NIARDO


    Come in altri centri della media Valle Camonica, anche a Niardo, non avendo significative testimonianze di una presenza stabile, in epoca preistorica, di insediamenti umani, la dominazione romana è invece ben rilevabile da alcuni nomi di località che sono giunti, senza particolari distorsioni toponomastiche, fino ai nostri giorni come Sommavilla (da Imavillae) o Codrobe. La presenza dei Longobardi, in epoca post-romana e basso medievale, per quasi 500 anni, è invece ben radicata tanto che il nome stesso del paese dovrebbe risalire a questo periodo storico.
    Dopo la (presunta) battaglia al passo del Mortirolo in cui i Longobardi vennero sconfitti, Carlo Magno donò, nel 774, tutta la Valle Camonica al potente monastero francese di Tours che riscuoteva alcune decime anche nel sito su cui doveva già sorgere un piccolo agglomerato di case rurali.
    Sotto i discendenti di Carlo Magno (che avevano confermato i diritti e i privilegi ai monaci francesi) il borgo di Niardo era soggetto, anche amministrativamente, alla grande e antica Pieve di Cividate (da cui dipendevano altre 37 parrocchie) e, quando, nel 970, gran parte della Valle Camonica passò sotto i possedimenti del monastero bresciano di Santa Giulia, per la prima volta venne citato il nome di Gnardo facendo riferimento alle terre poste poco a nord di Breno e a confine con quelle di Cimbergo. Questa denominazione resterà ufficiale per quasi novecento anni: fino al secolo scorso.
    Intorno all'anno Mille alcuni membri della famiglia Rodondesco, diretti valvassini della potentissima contessa Matilde di Canossa, di cui erano anche parenti, stabilirono la propria residenza a Niardo. Apparteneva a questa nobile famiglia anche quel Costanzo che, nato nel 1066, partecipò, con altri membri della stessa stirpe alle lotte cruente tra Guelfi (sostenitori del Vescovo-Duca di Brescia) e Ghibellini (affrancati prima all'Impero e poi ai Signori di Milano) che sconvolsero e divisero a lungo e in modo sanguinoso anche molti paesi e famiglie della Valle Camonica. Costanzo era di parte guelfa e dunque difendeva gli interessi del Vescovo di Brescia (che aveva anche il titolo di Duca di Valle Camonica), ma era noto, anche fuori della ristretta cerchia dei propri parenti e famigli, che non condividesse molte delle direttive politiche e imposizioni feudali che erano appannaggio della potente Curia. Durante un furioso scontro armato, in cui molti amici e nemici rimasero uccisi e mutilati, rimase ferito, abbandonò la vita militare, la famiglia e si ritirò in eremitaggio in una grotta nei pressi di Nave nella bassa bresciana e ancora in vita aveva aurea di santità.
    Massima espressione di governo e di diretta amministrazione locale su base popolare, la "Vicinia" di Niardo fu una delle prime a formarsi e a gestirsi in Valle Camonica. Nata in contrapposizione allo strapotere e alle angherie dei feudatari locali, la Vicinia si realizzò per amministrare alcuni beni e proprietà comuni, per poi trasformarsi in un vero e proprio organo amministrativo che in seguito, subendo ulteriori modifiche, giunse a formare il primo embrione dell'entità comunale, in cui si gestivano anche proprietà in comune ma addirittura i calendari liturgici e i giorni festivi. Era retta da "Consoli" eletti ogni anno dai Capifamiglia, denominati come "fuochi" (nuclei familiari) e dai residenti denominati "Originari" e coadiuvati nelle pratiche amministrative dai "Reggenti". Compito principale (originario) era quello di regolare uno sfruttamento equo del patrimonio comune formato da boschi, segherie, forni, fucine, calchere, mulini, segaboli e dalle numerose malghe e alpeggi. Questi beni erano dati in appalto ai cittadini che ne facevano richiesta e assegnati, tramite incanti pubblici che si tenevano in piazza, la domenica, dopo la Messa Grande. Le riunioni della Vicinia si tenevano nella casa comunale e, durante il periodo invernale, per il freddo, nelle tiepide e accoglienti stalle. L'elezione dei Consoli e dei Reggenti avveniva per ballottaggio (con delle "balle" ossia delle piccole palle di pietra o legno colorato) in quanto la maggior parte degli aventi diritto al voto (i Vicini) erano analfabeti. Nelle riunioni generali venivano prese tutte le decisioni che poi regolamentavano i rapporti, non solo tra i "vicini", ma anche con la Curia, i feudatari e le comunità confinanti.
