SAVIORE dell'ADAMELLO


    Saviore è il borgo più interno della lunga e profonda valle che ha dato (o ricevuto) il nome al paese: fin da epoca preistorica questa zona montana, tutta posta al di sopra dei mille metri di quota, laterale alla ben più ampia Valle Camonica e posta alle pendici dell'Adamello, doveva essere sito di transito, forse con le vicine e confinanti val Daone e valle di Fumo (in Trentino). Nei pressi del lago d'Arno sono stati infatti rinvenuti alcuni reperti (aghi crinali e un'ascia di bronzo) e scoperte delle incisioni rupestri, a testimonianza della presenza dell'uomo, fin in epoche antichissime.
    Seguendo l'evoluzione storica dell'arco alpino nel periodo post-atlantico, in cui il clima caldo e umido creò un ambiente favorevole all'insediamento di una numerosa fauna selvatica, alcuni gruppi di cacciatori, seguendo durante alcune battute, gli ungulati che si portavano a quote elevate, dovettero salire anche in questa valle isolata e accamparsi sulle pendici dell'Adamello. Non si hanno precise notizie dei periodi Ligure-Celtico, romano e post-romano ma, nel 1337, tutta la Valle di Saviore, fu infeudata dal Vescovo di Brescia, Duca di Valle Camonica, a Giovanni e Graziolo, vassalli curiali della contea di Cemmo. In epoca successiva assunsero, gli stessi privilegi, anche altri personaggi locali, e solo nel 1400, durante la dominazione Viscontea e poi Veneta, le decime furono passate, per la raccolta, alla potente famiglia Della Torre che aveva la sua dimora presso la vasta Contea di Cemmo.
    Pur essendo sempre abbastanza isolato, anche il picclo borgo di Saviore, seguendo più da vicino le vicende che travagliavano la Valle Camonica, vide accendersi le lotte e le faide tra le fazioni Guelfe e Ghibelline e molti Savioresi fecero parte delle truppe al comando dei conti di Lodrone (appena infeudati da Venezia nelle contee di Cemmo e di Cimbergo) che nel 1516 misero in atto alcuni attacchi armati portati contro il munito castello di Breno.
    Sempre nel 1500 ci furono parecchie diatribe con gli abitanti del vicino Trentino che rivendicavano il possesso, il diritto e la possibilità di pascolo e di alpeggio estivo in alcune malghe presso il Passo di Campo.
    Nel 1650 la Serenissima Repubblica Veneta concesse vaste e precise esenzioni fiscali agli abitanti del paese che, con numerosi nuclei familiari, erano stati colpiti da un incendio particolarmente violento e devastante e che dovevano ricostruire più di settanta case andate completamente distrutte. Nello stesso furioso incendio morirono anche due Savioriesi. Originaria dalla Val Saviore sembra fosse uno dei rami principali della famiglia Ferrari, ora cognome molto comune in tutta la Valle Camonica e, dal 1995, il cognome più diffuso in Italia. Ferrari dovrebbe essere un nome di famiglia discendente (forse) dal medesimo stipite, ma potrebbe avere avuto origine anche in altre contrade, poiché questo cognome deriverebbe dal fatto che, durante il tardo medio evo (periodo in cui andavano a formarsi i cognomi) molti, anche in altre regioni del nord Italia, si dedicavano alla lavorazione del ferro. Resta però il fatto che buona parte degli abitanti di Saviore (e della Valle Camonica) si dedicava proprio all'estrazione e alla lavorazione del ferro, da cui chiaramente deriva il patronimico Ferrari.
    Illustre personaggio di questa famiglia fu un Vescovo di Brescia: Carlo Domenico Ferrari (1763-1846) che visse il travagliato periodo napoleonico e, nel suo magistero, anche il post Congresso di Vienna.
    Ebbe i natali a Saviore anche il notissimo Bernardino Zendrini (1679-1747) che, famoso medico, divenne celebre specialmente come progettista e scienziato: fu lui che rese operativi i "murazzi", conosciuti in tutto il mondo come la principale difesa dalle maree e dall'acqua alta della laguna veneziana. Al suo tempo fu uno degli uomini più famosi di Venezia (allora la città più ricca e ammirata del mondo), e fu insignito di grandi e svariate onorificenze.
