La presenza in zona di antichissimi insediamenti umani o il passaggio di gruppi di uomini preistorici, forse cacciatori che si erano spinti in alta Valle Camonica o che erano scesi dalla non lontana Valtellina, seguendo la cacciagione in fuga, è attestata da alcuni utensili in selce ma specialmente da belle incisioni rupestri che sono state individuate sul (Còren de le fàte) Corno delle Fate, a circa 800 m. di quota. Questo sito è uno sperone roccioso posto in stupenda posizione panoramica, su cui gli antichi sacerdoti del popolo dei Camuni (del ceppo Ligure e poi Celtico) sicuramente, come in altri siti elevati e perciò più vicini algi dei, celebravano i loro ancestrali culti pagani. Le varie incisioni rupestri trovate sul Corno rappresentano infatti dei simboli solari, delle figure di idoli, degli ominidi ma anche animali, armi e palette. Altre incisioni sono state rinvenute su alcune rocce levigate poste nei pressi del dosso "Fobbio", ai cui piedi doveva transitare l'antichissimo sentiero che collegava i primi insediamenti abitativi della zona: i borghi di Garda e di Rino.
La posizione elevata e panoramica del paese di Garda, da cui si domina un vasto tratto della valle sottostante, dovette essere il motivo principale perché nella zona venisse insediato, già in epoca pre-romana, un recinto fortificato, un castelliere o una torretta di avvistamento per il controllo visivo dell'alta Valle Camonica: dalla zona che inizia alla "strettoia" sopra Cedegolo, alla impervia valle di Paisco, fino ad oltre Edolo. Anche i Romani, dopo la conquista della Valle Camonica, nel 16 a C., posero nella zona un punto di cambio cavalli, forse custodita e sorvegliata da una piccola guarnigione o impiantarono una stazione di posta. La loro presenza è chiaramente attestata anche dai resti di un ponte che, venuto alla luce durante l'alluvione del 1960, in località Dassa (dove sorge un altro ponte sull'Oglio, molto più recente, e un sovrappasso ferroviario che, nel 2010, è stato inagurato per evitare una strettoia, sulla SS42, che aveva creato per decenni un strozzatura alla viabilità di tutta l'alta Valle Camonica), è caratterizzato da un arco a sesto ribassato e da pietrame locale con conci fortemente e saldamente incuneati tra loro. Una prima certa documentazione dell'esistenza di un centro abitato (vicus), dove oggigiorno sorge il borgo di Sonico, è posteriore alla dominazione Longobarda e successivo alla conquista Carolingia: nell'anno 842, Autchari, in accordo con il fratello germano Alcario, "Duchi dell'alta Valle Camonica", investirono il ricco monastero di San Ambrogio di numerosi beni, vaste proprietà e servizi sulle terre di Sonico: il documento diomostrava che i Longobardi, in circa 400 anni di dominazione, si erano radicati profondamente anche nell'alta Valle Camonica, ma con il sopraggiungere dei Franchi dovettero cedere le loro proprietà. Forse anteriore all'anno mille è la costruzione di un edificio fortificato (forse una rocca o un castelaltico) a Rino: ne è testimonianza una bella torre che sorge in piazza Sant'Antonio. L'importanza del sito in epoca medioevale è attestata anche da un vasto caseggiato, annesso alla torre, che dovette essere edificato, forse su una costruzione precedente, nel 1200 e poi ampliato nel secolo successivo. Interessante è il portone principale a tutto sesto. Passato l'anno mille, le terre di tutta la zona, vennero inglobate nelle proprietà della Curia vescovile di Brescia (il vescovo di Brescia aveva anche il titolo di Duca della Valle Camonica) che nel 1198 concesse, a titolo livellario (e cioè solo per lo sfruttamento del soprassuolo) l'affitto di numerosi appezzamenti. Sono diversi gli atti ufficiali che riportano i testi di questi (contratti) giuramenti che furono frequenti (e forse necessari per ribadire, a diverse scadenze, la supremazia e il possesso della lontana Curia) nel 1200, 1233 e 1299 ma anche pere tutto il secolo successivo. Importanti e antiche famiglie bresciane e della Valle Camonica, giurando fedeltà alla Curia, ebbero a Sonico vasti possedimenti e ricevettero molti diritti feudali che il Vescovo di Brescia concedeva per la riscossione delle imposte e la ricca raccolta delle decime che andavano poi all'antichissima pieve di Edolo. Di queste stirpi che in zona, dopo l'infeudamento vescovile, rivendicarono per un lungo periodo dei diritti e privilegi di proprietà e possesso vanno ricordati i Ronchi di Breno, i Federici di Erbanno (uno dei tanti rami in cui si divideva questa famiglia che ricevette benefici anche da Federico Barbarossa, da cui sembra abbiamo preso il nome), i Magnoni di Malonno, i Personi di Ossimo, i Dalla Torre di Cemmo che nella zona rivendicarono privilegi fino oltre il 1300. Fu solo verso la fine del 1200 che Sonico venne staccato dalla grande Pieve di Edolo