In un sito, prospiciente la zona dove oggigiorno sorge l'attuale borgo di Malegno, sono state ritrovate delle steli di epoca preistorica e protostorica. Questi massi eretti verticalmente in una posizione protetta ma dominante (stele "Bagnolo 1" e "Bagnolo 2", così chiamate in riferimento alla località in cui sono state scoperte) sono la testimonianza che questa parte della media Valle Camonica, alle pendici delle aspre montagne che formano la "costa" più soleggiata e esposta a sud-est, doveva essere frequentata dai Camuni, che in tempi antichissimi, forse per raggiungere l'altopiano di Borno transitavano per queste contrade.
Certamente uno dei più importanti sentieri preistorici (su cui in seguito i Romani tracciarono parte della via Valeriana) saliva a costeggiare parte del territorio malegnese (fino agli inzio degli anni '90 del secolo scorso era ben visibile tra le viti ancora presenti una parte del tracciato) per proseguire poi verso nord nella zona su cui, sulla riva opposta dell'Oglio, sorgerà in seguito il castellatico e poi il borgo di Breno, mentre un altro tracciato, quello che scendeva da Borno, si congiungeva con quello che collegava il passo Corcedomini con la bassa Valle Camonica e toccava l'antica capitale del popolo del Camuni: Vannia (poi Cividate Camuno). Risalgono invece all'epoca della dominazione romana, dopo la guerra Retica del 16 a.C. e la soggiogazione di tutti i popoli alpini, alcune significative epigrafi e dei frammenti di strutture funerarie che sono state rinvenute in una zona che doveva essere prospiciente proprio ai sentieri sopra citati: quattro lastre di pietra, un pavimento in terra battuta, dei ciottoli, resti di laterizi e di mura e delle grosse tegole lavorate che dimostrano come in questo sito fosse presente un edificio in struttura muraria. Poiché il fondovalle, in quell'epoca, era inospitale, aperto alle piene dei torrenti e forse ricoperto dalle acque dell'Oglio, in quel tratto profonde e tumultuose, tutta la via Valeriana, la principale arteria romana della Valle Camonica era stata tracciata a mezza costa e dopo aver congiunto la bassa Valle al capoluogo romano Cividate Camuno, saliva, come già scritto, seguendo un vecchio tracciato, a Malegno per poi proseguire per l'alta Valle Camonica. Proprio la vicinanza e la diretta continuità territoriale con l'importante centro politico, amministrativo e religioso che fu per secoli Cividate dovettero essere i principali motivi della presenza a Malegno di un consistente aggregato abitativo. Questa funzione di "paese vicino" a Cividate in cui qualche camuno (o forse anche dei romani), per restare vicino alla "capitale" di epoca romana, si era stabilito, è stata anche provata da una stele che reca, ad altorilievo, la figura del dio Bacco e sui due fianchi un tralcio di vite con pampini e foglie (va ricordato che il nome Malegno potrebbe derivare da "malignus" un diffuso tipo di vite che, proprio in epoca romana, doveva essere stato impiantato sulle soleggiate coste di quel tratto di montagna camuna). Questa stele è ora conservata nel museo di Cividate Camuno. Nella storia dei paesi di Borno e di Lozio si ricorda la furiosa (famosa) e violenta lite che scoppiò tra le rappresentative di questi due comuni che proprio nei pressi di Malegno si scontrarono cruentemente per una presunta precedenza in una processione religiosa che doveva tenersi presso l'antica Pieve di Cividate che inglobava, a quel tempo, molte delle parrocchie che non avevano ancora diritto al proprio fonte battesimale e alla riscossione e amministrazione diretta delle decime. Proprio nel documento che raccontava questa furiosa rissa venne citato per la prima volta il nome di Malegno: era l'anno 1156. Oberto e Armenolfo da Redona (o Regona) nel 1200 vennero riconosciuti, dal Vescovo di Brescia (che aveva anche il titolo di Duca di Valle Camonica), come vassalli curiali sulle terre di Malegno ed Erbanno: la loro presenza in atti