle truppe transalpine e, con il Congresso di Vienna venne sancito il passaggio di tutte le terre della scomparsa Repubblica Veneta, all'Impero Austro-Ungarico. Malgrado alcuni lavori pubblici che indubbiamente migliorarono le condizioni di vita (strade, argini dei torrenti) e una certa tranquillità sociale quello del Regno Lombardo Veneto, fu un periodo che rivide lo spettro delle carestie e delle pestilenze: la febbre petecchiale fece molte vittime e due infezioni di colera, nel 1836 e nel 1855, portarono, ancora una volta, a molti lutti in tutti gli strati della popolazione. Furono sette i volontari di Incudine che combatterono come volontari al passo del Tonale nell'infelice insurrezione anti-austriaca del 1848 che si risolse con una disfatta per i volonterosi ma impreparati, mal comandati e scarsamente armati patrioti italiani. Proprio in quell'anno, per motivi logistici e militari fu impiantato nella zona il primo telegrafo, che fu gestito dalla gendarmeria austriaca. Nel luglio del 1849, nella prima guerra d'Indipendenza, si stabilirono momentaneamente in zona i Cacciatori delle Alpi (guidati da Garibaldi) che vennero affiancati da altre truppe regolari "Italiane". In quei mesi confusi e esaltanti fu il parroco del paese, don Domenico Ceresetti, a raccogliere delle offerte e delle vettovaglie per questi soldati che dovettero però ritirarsi ben presto dopo la sconfitta delle truppe piemontesi di Carlo Alberto. L'importanza strategica della posizione di Incudine (con il forzato passaggio sul fondo valle dell'unica via di accesso tra i passi montani verso il Trentino e la Valle Camonica) obbligò i militari a far saltare, con cariche di polvere nera, l'antico ponte di Sant'Obizio distruggendo completamente quest'opera tanto cara agli abitanti locali. Nel luglio 1866, dopo la pesante sconfitta subita dai soldati italiani a Vezza d'Oglio, il colonnello Caldesi, che non aveva partecipato alla battaglia, pose il suo campo armato e i vari quartieri a Incudine. Il paese cadde però in mano nemica e subito gli austriaci si lasciarono andare a delle rappresaglie, incendiando alcune case e diversi fienili praticando violenze, soprusi e numerosi arresti. Dopo le guerre risorgimentali il primo periodo del Regno d'Italia fu caratterizzato, come in altri paesi, caratterizzati da sacche di povertà diffusa ed endemica, da una massiccia emigrazione di abitanti di Incudine che cercavano fortuna (o semplicemente qualche cosa da mangiare per sopravvivere) andandosene lontani da casa: negli Stati Uniti, Australia, Svizzera, Francia, Belgio e anche Costa d'Avorio. Anche durante la prima guerra mondiale (1914-1918) Incudine, situato nei pressi delle prime linee, che correvano sul fronte dell'Adamello e in alta Valle Camonica, fu centro di comandi militari. Nel piccolo borgo, con grandi disagi, furono stabiliti diversi centri logistici e furono acquartierate molte truppe tanto che la stessa canonica fu trasformata in comando alpino. Nei primi due anni di guerra, 1915 e 1916, furono numerose le strade militari costruite nella zona: erano le vie per approvvigionare le truppe al vicino fronte adamellino. Per Incudine, accanto alla sponda destra dell'Oglio, passava anche la piccola ferrovia che da Edolo saliva fino a Vezza d'Oglio. Proprio per la presenza di truppe in paese e nelle vicinanze, un certo benessere fu patrimonio di alcune famiglie che lavoravano per l'esercito ma, nel primo dopoguerra questa momentanea ed effimera prosperità legata al conflitto, venne a ridursi e Incudine ridivenne il piccolo borgo alpino da cui, percorrendo la statale del fondovalle, passava (e passa) senza fermarsi, il notevole flusso turistico diretto verso Ponte di Legno e il Tonale. |