    Niardo, per gli studiosi di storia locale, ha assunto anche una certa rilevanza nello studio delle "vicinie" e nel complesso e variegato cammino delle genti della Valle Camonica: proprio tra un niardese, Alberto fu Filippo della famiglia dei Fulchesoni, due nobili di Breno: Lanfranco Federici e Viscardo Brusati con Ottinello di Berzo, Maifredo Falcone di Esine e i rappresentanti dei "Vicini" del borgo, furono, in un documento pubblico, stipulate delle convenzioni e perciò quello fu il primo documento ufficiale in cui era "riconosciuta" la realtà e l'esistenza di una "Vicinia".
    L'importanza assunta dopo l'anno 1000, dal paese di Niardo e del suo territorio è attestata dal fatto che già nel 1100 la popolazione locale e la sua chiesa, avevano ottenuto la concessione di detenere il fonte battesimale, staccandosi definitivamente dalla Pieve di Cividate. Era un privilegio estremamente significativo per quel tempo, che dava notevole autonomia, anche amministrativa, oltre che religiosa. Questo nuovo status era concesso solo ai paesi più importanti della Valle Camonica, e Niardo potè così disporre di propri sacerdoti e chierici ma specialmente poteva raccogliere e gestire direttamente le decime e le donazioni.
    Forse in relazione all'importanza che aveva assunto il paese, gli Umiliati, religiosi laici, già diffusi in Valle, con alcune potenti "case", noti specialmente (ma non solo) per l'abilità nella lavorazione della lana, fondarono nella zona due loro conventi che ben presto assunsero notevole rilevanza economica.
    Nell'anno 1168 Graziandio di Niardo fu eletto Console della Valle Camonica: la prestigiosa carica, che poteva essere assunta solo dai personaggi più noti, ricchi e stimati dell'intero solco dell'Oglio, permetteva di gestire un notevole potere con molta libertà e discrezionalità nell'amministrare la giustizia civile e criminale.
    Ma Graziandio forse non sarebbe passato alla storia solo per la sua importante carica pubblica ma lo è certamente perché fu il padre di quell'Obizio che era alla testa di una "centuria equestre" (cento cavalieri) che, nel 1191 partecipò alla famosa e cruenta battaglia della Malamorte tra bresciani e bergamaschi che si contendevano, da molti anni, i territori di confine nell'Alto e Basso Sebino (le attuali terre di Costa Volpino e Sarnico - Vedasi anche il capitolo di storia del Medio Evo di questo volume). Durante questa battaglia il ponte in legno sul fiume Oglio presso Palazzolo, attraverso cui i Bergamaschi, sconfitti e messi in fuga malgardo la loro superiorità, stavano cercando la salvezza, incalzati dai Bresciani, crollò sotto il peso degli armati a cavallo e dei combattenti e travolse molti soldati. Anche Obizio, che stava inseguendo i nemici da vicino, caduto in acqua e impossibilitato a risalire sulla fangosa sponda, rischiò di morire e sconvolto dall'episodio decise di cambiare radicalmente vita e da guerriero professionista divenne un umile penitente (oblato) al servizio delle religiose del convento di Santa Giulia a Brescia. L'ingente patrimonio di Obizio fu diviso testamentariamente in vari capitoli tra cui la "legittima" fu lasciata alla moglie e ai figli, ma una gran parte venne distribuita ai poveri e col restante (sempre una fortissima somma) fu costruito il famoso, solido e grande (per l'epoca) ponte Minerva, a sud di Breno. Alla costruzione di questo importante manufatto presenziò lo stesso Obizio che diresse di persona anche i lavori. Da allora, su quel ponte, per attraversare il fiume Oglio non si dovettero più pagare i pesanti pedaggi imposti dalla Curia e dai suoi vassalli.
