LOZIO


    Gli antichi Camuni, del ceppo Ligure-Celtico, dovevano certamente conoscere e frequentare questa piccola valle, laterale alla più ampia Valle Camonica e forse percorrevano i ripidi e stretti sentieri che la collegavano alla vicina Val di Scalve, ma su queste antichissime presenze non si hanno dati e riscontri certi e sicuri se non per induzione indiretta vista la vicinanza di molti siti preistorici ritrovati sull'altopiano di Borno e Ossimo e la continuità col territorio della media Valle Camonica.
    Dopo la conquista delle grandi valli alpine nella guerra Retica del 16 a.C., la presenza dei Romani nella piccola valle di Lozio, scoscesa e protetta naturalmente da una corona di montagne e dalla difficoltà e scarsità di collegamenti e strade, è riscontrabile non solo nei nomi di alcune delle frazioni che compongono il comune ma anche perché (dal 1889) sono stati ritrovati, in località Campoguardia, diversi siti funerari di epoca barbarico-romana.
    Nelle tombe vi erano, a corredo, diversi reperti della stessa epoca.
    Intorno all'anno mille, dopo la lunga dominazione longobarda e la successiva conquista dei Franchi di Carlo Magno, in questa zona ebbero numerose proprietà, benefici feudali e beni i ricchi monasteri bresciani di San Faustino e di Santa Giulia.
    Un'antica famiglia di origine bergamasca (la valle di Lozio è a nord-est posta sul confine tra la Valle Camonica e la contigua Valle di Scalve mediante numerosi anche se piccoli passi), i Nobili, fu infeudata, nella valletta dal Vescovo di Brescia che dal X secolo aveva assunto anche il titolo di Duca di Valle Camonica. I Nobili di Lozio risultavano anche strettamente imparentati ad un ramo di un'altra importante e nobile famiglia camuna, quella dei Griffi di Losine, pure loro vassalli della Curia Bresciana e dunque di parte guelfa, che erano stati infeudati, in vaste proprietà della media Valle Camonica (sempre intorno all'anno Mille) da un loro diretto congiunto, salito alla Cattedra vescovile della città: il vescovo Giovanni Griffi.
    E' passata agli annali della storia camuna la furibonda lite che, nell'anno 1156 contrappose gli abitanti di Lozio e quelli del ricco comune di Borno che, recandosi in processione presso l'antica Pieve di Cividate Camuno (da cui le due parrocchie allora ancora dipendevano), si erano incontrati casualmente sulla stessa stretta via e non volendo cedere la precedenza agli altri, erano si era passati agli insulti, alle invettive, al lancio di oggetti e sassi e ad un violento scontro fisico. Allora Cividate era la grande Pieve a capo di tutta la media Valle Camonica e dalla quale le due comunità di montagna (con altre decine di piccole parrocchie vicine) dipendevano per le più importanti funzioni religiose e per il "Fonte Battesimale" che, fattore economico e politico importantissimo, permetteva la raccolta, la distribuzione e l'amministrazione diretta delle decime e di molte tasse.
    Gli stretti contatti tra la famiglia Nobili e la loro terra d'origine, la Valle di Scalve, in cui fin dai tempi preistorici erano state impiantate fucine per la lavorazione dei metalli ferrosi estratti in loco, permise a questa dinastia di irrequieti e prepotenti signorotti, di possedere e gestire un forno fusorio in cui avveniva il completo ciclo metallurgico. Dunque oltre che l'estrazione e la prima cernita del pre-lavorato, che avveniva anche in altri paesi della Valle Camonica, a Lozio si lavorava anche alla completa produzione (fino al prodotto finito (armi, attrezzi e ferrarezze) con varie tecnologie e metodi del prezioso e ricercato materiale. Questo aumentò notevolmente la ricchezza dei Nobili e di conseguenza la loro presenza e la potenza tra i Guelfi della Valle Camonica che si videro obbligati, dalle circostanze politiche, a porre questa stirpe alla testa del loro movimento che stava subendo pesanti restrizioni da parte dei Ghibellini e da alcune famiglie emergenti, legate alla parte avversaria della Curia di Brescia che, in quegli anni, stava conducendo una strenua lotta contro le infeudazioni imperiali.