ufficiali è confermata negli accordi di Montecchio che, nel 1234, fissavano con meticolosa precisione alcuni pesanti obblighi da parte dei comuni e degli stessi vassalli, verso la potente Curia bresciana. Insieme ad altri borghi della zona (Esine, Borno, Lozio ecc.) e alla stessa Cividate anche Malegno fu obbligato, nello stesso anno, a partecipare ai lavori di costruzione e manutenzione del ponte sull'Oglio che attraversava il fiume nei pressi di Cividate: il contributo dei malegnesi fu di tre sottotravi o "sublige" che dovevano sostenere il piano del ponte stesso. Nel 1288 il Vescovo di Brescia bandì (con scarsi o nulli risultati concreti), dalle proprie terre camune, alcune potenti famiglie di fede ghibellina, vicine, vassalle e investite di benefici e possessi dall'Imperatore: tra queste spiccavano anche i Federici che avevano stretti rapporti con alcune delle famiglie più in vista di Malegno e che avevano fissato la propria dimora in una possente rocca che sorgeva nei pressi dell'attuale borgo. Per questo motivo, nel 1397, schierandosi apertamente con i Ghibellini nella pace del ponte di Minerva a Breno, i rappresentanti del comune di Malegno, erano, con altri delegati di numerosi comuni della bassa e dell'alta Valle, schierati nel seguito dei Federici. Dal 1400 Malegno e la sua parrocchia ottennero il "fonte" (battesimale) e si staccarono perciò dalla Pieve di Cividate e adottarono la completa indipendenza amministrativa, religiosa e politica. Nel 1407 Giovan Maria Visconti, Signore di Milano e nuovo "padrone" della Valle Camonica, concesse le terre di Malegno all'attivissimo (e molte volte cambia bandiera) Giacomo Macagno dei Federici di Angolo che, ottenuto il vassallaggio dal Duca di Milano, si appropriò di altri vasti possedimenti, anche di suoi stretti parenti caduti in disgrazia (forse proprio per dei maneggiamenti orditi dallo stesso Macagno). Ancora nel 1442 il "Comune di Malegno" fu tassato da numerose decime vescovili che dovevano essere pagate principalmente in beni naturali o della cacciagione. Gli anni a cavallo dei secoli XIV e XV furono percorsi da varie guerre, tregue e nuove battaglie, con violenze, saccheggi, vendette e con alterne vicende che videro prevalere di volta in volta le fazioni favorevoli ai Signori di Milano o quelle schierate con la Serenissima Repubblica Veneta, che la guerra successiva trovava magari in campo opposto. Proprio riconoscendo la fedeltà della popolazione alla Repubblica di San Marco, il comune di Malegno (con altri comuni della Valle Camonica), fin dal 1448 fu esentato da molte tasse e ricevette delle estensioni territoriali, con delibera firmata da Francesco Foscari a nome del Maggior Consiglio. Solo cinque anni dopo, nel 1453 le truppe di Francesco Sforza (nuovo Signore di Milano) al comando di Morello Scolari, raggiunsero Malegno dove però furono respinte e sconfitte da forze locali guidate da Bartolomeo dei Nobili di Lozio, paladino dei Guelfi camuni. A partire dal 1459 fu posta in atto una pesante e lunga contesa giuridica tra il Vescovo di Brescia e il Consiglio della Valle Camonica, per chi fosse competente ad amministrare le ricche e consistenti rendite dell'"Ospizio degli Esposti" di Malegno (che molte volte viene anche citato, su diversi atti legali e notarili, come appartenente alle terre di Cividate). Ebbe la meglio il Vescovo di Brescia che dovette però lasciare comunque ampi margini di controllo e di manovra amministrativa a rappresentati locali. Di origine antichissima, questa istituzione viene fatta risalire, dalla tradizione popolare, a prima del 700, in epoca longobarda ben prima dell'arrivo in Valle Camonica delle truppe franche guidate da Carlo Magno. Fu impiantata sopra una preesistente "stationes romana" che sorgeva nei pressi dell'ansa principale del fiume Oglio e, come moltissimi altri edifici similari che erano sorti su tutto l'arco alpino (solo in Valle Camonica erano alcune decine !), fu adibita