    La famiglia Obizi era schierata con i Ghibellini e perciò Niardo (feudo di questa famiglia) era dalla parte dell'imperatore. Con le sue genti e i famigli di cui si era circondata questa stirpe di guerrieri, fu protagonista di numerosi cruenti scontri armati con i Guelfi, che, appoggiandosi alla Curia di Brescia, volevano che la Valle Camonica perdesse quella notevole autonomia che lo stesso imperatore Federico Barbarossa aveva più volte sancito e riconfermato. Il culmine della lotta tra le due fazioni si compì nella strage di Guelfi che fu compiuta a Iseo. In questo grosso centro del basso lago Sebino, i Ghibellini camuni (tra cui notevole presenza, anche numerica l'avevano quelli di Niardo), con altre truppe valligiane, assediarono e poi snidarono dal castello i Guelfi che, in attesa di aiuti da Brescia, vi si erano rifugiati. Fu un massacro talmente cruento che, malgrado i tempi, non certo nuovi a simili stragi, il Vescovo di Brescia, in difficoltà anche militare, si disse talmente indignato che emanò una scomunica e un bando contro tutti coloro che avevano partecipato a quell'impresa e all'eccidio. Nella bolla vescovile erano promessi anche dei grossi premi a chi "arrestasse o uccidesse i Ghibellini e a chi bruciasse le loro case fortificate, le loro rocche e le loro abitazioni".
    Tra i colpiti da questo pesante bando, che comunque non ebbe nessun effetto pratico, era citato anche Romelio, feudatario di Niardo, che, tranquillo, continuò a vivere indisturbato nelle sue terre, dopo un breve periodo trascorso in Valtellina.
    Fino al 1397 le lotte, le faide, le vendette e le stragi tra Guelfi e Ghibellini restarono radicate profondamente nella quotidianità dei rapporti tra le due fazioni e continuarono anche quando tutta la Valle Camonica passò sotto i Visconti. Questi intraprendenti e spregiudicati Signori milanesi stavano raggiungendo l'apice della loro potenza e le loro terre ormai comprendevano gran parte del nord Italia. Nella loro politica di espansione anche in Valle Camonica, i Visconti, dopo essere stati chiamati per svolgere un ruolo di paceri ed arbitri, approfittarono della situazione per assumere il potere, con la presenza di propri delegati e di truppe che erano state inviate in valle: in breve e senza alcuna resistenza apparente, divennero i nuovi padroni. La politica dei Visconti fu quasi subito improntata a favorire la parte ghibellina, per opporsi alle pretese, sulle valli alpine bresciane, della Curia che venne espropriata di quasi tutte le sue prerogative feudali che vennero elargite a quelle famiglie di nobilotti locali che si erano subito avvicinate servizievoli al nuovo padrone.
    La famosa pace generale che si era tenuta al ponte di Minerva a Breno, ratificata solennemente e pomposamente con grandi giuramenti nel 1397, durò ben poco e le faide ripresero tanto che nel 1403, la rocca di Niardo, che sorgeva sul "Dos del Castel", divenne il rifugio abituale di quel Baroncino Nobili da Lozio, che molte volte, lontano dalle sue terre nella stretta e ben difesa valle di Lozio, proprio dal castello niardese partiva per le sue cruente spedizioni e per le numerose scorrerie che tanti lutti e danni materiali infliggevano ai Ghibellini.
    Nel 1428 la Serenissima Repubblica Veneta, dopo vari scontri durissimi con le forze del Ducato milanese, conquistò la Valle Camonica ma le vicende di questa guerra Veneto-Milanese proseguirono a lungo e con alterne fortune: la Valle venne riconquistata dai milanesi nel 1438, Venezia la riconquistò lo stesso anno, la riperse nel 1453, ma poi, con la pace di Lodi, tutte le valli bresciane passarono definitivamente sotto la Repubblica di San Marco che applicò subito i suoi statuti e le sue leggi che limitavano notevolmente il potere dei feudatari e delle nobili famiglie locali. Molte furono comunque le leggi e le tradizioni valligiane che vennero rispettate e codificate e questo permise un lungo periodo di relativa pace e tranquillità.
    Per quasi tre secoli questa stabilità politica portò anche un certo benessere e un discreto sviluppo economico, di cui beneficiarono i commerci e le attività artigianali. A Niardo sorsero, come in altri borghi della Valle, delle segherie per la prima lavorazione dei tronchi di alberi, abbondanti nei boschi sopra il paese. Vennero impiantate delle falegnamerie che sgrezzavano e piallavano il legname e, seguendo una tradizione radicata in quasi tutta la Valle Camonica, furono attivate delle fucine, per la lavorazione dei materiali ferrosi, in cui erano occupati parecchi abitanti della zona.