    I Nobili di Lozio, a dimostrazione della loro riconosciuta supremazia, ma anche per le difficoltà politiche e militari a cui andavano incontro, forse anche per fare sfoggio della loro potenza, costruirono, sul finire del 1200, uno dei più importanti e possenti castelli della Valle Camonica.
    Quest'imponente edificio, andato ora quasi completamente distrutto, sorgeva maestoso sugli scoscesi dirupi sovrastanti la località Villa, ora borgo principale della vallata. I contemporanei, che visitarono questo castello, lo descrissero di "notevole fattura" (dal 1998 sono iniziati dei lavori di ricerca e recupero dei resti della rocca e alcuni storici locali si sono occupati di questo maniero e dei suoi proprietari). La potenza dei Nobili raggiunse ulteriore splendore, quando, anche ufficialmente, vennero riconosciuti come capi dell'intera fazione Guelfa della Valle Camonica. Infatti nel 1363 furono infeudati come diretti vassalli del Vescovo di Brescia e siglarono ulteriori alleanze e strinsero nuove parentele con le altre potenti famiglie guelfe camune come i Griffi di Losine (già loro parenti), i Ronchi di Breno, i Pellegrini di Cemmo, i Grandesini e Lupi di Borno e gli Antonelli di Cimbergo.
    I nemici storici dei Nobili furono, già dal XII secolo, i numerosi componenti dell'altra potente famiglia camuna: i Federici, di parte ghibellina e diretti delegati dall'Impero (da Federico Barbarossa in poi, da cui sembra abbiano preso anche il nome). Pur mantenersi ufficialmente equidistante dalle due fazioni in perenne lotta, Bernabò Visconti, che era stato chiamato come arbitro a gestire una tregua, investì di vari privilegi entrambe le famiglie, ma nella sua subdola politica (che lo portò poi al dominio dell'intera Valle Camonica) preferì favorire, anche se non apertamente, i ghibellini Federici e agì in modo da creare profonde divisioni nella parte guelfa (che al Visconti interessava ridimensionare, essendo a quei tempi, in lotta aperta con il Vescovo di Brescia).
    Dopo grandi e vibrate proteste di partigianeria. lo spregiudicato e infido Signore di Milano nel 1336, a cui interessava mantenere, in quel momento in cui era impegnato in altre lotte aperte, un certo equilibrio tra le parti (favorendo ora l'uno ora l'altro degli schieramenti), esentò i Nobili dal pagamento di numerose tasse e balzelli. Baroncino Nobili, il più importante, astuto e preparato rappresentante della famiglia, ricambiò questo favore e i privilegi assegnati e fece da abile mediatore, ad altissimo livello, nella difficile controversia che era sorta tra il Visconti e il Papa.
    Ma nel 1371 Barnabò, dimentico dei servizi resi da Baroncino e del favore che il Nobili aveva meritato presso la sua diplomazia e la sua corte, passò d'imperio tutta la Valle di Lozio sotto la giurisdizione della Val di Scalve e questo, come era logico, deteriorò i rapporti tra il Visconti e i Nobili che, in questo modo, si vedevano allontanati dall'amministrazione delle terre che avevano in Valle Camonica. La politica viscontea, che nel frattempo aveva comunque elargito altre donazioni ai Nobili, non valse ad evitare che nel 1372-73 i Guelfi camuni si alleassero con quelli bergamaschi portando guerra allo stesso Bernabò Visconti, al quale uccisero il figlio Ambrogio. A questa uccisione sembra non fossero per nulla estranei i vecchi alleati: i Nobili di Lozio, che con lo stesso Baroncino parteciparono, nel 1378 al giuramento per una tregua (che durò solo due mesi) tra le fazioni camune dei Guelfi e dei Ghibellini che, con la presenza di delegati milanesi, si tenne nel castello di Cimbergo.
    Nel 1385, il nuovo potente Signore di Milano, Gian Galeazzo Visconti, non riuscendo a limitare, nella vallta dell'Oglio, la preponderanza politica dei Guelfi camuni si vide costretto a concedere nuovi privilegi ai signori loziesi, inaugurando un periodo di distensione. I Nobili di Lozio, pur restando i principali rappresentanti del guelfismo in terra camuna, visto che lo stesso Visconti si era accordato con il Vescovo di Brescia e aveva concesso a questi alcuni dei principali diritti a riscuotere le decime e le tasse, si rifiutarono di riconoscere i nuovi e pesanti diritti della Curia sul loro feudo e furono quindi "banditi" dalle loro terre e dal Ducato dal podestà Crivelli. Assieme ai loro Signori anche il comune di Lozio, già entità amministrativa a se stante, fu ammonito. Né il comune né tanto meno i Nobili, asserragliati tra le mura del loro possente castello e con il controllo delle impervie vie che conducevano ad esso, si sottoposero al "bando" e continuarono a essere una delle più importanti realtà politiche e militari della media Valle Camonica e sempre più punto di riferimento a chi voleva opporsi al potere sia di Milano che di Brescia.
