La zona su cui ora insiste il territorio del comune di Paspardo doveva essere frequentata fin dai tempi preistorici, infatti testimonianze della presenza degli antichi Camuni (del ceppo Ligure-Celtico) sono numerose.
Tra le tantissime incisioni rupestri preistoriche che sono state ritrovate in questo sito montano (non molto distante da Capo di Ponte e Cimbergo, in un'evidente continuità territoriale), notevole è il "Capitello dei due pini" che si trova in località Plas. In questa località, da cui si stende lo sguardo su buona parte della media Valle Camonica e che di fronte è dominato dall'imponente massiccio della Concarena, è stato anche rinvenuto un altare preistorico su cui sono ben visibili dei graffiti raffiguranti cervi, alabarde, lance, pugnali e vari simboli solari. Altre incisioni rupestri sono state ritrovate su dei massi erratici in località "costa Peta" e sul "dòs sùlif" (dosso solatio) che, vista, anche in questo caso, la posizione dominante da cui si abbraccia buona parte delle montagne attorno, doveva essere luogo di culto (forse del sole) degli antichissimi dei pre-romani. Molti di questi luoghi sacri, che erano stati posizionati in luoghi elevati, durante il periodo di dominazione dei Romani, furono trasformati (già nel primo secolo d.C.) in siti di culto degli dei importati dai nuovi padroni, per poi essere a loro volta soppiantati dal cristianesimo che venne imposto in Valle Camonica durante la dominazione dei Longobardi. Il Cristianesimo venne profondamente inculcato, anche con la violenza, nella vita quotidiana dei Camuni specialmente dopo la conquista di Carlo Magno e la donazione, di gran parte della valle, nel 774, ai monaci del potente e ricco convento francese di Tours, che edificarono numerose chiese e cappelle. Alcuni documenti risalenti all'anno mille riportano già il nome "Pasquartum" che nel secolo successivo si trasformò in "Pascardo". Nel 1299 il vescovo di Brescia, Duca di Valle Camonica, concesse in affitto, alla comunità locale, alcuni possedimenti rurali, che erano stati precedentemente ceduti (rinunciati) dagli abitanti dell'antico borgo di Zero. Dal 1308 e fino al 1421 risulta, da più documenti della Curia vescovile, che il paese e le sue terre (come altri borghi della montagna bresciana) dovevano sottostare a una lunga serie di adempimenti ed erano tenuti a versare le decime in favore della "mensa vescovile". Seguiva poi il solito giuramento di fedeltà al Vescovo stesso. Viene riportato nelle "Provvisioni" del 1477, che dopo la pace di Lodi (9 aprile 1454) e negli anni successivi, la famiglia dei conti di Lodrone (con il permesso della Serenissima Repubblica Veneta a cui avevano fatto vari e svariati servigi nelle guerre contro il ducato di Milano) tentò più volte di appropriarsi anche della giurisdizione sui monti di Paspardo, dopo aver ricevuto l'infeudamento nelle non lontane terre di Cimbergo. Dopo la travagliata e sofferta pagina delle faide tra Guelfi e Ghibellini camuni, che tanto sangue avevano fatto scorrere in queste contrade, la Repubblica di San Marco scalzò definitivamente da tutta la Valle Camonica, i Visconti e poi lo Sforza (divenuto Duca di Milano) e fece applicare la sua giurisdizione e le sue leggi, pur rispettando ampiamente molte forme istituzionali, le antiche leggi e le tradizioni locali. Di questo periodo (1488) è il famoso "Codice minerario" (unico nell'Italia dell'epoca) in cui sono descritte anche le miniere di rame e cadmio, che erano localizzate nelle terre di Paspardo. Non dovevano essere comunque di particolare rilevanza o sfruttate su scala industriale poiché, già nel 1610 nel suo famoso e molto particolareggiato "Catastico", il delegato veneto Giovanni da Lezze, non riportava, descrivendo Paspardo e il suo circondario, l'esistenza di siti estrattivi ma solo di un'economia basata sull'agricoltura e l'allevamento. Nello stesso "Catastico" erano segnalati però due mulini e una segheria, segno questo di un certo benessere (tra la diffusa miseria presente in molti borghi della valle) che comunque resta anche attestato da alcune abitazioni signorili con dei portali datati 1576 e 1671 ancora visibili nel centro storico e da alcuni frammenti di affreschi presenti a casa Bonafini. Anche Paspardo venne investito, malgrado la sua posizione abbastanza defilata e lontana delle principali vie di transito, dalle varie ondate di carestie e di peste che erano portate dal passaggio in Valle Camonica di truppe di svariati eserciti. La vita degli abitanti del piccolo paese non doveva essere certo facile: chi non aveva lavoro nei piccoli campi o nell'allevamento a conduzione familiare, si dedicava, solo per brevi periodi autunnali, alla raccolta delle castagne nei vasti (e ancora presenti) castagneti che ricoprivano le falde dei monti circostanti. Un certo reddito proveniva proprio da queste coltivazioni che vennero intensificate e anche razionalizzate fin dal XVIII secolo. Però chi non trovava lavoro anche nelle fucine del fondo valle (ed era la maggioranza dei giovani) doveva emigrare in terre lontane e abbandonare il paese d'origine. Questa piaga, diffusa ampiamente in tutta la Valle Camonica è rimasta presente fino al secondo dopoguerra. Come in altri paesi della Valle, per soccorrere i più poveri e alleviare le grandi miserie, fin dal periodo della dominazione Veneta, era stato messo in funzione un monte di pietà a cui i più poveri ricorrevano spesso. Fino al XX secolo la stragrande maggioranza delle abitazioni dei nostri borghi di montagna era costruita in legno e molti erano i fienili posti all'interno dell'abitato e, per questo, che numerosi e devastanti furono gli incendi che colpirono il paese e a lungo restò nella memoria della gente quello gravissimo del 1833 che provocò pesanti danni distruggendo numerose case. Anche a Paspardo le condizioni di vita stentata e grama portarono a massicci flussi di emigrazione che negli anni 1904/1905 giunsero a 73 unità su una popolazione di 771, mentre negli anni dal 1946 al 1960 su 1245 1245 furono in 199 ad emigrare. Durante il ventennio fascista venne imposto l'accorpamento di numerosi piccoli paesi in entità comunali più grandi e dal 1927 Paspardo fu aggregato al vicino Cimbergo da cui si staccò nel 1947. Dai primi anni novanta (del 1900) una vecchia strada consortile e tagliafuoco, allargata, ampliata e asfaltata, è stata resa percorribile, tra bellissimi panorami della media valle e una suggestiva visione dei ruderi del castello di Cimbergo, per raggiungere Paspardo partendo da Capo di Ponte. Anche la vecchia provinciale che parte da Ceto e passa da Cimbergo, è stata soggetto a lavori di ampliamento e ammodernamento. Ora Paspardo, come altri piccoli paesi della montagna camuna, ha scoperto una buona vocazione per il turismo estivo che è stato incentivato con la costruzione di seconde case e, vista anche la tranquillità del paese e la sua posizione panoramica in quota, unite alla facilità di collegamento, vi sono prospettive perché anche questo borgo diventi richiamo per villeggiature improntate al relax ed alle escursioni sulle vicine montagne. |