    Nella frazione Ponte di Saviore nacque anche un noto e ottimo pittore: Gian Giacomo Borni (Gaioni) che viene indicato nei saggi d'arte locale come Gian Giacomo Gaioni detto il Bate (sui quadri portano altre sue firme: Bati, Batte, Boni - Bate, Borgnini, Borni, Rambotti). Nel documento "Istoria del Forte et Antico Castello di Vione", del 1695, si cita "Gio. Giacomo Gajoni detto Bornibatte pittore di Saviore" quale autore della Pala del Suffragio, del 1670, per la parrocchiale del paese. Nacque nel 1635 a Ponte di Saviore, figlio di Tomaso Bornini, a sua volta "di Jacomo Bornini et Maria sua consorte"; il nonno nacque nel 1582 a Bienno, da una famiglia originaria di Borno. Rinomato pittore nonché carbonaio, "eccellente professore che morì affatto giovine, ma lasciò in vari luoghi le marche della delicatezza del suo pennello che la immortalarono". Non si possiedono notizie precise sulla sua formazione artistica. Si sposò nel 1659 con Margherita Gelmini, anche lei di Ponte, figlia di Vincenzo, alla presenza del curato Pietro Cresseri, con testimoni Giovan Antonio Gabrielli e Martino Columbi: l'atto è conservato nell'archivio parrocchiale della frazione. Da lei ebbe sei figli: Caterina, nata nel 1662, sposata ad Arcangelo Lascioli di Capodiponte e morta nel 1712 avvelenata; Giovanni, del 1714, morto nel 1714; il terzogenito Giuseppe, nato a Ponte nel 1668. Due figli morirono piccoli: Tomaso, nato nel 1671 e morto ad unanno di età, un secondo Tomaso, del 1673 e morto dopo due anni; un altro Tomaso, nato nel 1678, morì ventenne. Nel 1683, quando aveva 48 anni, scomparve improvvisamente la moglie Margherita, in casa di una certa Domenica Rossi: l'ultimogenito aveva solo cinque anni, la maggiore ventuno. L'atto di morte del figlio Giovanni, del 1714, battezzato a Brescia, indicherebbe la permanenza in città della famiglia di Giacomo Borni per un certo periodo di tempo. Il suo nome ricompare nei registri nel 1669 e poi in atti di matrimoni del 1677, 1682 e 1685, quale testimone, con il nome di Giacomo Borno detto Bate Pittore. Si impegnò nell'attività della locale vicinia. Morì a Ponte il 29 ottobre 1700, a 65 anni e fu sepolto nel cimitero della parrocchiale.
    Durante la dominazione francese in Valle Camonica e il primo periodo napoleonico, subito dopo la caduta della Repubblica Veneta, Giacomo Antonio Bonafini, "notaro in Cividate Camuno", postosi a capo di una banda di delinquenti comuni, di balordi e di antigiacobini, salito fino a Saviore, saccheggiò il paese e procurò gravi danni alla popolazione.
    Formato il Regno d'Italia, gli ultimi anni del XIX secolo furono caratterizzati da un'estrema e diffusa povertà che direttamente produsse l'endemica piaga dell'emigrazione: negli anni 1904/1905 furono più del 12% dei Savioresi che lasciarono il paese in cerca di fortuna: furono 151 unità su una popolazione di 1357. Ancora negli anni dal 1946 al 1960 su 2413 residenti nel comune, furono ben 976 ad andarsene anche all'estero.
    Moltissimi partirono dalla Val Saviore (e dalla Valle Camonica) in cerca di fortuna, pochi tornarono, ma, all'inizio del 1900, furono messi in cantiere lavori per costruire tre grandi impianti idroelettrici e i molti giovani del paese ebbero qualche anno di lavoro vicino a casa.
    Durante la prima guerra mondiale la valle di Saviore era direttamente sulla linea del fronte e tutta la zona venne militarizzata: presidi, comandi, casematte, postazioni e trincee costruite in quegli anni sono ancora visibili ai nostri giorni e non è difficile trovare tutt'oggi, sulle montagne adamelline, dei residuati bellici di quella guerra.
    Ma oltre alle vittime dirette degli scontri armati, anche la natura di quelle montagne si dimostrò ostile e nemica e fu proprio durante quel conflitto che, nel secondo anno di guerra, nel 1916, una caserma posta al passo di Campo, fu travolta, seppellita e distrutta da una enorme valanga. Fu una strage: morirono 150 soldati.
    Il periodo tra le due guerre fu abbastanza tranquillo ma verso la fine della seconda guerra mondiale, nei mesi in cui la Resistenza camuna agiva apertamente e compiva azioni di sabotaggio e di disturbo sulle montagne, nel maggio del 1944, vi furono anche in Val Saviore, da parte delle forze nazi-fasciste, dei rastrellamenti con eccidi, violenze e distruzioni.
    A partire dagli anni ottanta anche Saviore, come altri centri montani camuni e la vicina Cevo, ha scoperto una sua vocazione turistica e, facendo tesoro delle bellissime montagne che la circondano e la sua posizione al centro del parco dell'Adamello, offre gite ed escursioni che possono annoverarsi tra le più belle e classiche della Valle Camonica e dell'intero arco alpino della Lombardia.



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