    Nel 1392 il figlio di Baroncino, Pietro, continuando le scorribande che avevano reso celebri i propri avi, guidò alcune razzie di bestiame sui monti di Bienno, trasferendo intere mandrie dalla Val Grigna fino a Lozio e poi in Val Seriana e Val Brembana. Queste azioni, e altre ancora, allora di una notevole difficoltà logistica e portate a termine correndo grandi rischi, crearono un diffuso clima di guerriglia e ritorsioni con faide e vendette, scaramucce e violenze in tutta la Valle Camonica, tanto che lo stesso Gian Galeazzo Visconti ne fu particolarmente preoccupato. Per questo il Duca di Milano tentò di imporre una tregua generale tra le fazioni, che furono convocate, con tutti i massimi rappresentanti dei comuni e delle più potenti famiglie camune, al ponte Minerva di Breno nel 1397. Qui si firmò una solenne pace, si giurò sulle sacre scritture e si presero precisi impegni... che ebbero breve durata.
    Le lotte ricominciarono addirittura più cruente di prima e su ordine del Visconti, il solito podestà Crivelli, dichiarò nuovamente banditi i Nobili, condannandoli a morte se fossero stati catturati... ma questi rimasero nelal looro valletta, protetti dal loro ben munito castello. Anzi il solito irrequieto Baroncino, con altri guelfi camuni, partecipò ad ardite spedizioni anche fuori della Valle Camonica, come a Rovato ed addirittura a Brescia.
    In città le forze guelfe, riuscendo ad impadronirsi dell'intera piazza, scacciarono il vescovo Guglielmo Pusterla, che si era nuovamente alleato ai Visconti e perciò era divenuto inviso alla fazione guelfa di Valle Camonica (pure a lui pregiudizialmente favorevole) che si era vista crescere a dismisura le imposizioni fiscali sia dalla Curia e che dal Ducato.
    Quando, Pandolfo Malatesta, nominato dal Duca di Milano, per i servigi resi, Signore di Brescia, iniziò una sua personale politica di indipendenza che ben presto lo contrappose agli stessi Visconti (con cui avrebbe invece dovuto mantenere solo rapporti di vassallaggio), ebbe nei Nobili di Lozio degli utili e interessati alleati, anche se gli indisciplinati signorotti camuni, si dimostrarono subito particolarmente restii a seguire le ordinanze che giungevano dal nuovo signore di Brescia. Il favore del Malatesta e la nuova posizione, preponderante, tra le più potenti famiglie della Valle Camonica, scatenò ancor più le fazioni avverse e contro i Nobili e i loro alleati si crearono delle forti coalizioni di fede ghibellina che, auspicando l'arrivo in Valle delle truppe di Milano, si dichiararono favorevoli al ritorno diretto dei Visconti.
    Forse su suggerimento di qualche delegato visconteo o per iniziativa voluta da quelli che si sentivano minacciati dal potere e dalla sfrontatezza dei Nobili venne organizzata una spedizione punitiva che doveva colpire e distruggere la famiglia loziese che, ancora una volta, si era asserragliata nella sua impervia valle e nella sua imponente rocca.