all'assistenza ai pellegrini o viandanti di passaggio. Nell'841 il vescovo di Brescia, Ramperto aveva affidato questo "Ospizio" al ricostruito monastero di San Faustino di Brescia. Poi l'istituzione, con l'evolversi dei traffici e col sorgere di numerosi altri centri con scopi analoghi, rivolse la propria assistenza, anziché ai pellegrini e mercanti ai poveri della valle, raccogliendo allo scopo, varie e munifiche donazioni. Nel 1301 fu affidato ad una nuova proprietà: dai Benedettini passò agli Umiliati, che in zona avevano già creato molte "case e opifici". Questa congregazione, che univa la preghiera e il lavoro alla gestione di vari e vasti possedimenti, per più di duecento anni amministrò e ampliò l'edificio precedente e i servizi offerti. L'Ospizio si occupò, dal 1400, dei numerosi figli illegittimi o dei neonati o piccoli abbandonati dalle loro madri o ripudiati dalle famiglie. Dopo la tremenda peste del 1630, che aveva ridotto la popolazione locale a quasi la metà, il vescovo Marino Giorgi protesse l'istituto (minacciando anche la scomunica!) dalle mire di quanti cercavano, nella confusione di quegli anni e dalla latitanza dei rappresentanti della legge, di impossessarsi dei vasti beni e numerosi diritti e privilegi che l'ospizio aveva ricevuto e che amministrava. Era il 1580 quando, durante la sua lunga visita pastorale in tutta la Valle Camonica, il cardinale di Milano, Carlo Borromeo, rimproverò aspramente e addirittura pubblicamente il parroco di Malegno don Bernardino Blanco perché il sacerdote aveva il "vizio" di intrufolarsi spesso in questioni strettamente private, "mettendo troppo il naso" nelle liti dei suoi parrocchiani, con grave perdita di "prestigio e di fede". Durante la lunga dominazione Veneta le più importanti famiglie del paese risultavano essere i Vertua (o Vertui), i Bonettini e i Casari. Nel 1758 la parte più a valle del paese fu danneggiata da una violenta alluvione del torrente Lanico che era uscito dagli stretti argini e aveva allagato numerose abitazioni e fienili. Nel 1870, poco dopo la nascita del Regno d'Italia, da un primo censimento generale risultava che sul territorio del comune di Malegno erano poste "a catasto" e funzionavano: due filande e numerose fucine di piccole dimensioni, ma anche alcune industrie legate alla metallurgia che ogni anno producevano complessivamente 220 tonnellate di verghe e di semilavorati. Solo all'inizio del secolo scorso, nel 1908, Antonio Rusconi, riuscì a coagulare attorno alla propria industria di materiali ferrosi le molte piccole realtà artigianali della zona creando un raggruppamento più consistente e fondò l'azienda metallurgica che, come molte altre industrie sul territorio camuno, nel 1918, costruì una propria centrale elettrica che fu edificata alle porte di Malegno. Nel 1925 questa centrale fu incorporata dalla società "Elettrica di Valle Camonica" la ELVA, che assorbì, nel 1929, anche lo stabilimento della "Metallurgica Rusconi" e otto anni dopo, era il 1937, subentrò nella stessa gestione la società "Elettrosiderurgica di Valle Camonica". Gli acciai inossidabili che uscivano dai suoi forni e dalla sua "catena di produzione" erano realizzati con caratteristiche tali che li rendevano apprezzati e venduti in tutta Europa. Nel 1966 alla ELVA successe la S.E.I.I. Società Esercizio Impianti Industriali. Nel 1928, durante il periodo fascista, nell'ambito delle vaste riforme e razionalizzazioni che il regime aveva effettuato, accorpando i paesi più piccoli con quelli di maggior popolazione, Malegno fu aggregato al vicino comune di Cividate Camuno. Dal 1947 il borgo e le terre malegnesi riottennero la completa autonomia amministrativa e ritornarono ad essere comune indipendente. Dalla fine del 1900 e nei primi anni di questo secolo, Malegno ha avuto, come quasi tutti i borghi della Valle Camonica, un grande sviluppo edilizio con lo sfruttamento intensivo dei prati che erano a contorno del paese. |