e ottenne il fonte battesimale ed ebbe la possibilità di far svolgere nella chiesa del paese i propri servizi religiosi. Questa indipendenza religiosa (che era anche indipendenza economica, dato che le decime non venivano più inviate a Edolo, ma investite nella parrocchia locale) dovette essere riaffermata ufficialmente anche nel 1459 quando, in zona, fece sosta il delegato, inviato in alta Valle Camonica, del Vescovo di Brescia, monsignor Benvenuto Vanzio che con atto ufficiale documentò, finalmente, la definitiva avvenuta separazione. Fu nel 1500 che a Sonico venne eretta la parrocchiale di San Lorenzo che fu edificata dove prima esisteva una semplice diaconia che oltre a luogo di culto era anche posto di rifugio e riparo (ospizio) per pellegrini e poveri. Gli ospizi erano una presenza frequente in tutto l'arco alpino e sorgevano lungo le strade percorse dai pellegrini, dai viandanti ma anche dai mercanti. E' documentato che proprio a Sonico era già presente, nella stessa epoca, anche un altro (e forse più importante e antico) ospizio che però sorgeva sul dosso posto ad ovest dell'abitato di Sonico, dove poi fu edificata la chiesa di San Andrea. Era antichissima consuetudine, per i parrocchiani di questo tempio, stendere delle lenzuola bianche sul sagrato, prima dell'inizio delle funzioni religiose o di riti propiziatori (molti dei quali di chiara origine pagana e che risalivano all'epoca pre-romana dei riti naturali dei Camuni), perché visibili da molto lontano e fungessero da richiamo ai fedeli, dato che le campane non erano ancora presenti sui campanili di molte chiese. Sul bel santuario della Madonna della Pradella esiste una "bota" (una storia locale, trasmessa oralmente: metà verità storica ma metà anche leggenda) che si è tramandata fino ai nostri giorni e che racconta come sul campanile venisse issata la più antica campana della Valle Camonica e forse di tutte le terre bresciane: la data fusa su questa campana è quella del 1421: dunque testimone attendibile della propria veneranda età. Si racconta anche che il nobile Omobono dei Federici di Sonico, durante la fusione della campana, che avveniva sul sagrato e nei pressi del campanile, abbia gettato, nel crogiolo ardente, con un gesto teatrale, le proprie argenterie perché la campana stessa, fusa con questa lega così impreziosita, potesse avere "un timbro più squillante nel cielo delle montagne". Solo nel 1630 la parrocchiale di Rino ottenne la separazione da quella di Sonico che fino ad allora era ritenuta la chiesa madre e in cui si svolgevano tutte le funzioni religiose (che in quel periodo avevano anche un profondo significato politico e amministrativo). Come in altri numerosi paesi della Valle Camonica, anche per Sonico, dall'epoca romana, durante tutto il medio evo e poi sotto la lunga dominazione della Serenissima Repubblica Veneta, una grossa fonte di reddito e ricchezza fu l'estrazione e la lavorazione di materiali ferrosi. Numerose erano le fucine e i forni fusori tra cui uno di proprietà della potente famiglia bresciana dei Martinengo che aveva vasti possedimenti in tutta l'alta valle. Una certa notorietà, non solo locale, ebbero numerosi artigiani Sonicesi che, insieme a quelli di Santicolo di Corteno, gestivano una rinomata scuola di arte muraria da cui partivano numerosi lavoratori che si recavano anche in stati esteri e molto lontani a costruire palazzi e magioni signorili ma specialmente edifici religiosi. Anche Sonico e le sue terre furono colpiti a più riprese da carestie e pestilenze. La più tragica e devastante fu la grande peste del 1630 (di Manzoniana memoria) che ridusse, in brevissimo tempo, quasi della metà la popolazione residente. Nella millenaria storia della Valle Camonica grandi sventure naturali colpirono periodicamente queste terre: erano le inondazioni che l'Oglio o i numerosi e violenti torrenti, non regimentati per secoli, procuravano ai borghi che attraversavano o lambivano. Ma specialmente erano i furiosi incendi che, avendo facile esca nelle abitazioni costruite prevalentemente in legno, devastavano case e opifici: anche a Sonico alcuni di questi disastri fecero grandi danni e molte vittime. Come in quasi tutti i paesi della Valle Camonica, anche Sonico, a causa delle difficili condizioni di vita, ha conosciuto la piaga endemica dell'emigrazione, che raggiunse notevoli flussi negli anni 1904/1905: furono 177 i Sonicesi, su una popolazione di 1441 residenti ad andarsene anche in terre lontane a crecare fortuna, mentre ancora negli anni dal 1946 al 1960, su 1840 residenti, furono in 323 a emigrare. Sonico negli ultimi anni, forse per la sua vicinanza a Edolo, ha ripercorso le tappe del più popoloso vicino e sfruttando la sua vocazione turistica (specie nelle piccole frazioni montane), si è affacciato a questo settore. |