    Così per mano dei Federici (la più potente famiglia ghibellina camuna che aveva stretto attorno a se una serie di accordi e parentele che la ponevano al vertice delle famiglie nobiliari locali), guidati da Giovanni di Erbanno, che era anche insignito del titolo di signore di Mù, fu consumata una spietata e atroce vendetta. La notte del 25 dicembre 1410, il giorno di Natale (che era stato festeggiato dai Nobili e dai propri famigli nel castello e nelle varie case fortificate a Villa di Lozio), le schiere ghibelline penetrarono nella rocca e uccisero tutti i presenti. La cronaca di quel sanguinosissimo episodio (poi trasformata anche in una "bota": storia locale) racconta che i Federici e i loro alleati, col favore delle tenebre, riuscirono a salire lungo gli stretti sentieri della oscura valle senza essere avvistati poichè nessuno, il giorno di Natale, si sarebbe aspettato un'azione nemica. Giunti a nord dell'abitato di Villa e della rocca, con un silenzioso lavoro, sbarrarono e deviarono il corso del torrente Lanico che, con le sue acque, allagò tutte le ripide e strette strade e gelando, vista la rigidissima temperatura, le rese impraticabili e non permise azioni coordinate di difesa. Tutti i Nobili, i loro famigli e le persone che erano nel castello furono trucidati, nessuno dei numerosi componenti la famiglia, in quella notte sanguinaria scampò al massacro. Solo due ragazzi, che si trovavano a Bergamo e Brescia, per seguire gli studi, si salvarono tra tutti i componenti dell'intera potente, illustre e ricca famiglia dei Nobili di Lozio.
    Da allora, la parte guelfa della nobiltà camuna e i paesi che avevano abbracciato la fazione comandata dai Nobili, si schierarono dalla parte dei Federici (e dei Visconti) che, non incontrando più valida resistenza alle loro mire espansionistiche, estesero la loro indiscussa influenza in ogni angolo della Valle.
    Il castello di Lozio e il paese di Villa, che sorgeva accanto alla rocca, rimasero per quasi vent'anni feudo dei Federici di Mù, fino a quando la Serenissima Repubblica Veneta, che aveva conquistato tutta la Valle Camonica, nel 1428, ne ordinò la restituzione agli unici discendenti viventi di Baroncino: Bartolomeo e Pietro Nobili.
    Quando nel 1438 i Viscontei tentarono la riconquista della valle, non riuscirono ad espugnare le fortezze di Lozio e di Breno. Questo importante castello, perno di tutta la difesa della media valle, fu rifornito durante l'assedio di armi e viveri proprio da Bartolomeo Nobili e dai suoi uomini, la cui fedeltà fu riconosciuta e premiata da Venezia con una speciale legge del Gran Consiglio e del Doge, del 20 giugno 1449, che riconosceva libertà di commercio e d'importazione di sale dai paesi del nord Europa, alla comunità di Lozio e alla Valle Camonica. Era un altissimo riconoscimento poiché le leggi che regolamentavano questo commercio erano ferree e le pene per i trasgressori erano tra le più gravi e pesanti.
    Bartolomeo, fedelissimo di Venezia, capeggiò validamente la resistenza contro le truppe comandate dallo Sforza anche nel 1453-54, quando i milanesi ripresero, momentaneamente, il castello di Breno e ggran parte della Valle Camonica. Malgrado i numerosi tentativi, gli attacchi e l'uso (per la prima volta) delle armi da fuoco (bombarde e colubrine) gli sforzeschi non riuscirono a risalire la valle di Lozio e a occupare il castello, difesi strenuamente dallo stesso Bartolomeo Nobili e da Girolamo Ronchi.
    La fedeltà dei Nobili fu di nuovo ricompensata dalla Repubblica di San Marco, quando le truppe venete, dopo numerosi scontri e battaglie, riconquistarono la valle: vennero concessi ai Nobili altri benefici come quello di consentire loro la riscossione delle imposte dovute dal comune di Lozio che fino ad allora erano state versate direttamente a Brescia.
    Nel 1455 il Maggior Consiglio della Serenissima, non più disposto a credere alla malsicura fedeltà di alcuni nobilotti locali che avevano più volte tradito i giuramenti di sudditanza, ordinò lo smantellamento di molti castelli camuni (Montecchio, Plemo, Mu, Cimbergo, Cemmo ecc), ma quello di Lozio fu risparmiato e ai suoi fedeli Signori fu riconosciuta, oltre ai privilegi già citati anche l'ambita "Cittadinanza bresciana" e la proficua e allora (era a pagamento) ricca concessione di pesca nei torrenti Lanico e Baione. La fiducia concessa da parte dei delegati della Repubblica Veneta nei Nobili di Lozio fu ben ricambiata e fu ulteriormente dimostrata nel 1512 da Simone, figlio di Bartolomeo, che partecipò alla riscossa contro le truppe dei Francesi che avevano invaso la valle e occupato alcune rocche camune.