    Nel 1478 Giacomo Recaldini (Jacobus Recaldinus) da Niardo fu sindaco della Valle Camonica e Orazio Recaldini (Horatius Recaldinus) ricoprì la stessa prestigiosa carica per ben tre mandati: nel 1596, nel 1603 e nel 1609. Nel 1530, per sei mesi, la peste colpì la zona e numerose furono le vittime tra gli abitanti di Niardo. Esattamente cento anni dopo, nel 1630 sembra che anche Niardo subì direttamente la presenza dalle orde dei Lanzi (chenecchi) che, passando per la Valle, per dilagare nella pianura, lasciarono, come ricordo del loro infausto passaggio, oltre alla completa spogliazione delle proprietà e numerose violenze, anche la terribile e famosa epidemia di peste che durò quasi due anni e che fece moltissime vittime riducendo di quasi un terzo gli abitanti del paese.
    Anche la natura e la collocazione fisica del borgo di Niardo hanno voluto, nei secoli, il loro contributo di vittime e danni e, oltre ai ricorrenti devastanti incendi che erano purtroppo una realtà molto concreta nei paesi di allora (illuminazione e riscaldamento erano con fuochi "aperti" e la case erano quasi completamente costruite in legno, facile esca delle fiamme), nel 1634 e nel 1644 delle piene disastrose dei torrenti Re, Fa e Cobello travolsero numerose officine e abitazioni poste sulle loro sponde.
    Grandi furono i danni tant'è che il governo della Serenissima Repubblica Veneta, stabilì di non riscuotere tasse e tributi per alcuni anni, e inviò aiuti, sussidi e derrate alimentari per alleviare le difficoltà in cui versava gran parte della popolazione. Sempre sotto la dominazione Veneta furono soppressi i privilegi feudali, le prerogative e le proprietà di numerosi monasteri tra i quali quello ricchissimo e potente di Santa Giulia a Brescia dove erano conservate, dalla loro morte, le spoglie dei santi di Niardo Costanzo e Obizio. Il corpo di San Costanzo venne trasferito a Nave (dove aveva vissuto in ritiro gli ultimi anni di vita) mentre quello di San Obizio, dopo oltre duecento anni di inutili suppliche e domande, nel 1798, all'alba del periodo napoleonico, ritornò al suo paese natale in cui tuttora è venerato.
    Durante la breve, ma intensa, avventura del periodo Napoleonico e la successiva dominazione dell'Impero Asburgico, Niardo subì, come altri centri camuni, una profonda crisi economica poiché le ordinazioni di materiale ferroso e dei suoi lavorati (asse portante dell'economia e dell'occupazione della zona) crollarono per la concorrenza di quelli prodotti, a minor costo, in altri domini dell'Impero.
    Anche la famiglia più in vista del paese, i potenti Recaldini, che tanto lustro avevano dato alla storia di Niardo nel corso dei secoli, che basavano la loro ricchezza quasi esclusivamente sulla lavorazione del ferro, subirono gravi perdite e andarono, in breve tempo, al completo tracollo finanziario.
    La crisi economica generale si fece ancor più profonda negli anni in cui la zona venne colpita da grandi carestie che per tre anni successivi, nel 1815, 1816 e 1817 distrussero gran parte del tessuto economico e sociale della valle e forse furono la condizione iniziale per l'affermarsi di terribili epidemie (tifo petecchiale, vaiolo ecc) che falciarono numerosi abitanti.
    Molti Niardesi, come tantissimi altri Camuni, dovettero prendere la dura via dell'emigrazione in terre lontane, per poter ricercare e ricrearsi (quelli che vi riuscivano) una vita dignitosa. L'emigrazione negli anni 1904/1905 fu di 58 unità su una popolazione di 962 residenti, mentre negli anni dal 1946 al 1960 furono ben 286 i Niardesi che, su 1320 iscritti all'anagrafe, si allontanarono dalle loro famiglie per emigrare anche in paesi esteri.
    Oltre ai già citati santi Obizio e Costanzo, Niardo diede i natali (19 marzo 1844) anche a Giovanni Scalvinoni detto il "Beato" Innocenzo da Berzo, per questi illustri compaesani Niardo fu soprannominato, in Valle Camonica: 'l paìs de'ì Sanç (Il paese dei Santi). Nel XX secolo il piccolo paese ha seguito le vicende storiche e politiche dei borghi vicini e solo verso gli anni '70 un buon sviluppo edilizio, accentuato in modo notevole nei primi anni di questo secolo, specie verso sud-ovest e nelle aree prospicienti la strada statale del fondovalle, ha allargato l'antico borgo che conserva nel suo centro storico le abitazioni delle antiche e nobili famiglie niardesi.


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