    Gli abitanti di Lozio, già dagli inizi del 1400, avevano comunque iniziato a contestare vivacemente ai loro "Signori" alcuni dei principali diritti feudali e le proprietà sul territorio, tanto che i Nobili, pressati dai sindaci dovettero cedere alcuni privilegi alla comunità, ma la famiglia riuscì a mantenere forte la propria influenza politica, tant'è che nel 1550 riuscì ad imporre come parroco di Villa un suo giovane membro appena quindicenne (la maggiore età allora si raggiungeva al compimento del 14° anno). Questi si comportò in modo tanto scandaloso ed era ritenuto di costumi tanto poco esemplari che Carlo Borromeo, cardinale di Milano, fu costretto a destituirlo ed esiliarlo.
    Nel 1500, anche su stimolo della Repubblica Veneta, che in questo modo limitava enormemente il potere dei nobili locali, erano sorte in Valle Camonica varie "Vicinie" e anche le quattro comunità e frazioni della Valle di Lozio ottennero di poter eleggere i propri organi amministrativi di estrazione popolare e nominare il proprio Console. Nel 1574 i Nobili furono costretti a cedere alcuni dei loro privilegi più esclusivi tra cui quello ambitissimo del diritto esclusivo alla caccia sulle loro proprietà e sulle terre della Valle di Lozio. Di queste concessioni s'impossessò il Comune di Lozio, che le rilevò direttamente, dopo che Venezia non si era opposta al loro incanto e alla loro cessione.
    I secoli successivi videro sorgere e svilupparsi nei piccoli borghi alcune scuole per l'istruzione dei giovani. Fino al 1700 la Valle di Lozio restò quasi completamente isolata dal resto della Valle Camonica, poiché era servita solo da stretti e ripidi sentieri che, permettevano il passaggio solo di carri di dimensioni ridotte e con carichi limitati. Anche con la vicina Valle di Scalve, con cui confinava solo tramite dei piccoli e disagevoli passi, i collegamenti erano difficili e non praticabili tutto l'anno.
    Se questo era stato un grande vantaggio strategico nella difesa della zona, i mutati tempi e le diverse condizioni politiche richiedevano invece collegamenti più celeri e facili, strade più ampie e sicure. Venne allora costruita una strada che collegava i principali borghi con le principali arterie del fondo valle camuno e questo permise un più vivace scambio tra le varie popolazioni e i piccoli paesi loziesi che rimasero però ancora a lungo gelosi della loro piccola ma secolare autonomia.
    Come per altri centri abitati della Valle Camonica fu alto il contributo di vite umane che la comunità di Lozio pagò per le guerre del Risorgimento e per le due guerre mondiali. Nell'ultimo conflitto mondiale dopo la caduta del fascismo, dal dicembre del 1944 al gennaio del 1945, in pieno inverno, agì in queste brulle e inospitali montagne la formazione partigiana delle Fiamme Verdi, comandata da Giacomo Cappellini che fu catturato dai nazifascisti, nell'abitato della frazione di Laveno, e dopo un sommario processo, fucilato.
    A partire dagli anni '90 anche Lozio, come altri centri minori della Valle Camonica, ha intrapreso, con buoni risultati, la strada dello sviluppo turistico e la tranquillità della sua piccola ma incantevole Valle, non ancora contaminata da traffico intenso e da speculazioni edilizie selvagge (anche per l'opposizone ad alcuni progetti), è la maggiore attrattiva per i sempre più numerosi villeggianti che trascorrono i mesi estivi nelle quattro frazioni. Allettanti sono gli itinerari e le escursioni che sono state programmate e consigliate dalla pro-loco che, toccando i diversi angoli caratteristici, fanno della Valle di Lozio un punto di riferimento non solo per passeggiate a piedi ma anche per raduni motociclistici.
    Si cercano anche di rivalutare quelle vestigia storiche legate alla piccola nobiltà locale che tanta importanza aveva avuto nella storia più articolata e ampia della Valle Camonica, con la riscoperta delle rocche dei Nobili e le tracce di insediamenti di epoca preistorica. A partire dal 2000 su un colle che dominava l'intera vallata e su cui sorgeva isolata la bella chiesa dei SS. Nazaro e Celso, a Laveno, sono state edificate, malgrado forti contestazioni, numerose villette a schiera e anche una casa di riposo.



Copyright © INTERCAM Darfo Boario Terme (Brescia) - Italy